"Macrì estraneo, Estra non è controllata da enti pubblici". Viciconte cala l'asso e chiede l'assoluzione

. Inserito in Cronaca

"Quello di Macrì non era un incarico pubblico, Coingas solo strumento atto a ricevere i dividendi della società ESTRA S.p.A., Macrì non ha imposto a Staderini l'avvocato Rason, nessuna influenza su Rostagno". Così l'avv. Viciconte: "ESTRA per sua natura non rientra nella categoria di società controllata da enti pubblici. Ecco perché".

L'avvocato Gaetano Viciconte, in un'ora e mezza di appassionata difesa del suo assistito, Francesco Macrì, facendo leva su complesse argomentazioni e circostanziate citazioni, ha contestato punto su punto l'impianto accusatorio del procuratore Roberto Rossi. Ecco il testo dell'intervento di Viciconte, in cui chiede di "assolvere il dott. Macrì dai reati contestatigli perché il fatto non sussiste o con quella formula che sarà ritenuta di giustizia":

"Il sottoscritto Avv. Gaetano Viciconte, in qualità di difensore di fiducia del Dott. Francesco Macrì, imputato nel procedimento penale n. 2002/2019 R.G.N.R., per i reati indicati al capo 2) e al capo 8) della rubrica, espone quanto segue al fine di evidenziare l’estraneità del predetto rispetto a tutte le condotte contestatigli.

I. Sul capo 2): il concorso morale nel delitto di peculato

Per quanto concerne il capo 2) dell’imputazione, con il quale viene contestato al Dott. Macrì di aver concorso in qualità di istigatore nel reato di peculato ex art. 314 c.p., si ritiene di dover evidenziare in primo luogo l’impossibilità di configurare il delitto di peculato in concorso con l’amministratore unico di COINGAS S.p.A., non sussistendo la qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo allo stesso, nonché, in ogni caso, l’assenza di qualsivoglia elemento probatorio che sia atto a fondare la penale responsabilità di Macrì.

I.I. Sull’insussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo all’amministratore unico di COINGAS S.p.A.

In merito al delitto di peculato di cui al capo 2) dell’imputazione, occorre preliminarmente sottolineare l’insussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo all’amministratore unico di Coingas e, dunque, l’assenza di un soggetto intraneus in relazione alla fattispecie oggetto di contestazione.

Come è noto, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che anche i soggetti inseriti nella struttura organizzativa di una società per azioni possono essere qualificati come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società sia disciplinata da norme di diritto pubblico e persegua delle finalità pubbliche, sia pure con strumenti privatistici.

È necessario, tuttavia, guardare oggettivamente all’attività svolta ed al modo in cui la stessa si correla al perseguimento di interessi pubblici.

Come è altrettanto noto, nella nozione di servizio pubblico delineata dall’art. 358 c.p. assume rilevanza più che la connotazione soggettiva pubblica dell’ente, quella oggettiva della natura dell’attività svolta, con la conseguenza che la qualità di servizio pubblico viene ad essere correlata a due requisiti essenziali, quello teleologico della finalità di interesse generale dell’attività svolta e quello normativo della previsione di una disciplina di carattere imperativo che, in ragione della rilevanza di interesse generale dell’attività svolta, ne disciplini le modalità di svolgimento con stringenti limiti all’autonomia privata, allo scopo di salvaguardare il prevalente interesse generale rispetto a quello privato (Cass. Pen., Sez. VI, 17/09/2019, n. 42952).

E’ stato anche ritenuto che non sia sufficiente fare riferimento alla generica natura pubblica dei servizi svolti da una società nell’ambito di un rapporto di concessione, ma occorre verificare in concreto se le condotte illecite siano state poste in essere in riferimento ai servizi di interesse pubblico, piuttosto che ad altri servizi accessori meramente commerciali che non siano soggetti alla disciplina di legge delle relative forme di esercizio, che ne consentono di escludere la natura di servizio pubblico (Cass. Pen., Sez. VI, 01/06/2017, Rv. 271106).

Nella vicenda in esame Coingas riveste esclusivamente il ruolo di holding di partecipazione di un gruppo societario energetico, ESTRA S.p.A, configurandosi come società finanziaria di amministrazione delle partecipazioni nelle società in cui detiene le predette partecipazioni.

Inoltre, Coingas non effettua produzione di beni e servizi in favore degli enti partecipanti, essendo priva di un’azienda produttiva di servizi pubblici, non dispone di strutture organizzative interne, né di dipendenti, né tantomeno rientra tra le società in house del Comune di Arezzo.

Come è chiaramente emerso dall’istruttoria dibattimentale, infatti, la società altro non è che uno strumento tramite il quale distribuire i dividendi di ESTRA S.p.A. nei patrimoni dei singoli Comuni azionisti.

In tal senso, le chiare dichiarazioni dei Sindaci di questi ultimi.

Il teste Mauro Cornioli, allora sindaco di San Sepolcro, come risulta a pagina 20 delle trascrizioni dell’udienza del 19.04.2022, ha dichiarato “che cos’è Coingas? Coingas è una società̀ che fa sì che tutti i Comuni partecipanti della Provincia di Arezzo, siano rappresentati assieme nella società̀ madre, che è ESTRA, e poi abbiamo una suddivisione di utili importanti per i Comuni di questo patrimonio” e ancora, a pagina 22, a seguito di specifica domanda su quale fosse la funzione della società, ovvero se la stessa erogasse servizi o gas, “No, no, COINGAS erogava dividendi”.

Non solo, ma anche il sindaco pro tempore di Lucignano, Roberta Casini, ha affermato “Coingas è una società̀ che senza i dividendi di ESTRA praticamente non ha attività̀, e quindi risultava sicuramente in perdita” (pg. 24 trascrizioni ud. 19.04.2022) e, più specificamente, “Sì, sono tutte situazioni di cui abbiamo parlato, e sinceramente.., allora c'era una richiesta da parte dei Comuni, comunque COINGAS era una società vuota, una società che in realtà̀ era ed è soltanto socia di ESTRA, e non aveva un'attività̀ propria, quindi era venuto più̀ volte fuori l'esigenza che fosse, che trovassimo alcuni servizio o comunque fosse di utilizzo, di possibile utilizzo per i Comuni” (pg. 25 cit.).

