Le radici della sconfitta

. Inserito in #madecheseragiona

Quello che segue è un articolo di analisi. Per cui risparmiatemi i soliti commenti del tipo “è lungo”, “è complicato”, “è palloso”. Se non avete voglia, non leggetelo, me ne farò una ragione.

Ogni giorno fioriscono le analisi sulla crisi del PD e della sinistra in questo paese. Analisi che per altro, non tengono conto di un dato poco attenzionato: la coalizione di destra in questo paese ha raccolto il 43,7% dei consensi mentre coloro che, a vario titolo, gli si oppongono raggiungono il 49,6%. Solo in virtù di un sistema elettorale che privilegia la capacità di allearsi la destra è maggioranza in parlamento.
Questo non significa che non vi sia una crisi. Ma è una crisi di natura diversa rispetto a quello che normalmente si pensa. Ciò che sfugge a buona parte degli osservatori che guardano più agli aspetti sociali, alle dinamiche economiche, alla scomparsa delle vecchie classi e alla atomizzazione del mondo del lavoro (tutte cose vere sia chiaro), è che la sinistra in questo paese ha perso, prima di tutto, sul piano culturale.
La cultura in cui siamo immersi e che salda aspirazioni individuali e mercato è una cultura orientata a destra.
Ma è una destra diversa dal passato che non c’entra un tubo col fascismo o col vecchio liberalismo conservatore, tanto per capirsi è un modello che ribalta il concetto di Furio Jesi sulle “idee senza parole”, qui siamo alle “parole senza idee”.
È una cultura dove diventa centrale la questione del lusso, dei beni di consumo da possedere e che trova terreno fertile nei social e nei mezzi di comunicazione. Sfere della conoscenza e coscienza collettiva dove tutto appare incentrato sul potere del denaro, sulla bellezza, sulla forza.
Questa cosa è esplosa in Italia a partire dagli anni ottanta e a sinistra nessuno s’è accorto della mutazione che stava avvenendo. Una mutazione dove il valore “mitologico” dei beni di consumo ha trasformato le persone, ha inciso nella costruzione del consenso e ha fatto assumere un valore eccezionale alla triade desiderio-consumo-successo.
È qui che la sinistra ha perso. Ed ha perso perché di fronte alla potenza dei social e dalla diffusione dei messaggi che nascono dai social ogni battaglia rischia di apparire inutile. Questa pervasività è così potente da essere stata capace di modificare la qualità dei rapporti perfino dentro i partiti dove contano sempre meno le idee e sempre di più i legami di potere, le catene di comando e il vassallaggio.
Sarà un caso ma il modello su cui si sono costruire le liste dei partiti, anche a sinistra, è proprio questo: poca competenza, molta fedeltà e molto familismo. Con questi paradigmi è naturale che la politica non sia capace di darsi grandi obbiettivi lasciando così il posto ai tecnicismi e alla burocrazia. In una società che abbina il consumo alla cultura, dove denaro e successo sono la via del riscatto individuale, la questione della giustizia sociale e della solidarietà scompaiono.
Da tutto questo se ne esce male. Forse saranno le contraddizioni del sistema, a cominciare dalle questioni ambientali e dell’eccesso di disuguaglianza a costringere ad un ripensamento. Ma su questo la sinistra non mi pare granché attrezzata.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.