Calo demografico, il numero non sarà potenza ma aiuta

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Il declino della natalità, il così detto «inverno demografico», mostra i suoi effetti anche dalle nostre parti. Nel 2011 la popolazione anagrafica in provincia di Arezzo assommava a 350.414 persone, dieci anni dopo era di 334.926.

15.488 persone in meno, è come se un paese di medie dimensioni fosse scomparso. Il comune capoluogo, per esempio, da oltre centomila abitanti è sceso a novantaseimila. Numeri che parlano il linguaggio della crudezza e mi sarei aspettato un minimo di dibattito. Invece silenzio assoluto, secondo il costume oggi assai diffuso, tra partiti e istituzioni, di mettere i problemi sotto il tappeto.
L’unico che ha avuto un minimo di attenzione al tema è stato il sindaco di Castiglion Fiorentino, forse perché nel suo comune si è superata una soglia psicologica, passando dai 13.671 del 2011 ai 12.912 di oggi.
Il Sindaco vista la situazione invita a una riflessione coloro “che considerano la ‘famiglia tradizionale’ al pari di un optional ma anche coloro che hanno la possibilità di incentivare le nuove nascite, con provvedimenti efficaci e rassicuranti”.
Il richiamo è giusto ma difettoso, perché il tema della denatalità è legato solo in parte al “cedimento” della famiglia tradizionale. Forse è più collegato alla deriva valoriale individualistica e consumistica che investe buona parte della società. Ma ancor più colpevole è la debolezza che riscontriamo negli aiuti a sostegno della maternità e per i servizi alla famiglia. Nella mancata conciliazione tra lavoro e vita privata, nella precarietà dell’accesso al lavoro, nella assenza di un giusto trattamento lavorativo per i giovani. In sostanza nella mancata giustizia sociale rispetto al desiderio di fare figli, che pure risulta alto.
Il rischio che intravedo, in posizioni come quelle sostenute dal Sindaco castiglionese, è che non riuscendo a governare i processi di modernizzazione, si pensi ad un ritorno al passato.
Diciamo la verità: il calo demografico esiste perché oggi fare un figlio è un costo e non una risorsa. E se le cose stanno così non basta un semplice appello alla buona volontà. Se si considerando famiglia e figli un investimento per il futuro allora bisogna metterci soldi e servizi.
Ma c’è anche dell’altro: se si guarda i dati sui trasferimenti di residenza ci si accorge subito che la crescita dei residenti è legata a fattori come la presenza di reti sociali, opportunità di lavoro, infrastrutture. Non sarà che una parte della nostra provincia ha perso negli ultimi anni quelle caratteristiche che la rendevano attraente?
Questi sono argomenti sui cui politica e istituzioni dovrebbero riflettere, altro che paginate celebrative su fiction televisive o “movida” notturna.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.