Ulteriormente sollecitata dal Tribunale a chiarire quali fossero le entrate della società con la domanda: “Allora le chiedo un’altra cosa collegata a questa, sempre velocissima, cioè le entrate di COINGAS, da dove dovevano venire fuori?”, la stessa ha dichiarato “I dividendi di ESTRA (…) Mi sembra che ci sia poco più, forse c'è l'affitto, poi c'è qualche altro

impianto fotovoltaico, ora di preciso sinceramente non me le ricordo (…) Sì, il grosso sono i dividendi di ESTRA”.

Analogamente il testimone Alfredo Romanelli, all’epoca Sindaco di Monterchi, il quale, nel dichiarare che si era mostrato favorevole a rinnovare la società in occasione della cosiddetta “riforma Madia” riguardante le società partecipate da soggetti pubblici (D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175), ha affermato “Una volta mi sembra che io condividevo l'impostazione generale di fare, che Coingas non facesse solo l'azionista di un'altra società̀, ma che potesse essere anche una società̀ che poteva fare a essere utile anche ai soci” (pag. 39 trascrizioni ud. 19.04.22).

Ancora, la teste Fabiola Polverini, membro del Collegio Sindacale, ha assertivamente affermato che “Coingas che era una società sostanzialmente ferma” (pag 70 trascrizioni ud. 22.03.2022).

Appare, dunque, evidente come Coingas all’epoca dei fatti si configurasse come una società che non erogava alcun servizio, né tantomeno di interesse generale.

D’altro canto, non poteva essere diversamente dal momento che, a seguito della riforma Madia (D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175), per espressa ammissione dei Sindaci dei Comuni partecipanti si pose il problema della permanenza in attività della società e a tal fine solo allora divenne necessario individuare eventuali servizi che la stessa potesse cominciare a fornire.

Tale elemento denota ulteriormente la circostanza che, fino a quel momento, nessun servizio di interesse generale venisse svolto.

La riforma, infatti, ha introdotto il c.d. vincolo di scopo pubblico prevedendo all’art. 4 che: “1. Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ne' acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”, a ciò aggiungendo, al comma 2, anche un vincolo di attività, statuendo quanto segue, ovvero che “2. Nei limiti di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate:

a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;

b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;

c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2;

d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;

e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016.

3. Al solo fine di ottimizzare e valorizzare l'utilizzo di beni immobili facenti parte del proprio patrimonio, le amministrazioni pubbliche possono, altresì, anche in deroga al comma 1, acquisire partecipazioni in società aventi per oggetto sociale esclusivo la valorizzazione del patrimonio delle amministrazioni stesse, tramite il conferimento di beni immobili allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore di mercato”.

È palese, quindi, che le partecipazioni pubbliche in Coingas, qualora quest’ultima non avesse integrato nella propria attività alcuni servizi, avrebbero dovuto essere alienate ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. 175/2016 citato.

In tal senso, infatti, anche le dichiarazioni di Ginetta Menchetti, allora Sindaco di Civitella Val di Chiana, secondo cui “Esatto, di fare un ragionamento, perché́ essendo un’azienda del territorio pensavamo che potesse dare delle risposte del territorio magari diventando una piccola Multiutility, cioè̀ erogando dei servizi per il nostro territorio, era questo il ragionamento che facevamo, se non fossimo stati in grado, chiaramente andava rispettata, però diciamo che prima di gettare la spugna, essendo un’azienda comunque del territorio, volevamo capire se ci potevano essere delle condizioni per poterla farla crescere anziché́ chiudere, tutto qua” (pag. 54 trascrizioni ud. 19.04.2022).

Ancora, il teste Riccardo Acciai, Consigliere comunale di Poppi e delegato alla partecipazione alle Assemblee di Coingas S.p.A. “Si parlava di servizi, potevano riguardare rifiuti, acqua, o comunque altre cose che potevano interessare ai Comuni, visto che Coingas era sostanzialmente un'azienda vuota, anche perché́ poi dal punto di vista giuridico, la Legge Madia necessitava di dare contenuto operativo a COINGAS, quindi l'ipotesi era quella di inserire alcuni servizi (pag. 41 e 42 trascrizioni ud. 19.04.2022).

È, dunque, assolutamente palese che Coingas non svolgesse alcun pubblico servizio, essendo, di conseguenza, non configurabile in capo all’Amministratore Unico la qualifica di incaricato di pubblico servizio ex art. 358 c.p.

Non sarebbe, invero, nemmeno possibile sostenere che Coingas realizzasse tali pubbliche finalità tramite la partecipazione in ESTRA S.p.A. dal momento che è emerso indiscutibilmente che l’unica utilità e funzione di tale adesione fosse quella della mera distribuzione di dividendi e, pertanto, saremmo, comunque, al di fuori dai suddetti requisiti (teleologico e normativo) necessari per configurare la qualifica pubblicistica in capo all’amministratore.

Inoltre, Coingas non è amministrazione aggiudicatrice, in quanto non è organismo di diritto pubblico, ai sensi della disciplina in materia di contratti pubblici. Infatti, tre sono, come noto, le condizioni perché possa parlarsi di un “organismo di diritto pubblico” ai fini dell’applicazione della normativa in questione: deve trattarsi, in particolare, di un soggetto 1) dotato di personalità giuridica; 2) sottoposto ad influenza pubblica dominante; 3) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale.

In ordine all’esegesi di quest’ultimo requisito, la giurisprudenza comunitaria si è orientata nel senso di considerare la natura dei bisogni che le prestazioni o i servizi resi dall’ente sono diretti a soddisfare. Si è così affermato che, affinché si possa dire diretta a soddisfare un bisogno avente carattere “non industriale o commerciale”, l’attività dell’ente deve rispondere a un interesse primario della collettività, come la salute, l’ambiente, la sicurezza e così via (cfr. Corte di Giustizia CE, 10 novembre 1998, nella causa C-360/96 BFI Holding).

