Rsa, "costi esosi". Tanti lancia le case per anziani: "Ripensare settore assistenza"

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Lucia Tanti lancia l'idea al convegno Acli: “Ecco la proposta per le case per anziani, una piccola modifica della legge regionale che darebbe risposte importanti. Non solo RSA, ma nuove regole. Costi esosi, posti pochi: situazione veramente difficile per le famiglie”.

“Ho colto l’occasione del convegno provinciale delle Acli per anticipare la proposta di modifica della legge regionale 41/2005 sulla non autosufficienza in merito alle case per anziani, che proporrò al Presidente della commissione sanità del Consiglio regionale, a cui ho già inviato una scheda e con il quale conto di avere un incontro in tempi rapidi come peraltro abbiamo concordato insieme. Del resto il convegno delle Acli aveva come titolo “Case famiglia e stili di vita” e pertanto mi è parso il luogo giusto per condividere non solo le preoccupazioni, ma anche le opportunità che possiamo avere per rendere la normativa regionale meno astratta e più capace di andare incontro agli anziani e alle famiglie.

La proposta non ha un impianto tale da stravolgere la norma in vigore, che pure è oggetto superato, ma pone un puntuale rimedio che aprirebbe la strada ad una vera e propria rivoluzione dei servizi agli anziani. Si tratta di permettere alle cosiddette case per anziani di poter ospitare anziani anche non autosufficienti con isogravità fino a 3. Ovviamente con l’obbligo di una supervisione medica e controlli costanti e continui.

La combinazione che permetterebbe di tirare un sospiro di sollievo evitando di chiudere arbitrariamente piccole case per anziani, spesso efficienti e graditissime all’utenza, si sostanzia in due tratti di penna: isogravità fino a 3 e soglia della non autosufficienza oltre il 66%. A livello legislativo si tratta di un unico articolo che ovviamente non stravolgerebbe l’impianto generale della norma, ma che certamente la renderebbe più efficace e umana in attesa che il prossimo Consiglio regionale metta mano a tutta la normativa dedicata alle politiche della terza e quarta età. Questa proposta che porterò all’attenzione di Regione Toscana è nata da un gruppo di lavoro costituito da molti gestori di case per anziani e dal garante dei diritti per gli anziani e mi aspetto che questo lavoro trovi trasversalmente consenso. L'impianto della Toscana, tutto incentrato nelle grandi RSA e volto a non volersi affidare anche a realtà diverse, è iniquo e ideologico: costi esosi, posti scarsi, risposte prevalentemente sanitarizzate rendono le politiche per gli anziani in questa regione politiche che finiscono per inginocchiare famiglie e comuni, ma soprattutto per mortificare l'ultimo tratto della vita delle persone”.

Nella Provincia aretina insistono un significativo numero di Comunità Familiari disciplinate dall'art. 22 della legge regionale 41/2005.

Si tratta di struttura a dimensione familiare, spesso appartamenti, che debbono possedere i requisiti della civile abitazione.

Per operare, il Gestore deve solo comunicare l'avvio dell'attività (ex SCIA, oggi CILA) e non soggiacere alle regole delle strutture -di cui all'art. 21 della l.r.41/2005- sottoposte rigorosamente all'autorizzazione al funzionamento.

Le Comunità Familiari possono accogliere, secondo quanto previsto dall'art. 23, comma 1, lett. a) del Regolamento 2/R/2018 "persone maggiorenni autosufficienti, da soli o in nuclei familiari, anche in presenza di figli minorenni, che si trovano in situazione di disagio e marginalità sociale, per le quali la permanenza nel nucleo familiare è temporaneamente o permanentemente impossibile o contrastante con il percorso individuale".

Il primo problema che si pone è quello riferito al target delle persone accolte: la norma suddetta parla di persone maggiorenni autosufficienti. Si riferisce cioè ad adulti in condizioni di disagio. Siccome esiste un problema di tipo economico (le RSA hanno costi che vanno dai 3.000 ai 3.500€ mensili) e di risposta alle difficoltà di assistenza delle famiglie nei confronti di persone anziane che mantengono ancora una certa autonomia e che possono, quindi, vivere in contesti meno istituzionalizzati di una RSA, il territorio aretino, nel tempo, si è organizzato ed ha utilizzato la Comunità Familiare ex art 22 l.r.41/05 per persone anziane, raramente autosufficienti, più spesso parzialmente autosufficienti, alle quali, però, basta una caduta o l'aggravarsi di una malattia (BPCO, diabete, scompenso cardiaco, seria influenza ...) per veder compromessa la parziale autosufficienza. A quel punto, anche se in varie realtà della Zona si assiste alla presenza in Comunità di personale con qualifica di adb e oss, la Commissione Multidisciplinare, chiamata dal Comune a vigilare sul corretto funzionamento delle Strutture o anche la Polizia Municipale, chiamata ad intervenire a seguito di segnalazioni, rilevano la presenza di un target di persone non corrispondente a quanto dichiarato al momento dell'avvio dell'attività con la conseguenza della successiva emissione di una Ordinanza che chiude la Struttura e ordina di allocare gli anziani ivi presenti o in rsa o, raramente, ai loro domicili.

Tutto ciò oltre a determinare forti disagi agli utenti, causa tensioni con le famiglie degli stessi e problemi ai Servizi socio sanitari del territorio nella gestione delle singole situazioni.

Se, quindi, la Comunità Familiare non rappresenta, secondo le norme attuali, la risposta più idonea all'accoglienza di persone anziane parzialmente autosufficienti o totalmente non autosufficienti ma con ancora conservate delle abilità, le uniche soluzioni possibili sono o l’inserimento in RSA o l’inserimento negli appartamenti per anziani previsti dall'allegato B del Regolamento 2/r.

Questa seconda tipologia di residenzialità assistita ha il merito di aver definito parametri di personale chiari per tipologia di professionisti e ore da assicurare per l’assistenza: peccato però che l'anziano che può essere accolto debba avere una invalidità civile pari o inferiore al 66%. Ebbene, non esiste anziano ultra settantenne che necessiti di una vita comunitaria e che abbia una invalidità del 66%. Basta avere un apparecchio acustico o avere limitazioni motorie, o scompenso cardiaco o una BPCO seppur ben controllata che la percentuale di invalidità sale al 100%.

Con la conseguenza che, ai controlli, nessuno di questi anziani può stare negli appartamenti e quindi va allontanato.

E' del tutto evidente che le cose, così, non possono funzionare.

Vanno pensate altre soluzioni e le RSA non possono essere la sola risposta per chi ha necessità di una vita comunitaria.

Le BIA (moduli a bassa intensità assistenziale) disciplinate dal regolamento 2/R non sono la risposta al problema: sono moduli previsti all'interno di una RSA e per questo “perdono” le caratteristiche di "civili abitazioni", ovvero di luoghi simili al modello di convivenza familiare. Nell’Azienda Toscana Sud Est non si registra la presenza di alcuna BIA.

Va completamente ripensata l'assistenza a chi ha bisogno di essere assistito con un livello di isogravità fino a 3, seppur con invalidità che superano il 66%, altrimenti saremo costretti a istituzionalizzare ogni anziano con costi elevati per le famiglie e le amministrazioni.

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