Eventi e Cultura
Ilaria Sebastiani vince il Concorso Nazionale “Architettura di Parole”
A Ilaria Sebastiani, 25enne di L’Aquila, il premio 2025 del Concorso Nazionale di “Architettura di Parole”. Vince un’opera sul valore della memoria, illustrando cosa cambia di fronte al crollo di una casa per il terremoto. Conquistano il podio opere giunte da Parma e Torino.
AREZZO – Architetti e ingegneri si dividono i premi e riconoscimenti al sesto Concorso Nazionale “Architettura di Parole”, che ha visto la proclamazione dei vincitori in una serata piena di emozioni al Teatro Pietro Aretino di Arezzo. Sulle 82 opere presentate ha conquistato il primo premio una studentessa all’ultimo anno di Architettura di L’Aquila: Ilaria Sebastiani con il suo “Oltre il Muro”. Illustra con garbo e rispetto per una tragedia come il terremoto, il concetto di architettura che non è solo il progetto tecnico, ma la realizzazione di scrigni della memoria e della vita, ben oltre la semplice “scatola” dove ripararsi.
A seguire “Il blocco dei morti” di Antonio Disi, architetto di Parma: un testo che omaggia l’editore Panini e racconta il cimitero stesso, le sue forme e la sua architettura, tratteggiate attraverso un’atmosfera che parla della vita e della morte, del costruito e degli uomini, di un luogo sempre vivo pur ospitando i morti.
Ad un’altra 25enne, Martina Arcaini di Torino, ingegnere nucleare, il terzo premio con “Nel ventre della Pietra”: narrazione sentimentale di luoghi nati dal bisogno e divenuti oggetto di interesse economico, oltre che storico e culturale. Il racconto della persona, zia Concetta, costringe a vivere al fianco di questa donna, che nel silenzio, nel sacrificio e nella fatica, erano coloro che guidavano famiglie numerose e diverse.
La giuria del premio, composta da Natalia Cangi (direttore organizzativo dell’Archivio diari di Pieve S. Stefano), Nicola di Battista (architetto-giornalista, già direttore di Domus), Pino Pasquali (docente universitario e architetto di fama nazionale), Antonella Giorgeschi (già presidente dell’ordine degli architetti di Arezzo) e Ivo Brocchi (giornalista), con l’ausilio della commissione che in prima battura esamina tutte le opere, coordinata dall’architetto Riccardo Imperio, ha ritenuto meritevole di menzione una quarta opera, “Morte al tempo, fuliggine di un albero armato”, presentato dall’ingegnere torinese Thomas Pepino: Narra del Palazzo del Lavoro, progettato da Pier Luigi Nervi e inaugurato nel 1961 a Torino per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia, abbandonato e che appare oggi come un gigante silenzioso e ferito.
La serata è stata allietata dalle letture interpretate magistralmente dall’attore e regista Andrea Biagiotti. Il Concorso ha il patrocinio della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, presso il quale sono conservate le prime dieci opere classificate di ogni anno.
LE MOTIVAZIONI UFFICIALI
PRIMO CLASSIFICATO – “Oltre il Muro” – Ilaria Sebastiani (L’Aquila) OLTRE IL MURO Ilaria Sebastiani
La distruzione di una casa dovuta a un devastante terremoto raccontata con delicatezza, in una narrazione ricca di attenzione per il connubio tra persone e ambienti. L’amore per l’architettura come realizzazione di scrigni della memoria e della vita, ben oltre la semplice “scatola” dove ripararsi: “Una casa, capii allora, non è solo un riparo di muri. È una geografia dell’anima”. La vera architettura non si misura in metri quadri, non si definisce con mattoni e cemento. È relazione profonda. È ciò che sopravvive anche quando tutto sembra scomparire. È la traccia viva di un istante, di una vita vissuta pienamente. L’architettura deve custodire. “Perché l’architettura autentica non è solo rifugio: è pelle, è memoria, è corpo che ricorda per noi. Anche quando trema, anche quando crolla, qualcosa resta. Anche quando noi non l’abitiamo più”.
SECONDO CLASSIFICATO – “Il blocco dei morti” – Antonio Disi (Parma) IL BLOCCO DEI MORTI Antonio Disi
“Questo luogo non è per chi parte. È per chi resta. Non celebra. Mostra l’assenza”. Un testo avvincente, con il disorientamento iniziale che rievoca una grande storia moderna, le mitiche collezioni Panini, e immerge mirabilmente nella descrizione del cimitero. L’osservazione del luogo collegata alla fantasia, che altro non è che il racconto di sé e della propria interiorità. Un testo che omaggia lo storico editore e racconta il cimitero stesso, le sue forme e la sua architettura, tratteggiate attraverso un’atmosfera che parla della vita e della morte, del costruito e degli uomini, di un luogo sempre vivo pur ospitando i morti. Il se stesso bambino e un immaginario uomo col cappotto che gli fa da guida sono protagonisti di un viaggio là dove tutti sono destinati a finire, un luogo che “Non vuole emozionare o commuovere. Vuole solo essere.”
TERZO CLASSIFICATO – “Nel ventre della Pietra” – Martina Arcaini (Torino) NEL VENTRE DELLA PIETRA Monica Arcaini
Narrazione sentimentale di un tempo che fu. Di luoghi nati dal bisogno e divenuti oggetto di interesse economico, oltre che storico e culturale. Il racconto della persona distoglie il pensiero dall’esame storico e costringe a vivere al fianco di una donna che, come tante in passato, nel silenzio, nel sacrificio e nella fatica, guidavano famiglie numerose e diverse. Una narrazione sospesa tra il lavoro e la vita, tra la fatica e l’amore, che trasformano una grotta in dimora domestica, dove si può vivere con dignità anche con quasi niente e dove il senso dell’abitare viene trovato nell’atto stesso dell’abitare, più che nella costruzione da edificare per abitare. Nel connubio tra ventre e pietra, l’omaggio a una donna e alla sua esistenza in “una delle tante grotte urbane che la fatica e lo scorrere del tempo hanno trasformato in casa”.
MENZIONE – “Morte al tempo. Fuliggine di un albero armato” – Thomas Pepino (Torino) Morte al tempo. Fuliggine di un albero armato. Thomas Pepino
Un importante simbolo del miracolo italiano e del boom economico che hanno portato il nostro Paese ad essere uno dei più importanti al mondo, viene raccontato dall’autore per quello che è oggi, una rovina contemporanea, da simbolo del moderno a rudere del nostro tempo. La perfetta metafora della vita di questo edificio permette all’autore di portare una critica serrata all’oggi, diventando un testimone perfetto per “interrogarsi su ciò che siamo diventati”.