Molti di questi bisogni generali, tuttavia, sono soddisfatti anche da privati in regime di libera concorrenza, e non sono riservati in esclusiva a soggetti riconducibili in qualche modo alle pubbliche amministrazioni. Sicché la giurisprudenza comunitaria ha precisato che il regime concorrenziale del mercato è un forte indizio del fatto che esso, pur soddisfacendo bisogni collettivi, in realtà cerca specialmente di conseguire un proprio lucro.

Altri indici negativi, oltre al fatto che le prestazioni siano rese in un normale mercato concorrenziale, sono stati poi individuati in particolare nel perseguimento dello scopo di lucro e nell’assunzione del rischio imprenditoriale, nel senso di subire le perdite connesse all’esercizio dell’attività (cfr. Corte di Giustizia UE, V, 22 maggio 2003 in causa C-18/01 Taitotalo e, più recentemente, sez. IV, 5 ottobre 2017 in causa C-567/15 LitSpecMet).

In sostanza, la giurisprudenza, anche nazionale, ha dato rilievo a un approccio funzionale: essa dalle concrete modalità con cui si esplica l’attività dell’ente, come emergono da una serie di elementi significativi, trae convincimento della rispondenza dell’azione a un interesse della collettività non industriale o commerciale (per le pronunce più recenti, cfr. Cass., SS.UU, 28 giugno 2019, n. 17567; Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3884).

In tale contesto, perché ricorra la figura dell’organismo di diritto pubblico si è detto che occorre che il soggetto non fondi la sua attività principale solo su criteri di rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di se i rischi collegati allo svolgimento dell’attività (i quali devono ricadere sulla pubblica amministrazione controllante), e che il servizio d’interesse generale, oggetto dell’attività, non possa essere rifiutato per mere ragioni di convenienza economica (da ultimo, Cass. SS.UU., 28 marzo 2019, n. 8673; Cons. Stato, V, 19 novembre 2018, n. 6534).

Nel caso di specie, è evidente che Coingas agisca solo ed esclusivamente in base a criteri di rendimento non connessi, peraltro, in alcun modo ad alcuna attività di interesse generale o alla soddisfazione di alcun bisogno della collettività, avendo l’unica funzione di ricevere i dividendi della società ESTRA S.p.A.

Non solo, non essendo presente alcuna previsione statutaria o di altro genere che comporti l’obbligo degli enti pubblici partecipanti al ripiano delle perdite della stessa Coingas, a prescindere dalle partecipazioni detenute nella società di gestione, la stessa assume interamente il rischio di impresa.

Ulteriormente, peraltro, occorre orientare l’esegesi della nozione di organismo di diritto pubblico anche ponendo l’attenzione sulla definizione fatta propria dallo schema di decreto legislativo recante il “nuovo” Codice dei Contratti Pubblici, come delegato dall’art. 1 della L. 21 giugno 2022, n. 78 e trasmesso alla Presidenza della Camera dei Deputati in data 5 gennaio 2023.

L’articolo 13 del documento rinvia per la definizione dei soggetti tenuti all’applicazione delle procedure ad evidenza pubblica all’allegato I.1. il quale prevede l’introduzione delle nozioni omnicomprensive di “stazione appaltante” ed “ente concedente” ciò consentendo, come si legge nella Relazione Illustrativa, da un lato, di evitare la moltiplicazione e la frammentazione delle definizioni soggettive e, dall’altro, di introdurre un riferimento nominalistico unitario che, anche coerentemente con la disciplina dettata dal d. lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo, art. 133, lett. e), n. 1) valorizza l’obbligo di seguire la procedura di evidenza pubblica per l’affidamento del contratto, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura dell’ente che di volta in volta viene in considerazione.

Inoltre, in merito alla definizione dei soggetti, è stato effettuato l’adattamento di alcune nozioni di derivazione euro-unitaria e, pertanto, la scelta del legislatore è stata quella di riferire in modo specifico il requisito teleologico dell’organismo di diritto pubblico (art. 3, lett. c) al carattere non commerciale o industriale all’attività svolta.

Ciò conferma come Coingas non posso essere ritenuta un organismo di diritto pubblico, essendo del tutto irrilevante la partecipazione azionaria in ESTRA S.p.A. finalizzata al solo obiettivo della ripartizione dei dividendi.

Coingas non è neppure un’impresa pubblica annoverabile nella disciplina degli enti aggiudicatori, prevista dal codice dei contratti pubblici, giacché essa è una holding che non svolge direttamente nessuna delle attività previste dagli artt. 115 a 121 del predetto codice, ma soltanto attività di amministrazione delle partecipazioni detenute nelle società del gruppo.

Pertanto, Coingas non è neppure assoggettata all’osservanza degli obblighi di evidenza pubblica in relazione al conferimento di appalti di servizi, quali quelli di consulenza legale, dalla cui violazione nel capo di imputazione in esame si fanno discendere i reati contestati, con conseguente impossibilità di configurare in capo all’amministratore la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio e, per l’effetto, così come in capo ai concorrenti nel reato contestato.

I.II. Sull’insussistenza della penale responsabilità del Dott. Macrì

In ogni caso, nessun elemento che possa determinare in capo al Dott. Macrì qualsivoglia responsabilità è emersa dall’istruttoria dibattimentale.

Secondo la tesi accusatoria, il dott. Macrì sarebbe da identificare quale concorrente extraneus con il ruolo di istigatore nel delitto di peculato contestato a Sergio Staderini, quale incaricato di pubblico servizio, all’avv. Pier Ettore Olivetti Rason, in qualità di beneficiario, e all’avv. Jacopo Bigiarini, in qualità di intermediario.

Orbene, in base alla tesi accusatoria, Macrì avrebbe imposto a Staderini la figura dell’ Avv. Olivetti Rason quale possibile consulente legale di Coingas.

Nessun elemento in tal senso emerge dal compendio probatorio assunto.

Non è circostanza contestata che il dott. Macrì e l’avvocato Olivetti Rason si fossero conosciuti in occasione di un contenzioso inerente un ingente recupero crediti nell’ambito del quale l’avvocato aveva patrocinato con successo la società di cui il primo era Direttore Generale contro ATAF S.p.A., come affermano entrambi in sede di dichiarazioni spontanee.

