La scelta obbligata

. Inserito in #madecheseragiona

Oggi la scelta è tra riformismo (che non vuol dire moderatismo) e massimalismo post-ideologico. Tra questi due poli non v’è un meridiano che li unisce. Il riformismo richiede processi lunghi, di maturazione e in un paese come il nostro può significare dover stare all’opposizione per qualche tempo.

Il massimalismo con le sue parole d’ordine può apparire una scorciatoia ma condanna alla dannazione eterna dell’opposizione.

Il riformismo è capire che la società italiana (e noi assieme a lei) è cambiata. Non è più quella di vent’anni fa dove ancora vigeva una netta separazione di ruoli, funzioni, status.

Oggi per parlare di due temi a mio avviso fondamentali come giustizia sociale e ambiente non sono sufficienti le parole d’ordine da gridare nelle piazze, ci vuole un linguaggio nuovo e soprattutto una inedita visione del mondo e del futuro.

La politica del Novecento è stata dominata dal binomio sinistra-destra che semplificava molto le questioni. La destra era conservatrice sul piano culturale e liberista sul piano economico.

La sinistra era progressista sul piano culturale e a favore dell’intervento dello Stato in economia per ridurre le disuguaglianze.

In questi anni molto è cambiato: abbiamo posizioni tradizionalmente “di destra” su temi “culturali” che si combinano con quelle di “sinistra” su temi economici. Un fatto che ha portato a un consenso diffuso per la destra nei ceti economicamente più disagiati e alla rottura della egemonia politica della sinistra in aree geografiche dove governava da anni.

Ma non è tutto. Alcune indagini hanno rilevato che nel cambiamento del voto, che ha caratterizzato le ultime tornate elettorali, hanno pesato in buona parte i fattori economici: in particolare la credibilità di partiti e leader nel tutelare il welfare e il lavoro, in altre parole al netto di argomenti importanti come l’immigrazione e i diritti civili, la domanda che emerge con forza dai comportamenti di voto appare essenzialmente una domanda di protezione economica che vale sia per i dipendenti che per i lavoratori autonomi. E l’approccio a questi temi non può che essere riformista, giacché non è con l’assistenzialismo di stato che si cambiano i rapporti sociali.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.