Né lo è quella secondo cui il Macrì abbia presentato il legale allo Staderini al fine di risolvere la questione relativa alla incompatibilità del ruolo di Presidente di Coingas S.p.A. con quello rivestito all’interno dell’Istituto di Credito del quale era dipendente (i.e. Banca Popolare di Vicenza), come confermato anche dal teste Famà (pg. 16 trascrizioni ud. 16.04.2022).

Proprio per trovare una soluzione a tale problematica, lo Staderini, il Macrì e l’Olivetti si recarono a Milano per parlare con un dirigente della Banca che aveva rapporti professionali con l’Avv. Olivetti Rason.

L’episodio rimane circoscritto a questa tematica, giacché mai vi è stata alcuna attività di Macrì diretta a favorire o a condizionare i rapporti lavorativi fra l’Avv. Olivetti Rason e Coingas. Macrì è del tutto estraneo alla determinazione dell’oggetto e del compenso delle attività professionali effettuate.

I.II.I. Sulle risultanze probatorie

Al riguardo gli elementi probatori assunti sono estremamente chiari.

La prima teste ad essere interpellata sul tema è la sig.ra Carla Gigli, la quale, a specifica domanda del Pubblico Ministero su chi individuò il professionista che si sarebbe dovuto occupare di alcune consulenze di Coingas in luogo dell’avv. Pasquini, ha risposto nettamente “Staderini. Chiedemmo il curriculum, ci venne fornito, ci sembrò adeguato, diciamo che nulla mi poteva.., non avevamo dubbi.., qualche domanda ce la facevamo però diciamo che anche da lì, dal curriculum questi diciamo queste fattispecie di prestazioni erano state da lui citate anche nel curriculum, e ci fu un incontro in COINGAS dove si presentò, ci conoscemmo, e diciamo che lo trovai anche una figura professionale.., quando gli venne poi anche affidato l'incarico, che ci supportava in qualunque modo, sia per corrispondenza, sia telefonicamente e sia con la presenza fisica” (pag. 26 trascrizioni ud. 29.03.2022).

Di tenore equivalente, le dichiarazioni in merito della teste sig.ra Rossana Fucini, che a domanda analoga della Pubblica Accusa, ha replicato “Ma in pratica da Staderini, fu portato.., io non sapevo, non conoscevo certamente, e quindi l'incarico era di seguire proprio la nuova formulazione dei Patti Parasociali, in previsione anche della quotazione in Borsa” (pag. 42 trascrizioni ud. 29.03.2022).

Successivamente, la teste dell’accusa sig.ra Erica Rosai, a specifica domanda sulle modalità con le quali fosse stato scelto l’avvocato Rason , ha avuto modo di affermare che “Allora le modalità non saprei sinceramente, sapevo di questo appunto professionista, e in un secondo momento appunto Staderini mi spiegò che questo Avvocato gli era stato presentato da Francesco Macrì, direttamente ecco”(pag. 20 trascrizioni ud. 26.04.2022).

Invero, l’avvocato Rason fu effettivamente presentato a Staderini da Macrì, ma con riguardo alle dichiarazioni rese da quest’ultima teste non si può non evidenziare come ella abbia riferito di episodi nei quali Macrì avrebbe asseritamente “trattato male” la consigliera Gigli, ma la diretta interessata ha categoricamente negato tali avvenimenti.

Si legge, infatti, a pagina 40 delle trascrizioni dell’udienza del 29.03.2022, che a domanda della difesa di Merelli “Non ci sono state imposizioni, mi ha detto siete state mai trattate in maniera offensiva sempre dal Dottor Macrì? È capitato?”, la sig.ra Gigli ha risposto “Io personalmente no”.

E ancora, la teste Rosai ha confermato, su contestazione in aiuto alla memoria, che “Spesso si sono sfogate poi con me, perché non volevano firmare contratti sopra soglia, e più di un contratto allo stesso libero professionista, tanto che alla fine si sono dimesse”, ma la sig.ra Gigli ha in merito dichiarato “Lei ha mai avuto modo di discutere con la signora Rosai sulla conclusione di questi contratti, con l'Avvocato Rason?” “No”.

Sulla credibilità delle dichiarazioni della Sig.ra Gigli non vi è motivo alcuno di dubitare, mentre è emerso il risentimento della sig.ra Rosai nei confronti del dott. Macrì per il mancato distacco lavorativo a Coingas, il cui progetto di rinnovamento era da lei ritenuto interessante.

Sull’asserito ruolo del Macrì sull’oggetto delle consulenze e sul compenso da pagare non emerge alcunché neppure nell’interrogatorio di Staderini.

In primo luogo, lo stesso Staderini, nell’interrogatorio in incidente probatorio, ha affermato che fu l’Olivetti a indicare nello specifico tali consulenze nonché gli importi.

Si legge, infatti, a pagina 11 delle trascrizioni:

“Pubblico Ministero: Quindi fu lui, l’Olivetti Rason a indicare, diciamo così, questa consulenze?

Staderini Sergio: Si si, fu lui

Pubblico Ministero: Fu lui che indicò anche il compenso?

Staderini Sergio: Io insomma un po’ imbarazzato, con tutto quello che aveva fatto, con tutto quello che pensavo di lui, insomma.. acconsentii, perché..”

È fondamentale al riguardo anche la testimonianza della teste Gigli, la quale a specifica domanda “Vi sono mai stati imposti la stipula, la conclusione di questi contratti con l'Avvocato Rason, da parte del Dottor Macrì a lei e alla sua collega?” ha affermato “No, non ci è stato imposto mai niente, anzi ci fosse stato imposto e in ogni caso ci sentiamo libere di dare la nostra opinione, le nostre autorizzazioni, cioè se il Presidente avesse voluto dare un incarico senza l'autorizzazione del CdA, noi lo avvisavamo, se lo avesse fatto diciamo era sua responsabilità, pertanto noi in maniera autonoma cercavamo di valutare quello che ci veniva proposto e così abbiamo fatto, imposizioni non ci sono state” (pag. 39 trascrizioni ud. 29.03.2022).

Poco prima, su contestazione del Pubblico Ministero aveva già avuto modo di chiarire un’affermazione riportata nel verbale di sommarie informazioni. Si legge infatti a pag. 28 trascrizioni ud. 29.03.2022:

“Pubblico Ministero: “Le devo ancora leggere, in aiuto alla memoria, si sta parlando di questo contratto di collaborazione continuativa: “Non ho percepito pressioni sul nostro essere o non essere d'accordo, ricordo soltanto che Staderini o Macrì, ovvero tutte e due insieme, sottolinearono che ci stavamo mettendo troppo tempo a decidere se firmare o meno questo contratto, peraltro su questo punto, mantenemmo la nostra posizione e non si dette l’assenso alla firma del contratto. Sul fatto che le dissero: “Ci state mettendo tropo tempo, Staderini o Macrì ovvero entrambi”.

Testimone Gigli: “Può essere anche entrambi, ora sinceramente io il momento esatto di questo..”.

Pubblico Ministero: “No, no, il momento non importa, il fatto importa”.

Testimone Gigli: “Che ci mettevamo troppo ci è stato detto, non la vedevo neanche una cosa, diciamo, in quel momento lì come dire “Decidetevi”, erano importi importanti, pertanto noi sicuramente si impiegò del tempo, perché passarono sicuramente due o tre settimane da quando avevamo da studiare questi incarichi, e poi dicemmo di accettare solo quello per la stipula dell'accordo tra i soci e sull'altro ci fermammo”.

Pubblico Ministero: “Ecco, su questa indicazione di cercare di nei limiti del possibile di sbrigarvi, da chi le fu fatta? Staderini, Macrì, entrambi?”

Testimone Gigli: “Ma per me fu una battuta, eh!”

Pubblico Ministero: “Lasci perdere le intenzioni, riferisca a me, chi?

Testimone Gigli: Eh ricordarmelo, sicuramente Staderini, perché era con lui che si parlava, però io per essere precisa dovrei ricordarmi esattamente questo colloquio e non me lo ricordo nemmeno ora, cioè̀ che dovevamo comunque prendere questa decisione era chiaro, che non dovevamo far passare tanto tempo era chiaro, perché il tempo stringeva, essendo previsto novembre la quotazione bisognava appunto dare l’incarico, però io queste parole precise, tra l'altro anche quando mi interrogano, le dissi con un po' di incertezza, per il fatto che non ricordo esattamente questo particolare”.

È dunque evidente che l’interessamento eventuale del dottor Macrì non era rivolto specificamente alla stipula del contratto con l’Olivetti Rason, bensì alla necessità che vi fosse una decisione in tempi rapidi per non compromettere il percorso di quotazione in borsa di ESTRA S.p.A.

Ancora, Staderini asserisce che fu Macrì a metterlo in contatto con il Direttore Generale di Pronto Strade, Simone Rossetti, e con l’agente commerciale della stessa, Luciano Pisanello, ma di tale circostanza non è emerso alcun riscontro nell’istruttoria dibattimentale.

Occorre, comunque, evidenziare che il “mettere in contatto” due soggetti sicuramente non significa decidere e stabilire l’oggetto del contratto che i due eventualmente stipuleranno. Tanto più che dall’istruttoria dibattimentale è risultato chiaro che vi siano state delle trattative in merito e che il dott. Macrì non ha mai presenziato.

Non solo, è lo stesso Staderini, fra l’altro, ad ammettere in sede di incidente probatorio che in merito al Progetto Pronto Strade l’ Avv. Olivetti Rason svolse un gran lavoro (pag. 10 trascrizioni incidente probatorio “l’attività svolta da Olivetti Rason, si… lavorò tutto il Progetto, i contratti, eh… insomma, tutta la parte burocratica, di ricerca. Perché non era un contratto in esclusiva, non si poteva fare insomma. Ecco lui fece tutto…”).

Ad ogni buon conto, il teste Pisanello ha espressamente affermato che i rapporti erano direttamente con lo Staderini tanto che il primo consigliò al secondo un legale di Roma, l’avvocato Valla, esperto di fondi europei, come consulente per l’associazione che lo stesso gestiva, ma non solo, giacché ha ulteriormente constatato che, quando era accompagnato, l’amministratore di Coingas si presentava con il Dott. Cocci e non, evidentemente, con Macrì.

Tale circostanza stride ictu oculi con la considerazione che fosse Macrì l’anello di collegamento fra Staderini e Pisanello poiché, qualora lo fosse stato, sarebbe verosimile immaginare che lo avrebbe accompagnato quantomeno ai primi incontri (si legge a pag. 88 trascrizioni ud. 29.03.22 “Difesa, Avv. Del Corto – Esatto. Allora, sempre da solo? Staderini era sempre da solo? Testimone Pisanello L.–Ah no, no, no.
Difesa, Avv. Del Corto – Con chi? Testimone Pisanello L. – Con, difficile ricordare il cognome, però non so, osso descrivere, una persona alta ed era comunque un.., avevo un ruolo dentro COINGAS, alta e se non sbaglio aveva gli occhiali. Difesa, Avv. Del Corto – Allora lei prosegue dopo quella seconda opportunità̀: “Nella circostanza lo Staderini, si presentò unitamente al suo Commercialista”. Testimone Pisanello L. – Ok, sì, commercialista. Difesa, Avv. Del Corto – È vero? Testimone Pisanello L. – Sì, non ricordavo che ruolo avesse dentro COINGAS”).

Ancora, la stessa teste Rosai, afferma in merito che i rapporti inerenti le consulenze e i rispettivi compensi si svolgevano tra l’Olivetti e lo Staderini “Però ripeto io i contratti ma non li ho mai visti, ma nemmeno, cioè nel senso alla fine erano comunque rapporti tra Staderini e Rason, anche il fatto dei contratti, quindi diciamo era una cosa molto..” (pag. 42 trascrizioni ud. 26.04.2022).

Ora, dunque, appare evidente che non vi sia alcuna risultanza fattuale dell’asserita ingerenza del Macrì nei rapporti fra Staderini e l’Olivetti Rason.

In merito, infatti, nessuna rilevanza avrebbe la considerazione che Macrì partecipava attivamente alle assemblee di Coingas dal momento che egli era espressamente invitato, poiché, come ampiamente già esposto, l’unica funzione di Coingas era quella di ottenere i dividendi di ESTRA S.p.A. e, dunque, la presenza del Presidente era di primario interesse specialmente in una situazione in cui la partecipata comunale rischiava di essere alienata in ragione della “riforma Madia”.

Al riguardo la teste Gigli ha avuto modo di affermare, come si legge a pagina 30 delle trascrizioni dell’udienza del 29.03.2022, quanto segue:

“Pubblico Ministero – La domanda era un pochino di ESTRA, volevo sapere che all’interno delle Assemblee che ruolo aveva il Macrì, era spettatore, ascoltava o interveniva?

Testimone Gigli C. – Allora gli veniva data la parola e interveniva, questo per quanto riguarda due aspetti, uno per il bilancio e uno per il processo di quotazione.

Pubblico Ministero – E quindi le devo contestare, questa volta è proprio una contestazione, nel verbale lei disse: “Se corrisponde al vero che alle Assemblee di COINGAS lo Staderini si sedeva da parte e senza neanche introdurlo, il Macrì prendeva il microfono e parlava come fosse lui l'Amministratore di COINGAS, posso rispondere che corrisponde al vero”, questo sono le sue dichiarazioni.

Testimone Gigli C. – Allora, aveva molta più facilità del nostro Presidente, e sicuramente veniva introdotto, ma veniva solo introdotto e poi una volta che prendeva la parola, diciamo che sicuramente aveva facilità nel farsi ascoltare, devo dire anche un'altra cosa che forse non.., quando diciamo ho letto qualche cosa sulla Sentenza, che è stato ripetuto questo fatto che io avevo già detto, ma non completo, perché i soci stessi, erano contenti di sentire le notizie direttamente dal Presidente di ESTRA, sia per quanto riguardava il bilancio, sia per quanto riguardava la quotazione. C'era un interlocutore diretto a cui i soci facevano domande e a cui lui rispondeva, pertanto era visto in questo modo, diciamo, il suo intervento, voluto dai soci stessi.

Pubblico Ministero – E l'espressione “come fosse lui l'Amministratore”?
Testimone Gigli C. – Diciamo che aveva molta più facilità a parlare. Staderini era una figura molto gentile, molto educata, soprattutto con noi e rispettosa, però era molto ermetico e anche riservato, io l'ho interpretavo come se quello fosse il suo carattere, era quindi più faticoso diciamo ascoltarlo e forse anche nelle domande che noi potevamo fargli era molto breve, questo per me faceva parte del suo carattere.
Pubblico Ministero – E quindi veniva supportato da Macrì.
Testimone Gigli C. – E quindi volevo dire che a confronto le due figure, beh una prevaleva senz’altro, come figura, ma non perché fosse lui diciamo che doveva sostituire il Presidente, ma perché il nostro Presidente aveva secondo me anche un po' di timidezza, io la interpretai così, non lo conoscevo prima, e in quell'anno in cui sono rimasta in COINGAS, mi ha sempre dato questa impressione, non so se era riservatezza, diciamo o ancora un allenamento non proprio..

Pubblico Ministero – E quindi mi scusi, quindi siccome era timido e poco propenso parlare in pubblico, veniva sostituito da Macrì, questo..
Testimone Gigli C. – Ma no, no sostituito no, assolutamente.
Difesa, Avv. Pinucci – C’è opposizione Presidente.

Testimone Gigli C. – Lui prendeva solo la parola quando gli veniva data e sulle argomenti che interessavano ESTRA e i soci di COINGAS, vale a dire i soci di COINGAS avevano piacere che lui fosse in assemblea, questo si percepiva perché il contatto con i soci lo avevamo anche noi, e quindi diciamo i Sindaci dei vari Comuni, avevano piacere ad avere informazioni dirette da Macrì che era il Presidente di ESTRA e che era a dei tavoli in cui noi e loro non partecipavamo, e anche per il processo di quotazione, cioè avevano delle notizie che venivano riferite direttamente.”

Analogamente anche il teste Acciai, il quale, interpellato, ha risposto “Ma diciamo che sicuramente il rilievo di ESTRA su COINGAS, rispetto ai Comuni, riguardo ai dividendi che poi i Comuni acquisiscono da COINGAS, che poi sono utili di ESTRA, era quella la giustificazione che ci davamo della presenza del Presidente di ESTRA in COINGAS sostanzialmente. È vero che sicuramente io poi era la giustificazione che mi davo io era il fatto che sicuramente Macrì ha una personalità politica più di altri, quindi mi sono sempre detto che è una persona che probabilmente riesce ad apparire meglio di altri per questo motivo qua, perché essendo politico lo fa un po’ di mestiere” (pag. 42 trascrizioni ud. 19.04.2022).

L’intervento del dott. Macrì, dunque, riguardava sempre le circostanze legate ad ESTRA S.p.A. e la sua qualifica all’interno della compagine societaria, come confermato anche da quest’ultimo testimone, peraltro di estrazione politica differente rispetto al primo.

Infine, la telefonata del 31.05.2019 RIT. 61/19, progr. 853 tra Macrì e l’Avv. Olivetti Rason, con riferimento alla Sig.ra Mara Cacioli e al suo tornare al “ruolo di pensionata”. Occorre precisare che, come è noto, Coingas ed ESTRA S.p.A. avevano stipulato un contratto di service, ma che, nonostante ciò, il dott. Macrì non aveva certamente la possibilità di modificare i compiti della sig.ra Cacioli. Trattasi evidentemente di affermazioni senza alcuna rilevanza, in un contesto in cui vi era la necessità di acquisire in modo celere la consulenza legale per evidenti ed obiettive ragioni.

I.II.II Sull’inquadramento giuridico della condotta

Alla luce di quanto esposto, come è noto, la giurisprudenza di legittimità, pur adottando una nozione ampia di concorso morale, richiede, comunque, per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato a titolo di istigatore, che il soggetto abbia un ruolo quantomeno di agevolazione nella commissione del reato, rispetto al quale, in punto di elemento soggettivo, ancorché non sia necessario che sussista un previo accordo, deve esservi la consapevolezza anche unilaterale del contributo recato.

Invero, non emerge alcun ruolo del dott. Macrì. Infatti, né dalle intercettazioni né dalle risultanze testimoniali può desumersi niente che sia idoneo a fondare la contestazione accusatoria.

Infatti, risulta comunque necessario che il concorso morale venga ampiamente provato, come anche da ultimo affermato dalla sentenza Corte di Cassazione, Sez. III penale, 16.03.2021, n. 30035, la quale ribadisce “L'art. 110 c.p., fondamento della disciplina sul concorso di persone nel reato, esprime i due principi-cardine della materia, che sono il principio della pari responsabilità dei concorrenti e il teorema dell'equivalenza delle condizioni, come criteri d'individuazione del contributo punibile. La concezione unitaria del concorso di più persone nel reato, recepita nell'art. 110 c.p., consente di ritenere che l'attività costitutiva della partecipazione può essere rappresentata da qualsiasi contributo, di carattere materiale o psichico, del quale deve essere, nondimeno, fornita idonea prova, anche in via logica o indiziaria, mediante elementi dotati di sicura attitudine rappresentativa che involgano sia il rapporto di causalità materiale tra condotta e evento che il sostrato psicologico dell'azione. Secondo il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte, ai fini della configurazione del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (Sez. 6, n. 36818 del 22/05/2012, Rv. 253347; Sez. 4, n. 4383 del 10/12/2013, dep. 30/01/2014, Rv. 258185; Sez. 4, n. 24895 del 22/05/2007, Rv. 236853; Sez. 1, n. 5631 del 17/01/2008, Rv. 238648). Inoltre, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000 Rv. 218525) mentre il contributo concorsuale - ove sussistente - acquista rilevanza non solo quando si ponga come condizione dell'evento illecito, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore e di rafforzamento del proposito criminoso già esistente nei concorrenti, in modo da aumentare la possibilità di commissione del reato (Sez. 6, n. 36125 del 13/05/2014, Minardo e altro, Rv. 260235). In particolare, il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso). L'istigatore è colui il quale fa sorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente (nel qual caso si parla anche di determinatore) oppure rafforza l'altrui proposito criminoso già esistente o svolge opera di sostegno psicologico all'attività altrui (cfr Sez. 1, n. 2260 del 26/03/2014, dep. 16/01/2015, Rv. 261893 - 01, secondo cui la partecipazione psichica sotto forma di istigazione richiede la prova che il comportamento tenuto dal presunto concorrente morale abbia effettivamente fatto sorgere il proposito criminoso ovvero lo abbia anche soltanto rafforzato, esercitando un'apprezzabile sollecitazione idonea ad influenzare la volontà altrui)”.

Non si rinviene alcun elemento che possa confortare l’accusa nei confronti del Macrì nei termini di cui all’imputazione.

L’imputato, infatti, ha solo inizialmente presentato l’Avv. Olivetti allo Staderini per risolvere problemi di incompatibilità lavorativa di quest’ultimo, ma non ha imposto alcunché rispetto all’operato del legale in Coingas né vi è alcun elemento, nemmeno indiziario, che possa far desumere che il Macrì sapesse di come si svolgeva in concreto il relativo rapporto professionale.

In tal senso, certo non può ritenersi sufficiente per affermare la sua responsabilità a titolo di concorso morale nel reato il mero “aver messo in contatto” i due né l’aver raccolto le confidenze a titolo anche di amicizia dell’Avv. Olivetti, non essendo elementi idonei ad avallare la tesi accusatoria della volontà e consapevolezza del dott. Macrì dell’altrui condotta, qualora essa venga ritenuta sussistente.

Al riguardo, è significativa anche la giurisprudenza in materia di “raccomandazioni” o “segnalazioni” di un soggetto ad un altro ove è stato affermato in ipotesi di reati contro la pubblica amministrazione – come quello del caso che ci occupa in questa sede- che “Come è stato affermato da un condivisibile arresto del Supremo Collegio, infatti, in tema di abuso di ufficio, non è configurabile nella mera "raccomandazione" o nella "segnalazione" una forma di concorso morale nel reato, in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato, atteso che la "raccomandazione", come fatto a sé stante, non ha efficacia causativa sul comportamento del soggetto attivo, il quale è libero di aderire o meno alla segnalazione secondo il suo personale apprezzamento (cfr. Cass., sez. VI, 13/04/2005, n. 35661)” (Cass. Pen. sez. V, 16/05/2014, n. 32035, si v. più recentemente Cass. Pen., sez. VI, 02/12/2021, n. 46630, Cass. Pen., sez. V, 12/07/2019, n. 40061, nonché più risalente Cass. Pen., sez. IV, 09/09/1985).

Dal compendio probatorio assunto in fase dibattimentale, non è emerso niente di più di una mera presentazione da parte di Macrì, né alcun comportamento positivo che abbia avuto un’efficacia coattiva nella scelta del consulente. Lo stesso Staderini in fase di incidente probatorio ha dichiarato che Macrì ha semplicemente affermato che avrebbe potuto “mettere dentro” l’Olivetti alla compagine Coingas, non potendo sicuramente un tale inciso ritenersi spiegare un’efficacia coattiva della volontà di nessuno.

Peraltro, occorre anche precisare che il conferimento di incarico legale ad un consulente esterno, anche qualora riguardi una pubblica amministrazione e quindi a maggior ragione una società privata ancorché a capitale pubblico, viene effettuato fiduciariamente (pacifico a partire dalla Sentenza della Corte di Giustizia Europea, 6 giugno 2019, causa C-264/18 a cui si è uniformata anche la giurisprudenza interna, si veda in merito Corte dei conti, Sez. giurisd. Lazio, 8.06.2021, n. 509).

Orbene, da tutto quanto esposto, in assenza di alcun elemento che possa avallare la tesi accusatoria, si richiede che il dott. Macrì sia assolto, ai sensi dell’art. 530 comma primo, perché il fatto non sussiste.

II. Sul capo 8): il delitto di abuso di ufficio per violazione dell’art. 7, comma 2, lett. d) D.Lgs. 39/2013 e dell’art. 78, comma 1, D.Lgs. 267/2000

Al dott. Francesco Macrì viene contestato a titolo di concorso in qualità di istigatore e beneficiario la fattispecie di cui all’art. 323 c.p. in violazione dell’art. 7, comma 2, lett. d), del D.Lgs. n. 39/2013, che prevede il divieto di svolgere incarichi di amministrazione in enti privati in controllo pubblico (quale ESTRA S.p.A.) per coloro che nell’anno precedente abbiano rivestito la carica di consigliere comunale in Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, considerato che Macrì era consigliere del Comune di Arezzo, nonché dell’art. 78, comma 1, del D.Lgs. 267/2000 concernente gli obblighi degli amministratori locali di imparzialità e buona amministrazione.

Si rileva la non sussumibilità dei fatti concreti nella fattispecie contestata in ragione dell’insussistenza dei relativi elementi costitutivi, non essendosi verificata, a livello oggettivo, alcuna violazione delle normative citate, né essendo possibile, a livello soggettivo, ritenere integrata la responsabilità a titolo di dolo dell’imputato.

II.I. Sull’insussistenza degli elementi oggetti del delitto di abuso di ufficio: la asserita violazione dell’art. 7 del D.lgs. 39/2013

L’art. 7 del D.Lgs. n. 39/2013 disciplina le cause tassative di “Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale”.

In particolare, al comma 2, lett.d) tale norma prevede che non possono essere conferiti “A coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione” incarichi, per ciò che concerne la presente fattispecie, “di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione”.

Pertanto, dalla disamina generale della norma, il divieto sussiste nelle ipotesi caratterizzate dai seguenti elementi (per quanto attiene strettamente alla condotta in contestazione):

- aver svolto nell’anno precedente la carica di consigliere comunale in un Comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti;

- l’esercizio del potere di conferimento dell’incarico di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico in capo all’Amministrazione locale presso cui si esercita la carica di consigliere;

- aver ricevuto l’incarico di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico dal Comune presso cui si esercita la carica di consigliere.

Nell’applicazione della suddetta norma al caso specifico – secondo la tesi accusatoria – pertanto:

  1. ESTRA dovrebbe essere considerata quale ente di diritto privato in controllo pubblico e, precisamente, secondo la ratio della norma, soggetta al controllo del Comune di Arezzo presso cui Macrì esercitava la carica di consigliere comunale;

  2. il Comune di Arezzo avrebbe il potere di conferire gli incarichi di amministratore in ESTRA.

II.I.II. Sull’inconfigurabilità di ESTRA quale società a controllo pubblico.

Al fine di valutare la tesi accusatoria in relazione al capo 8) della rubrica si rende necessario vagliare l’eventuale riconducibilità di ESTRA S.p.A. al novero delle società a controllo pubblico, quale requisito essenziale per determinare l’applicazione della disciplina in materia di conferibilità degli incarichi che si ritiene violata.

Il D.Lgs. n. 175/2016, Testo Unico in materia di società partecipate, all’art. 2, comma 1, pone, ai fini che qui interessano, le seguenti definizioni:

  • alla lettera m), per “società a controllo pubblico” si intendono “le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”;

  • alla lettera b), per “controllo” deve intendersi “la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

Parzialmente diversa è la definizione fornita dall’art. 1 del D.Lgs. n. 39/2013, secondo cui gli enti di diritto privato in controllo pubblico cui si applica tale decreto legislativo sono “le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell'articolo 2359 c.c. da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi”.

Pertanto, sulla base delle disposizioni richiamate risulta che sono a controllo pubblico le società in cui una o più pubbliche amministrazioni si trovano rispetto alla società nella situazione descritta dall’art. 2359 c.c., ma per il D.Lgs. n. 39/2013, la cui violazione è contestata nel capo di imputazione, oltre al controllo è necessario l’esercizio di funzioni amministrative, attività di produzione e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici. In alternativa, il controllo pubblico si determina quando in relazione alle predette società siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi.

II.I.II.A) L’impossibilità di configurare la fattispecie del controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c.

Nella vicenda in esame, la valutazione sulla qualificazione giuridica di ESTRA potrebbe già arrestarsi al profilo del controllo civilistico, il quale non sussiste nella vicenda in esame, già in applicazione dei parametri dell’art.2359 c.c.

L’art. 2359 c.c. individua le seguenti situazioni che danno luogo al controllo nelle società e, per effetto del rinvio a questa norma da parte del testo unico sulle società partecipate anche al controllo pubblico ovvero il controllo delle pubbliche amministrazioni sulle società:

- quando un singolo ente pubblico disponga nella partecipata la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto);

- quando un singolo ente pubblico disponga nella partecipata di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (controllo di fatto);

- quando la società partecipata sia sotto l’influenza dominante di un singolo ente pubblico in virtù di particolari vincoli contrattuali con esso (controllo esterno).

Orbene, escludendosi nel caso di specie la ricorrenza di un’ipotesi di controllo di diritto di cui al n. 1, mediante la maggioranza dei voti esercitabili in assemblea, l’ipotesi di cui al n. 2 di controllo di fatto (a cui fa richiamo l’Autorità nel provvedimento impugnato), secondo la prevalente ermeneutica, individua evenienze di controllo, ontologicamente monocratico (ovvero esercitabile da parte di un solo ente e non congiuntamente), in cui una società o un ente, rispettivamente, dispone di un potere di indirizzo e coordinamento ovvero di un potere di disposizione sulle azioni sociali attraverso un’influenza dominante, nonostante una percentuale diversa da quella maggioritaria.

Il comma 2 della menzionata previsione dispone, inoltre, che “ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi” (c.d. controllo indiretto), e dunque facendo riferimento alle sole ipotesi di voti maggioritari di società controllate (si ribadisce che il Comune di Arezzo non detiene la maggioranza di Coingas e che quest’ultima in Estra il solo 25% del capitale), non facendo riferimento al controllo esterno mediante vincoli contrattuali.

Peraltro, la norma non fa alcuna menzione delle ipotesi in cui siano più società ad esercitare congiuntamente tale controllo indiretto.

Non pare potersi negare, quindi, che l’intero impianto della norma codicistica ha ad oggetto ipotesi di controllo, diretto, o anche indiretto ai sensi del comma 2, che deve essere esercitato tendenzialmente in via “monocratica” o “solitaria” da parte di un solo soggetto controllante mediante una percentuale di voti maggioritaria.

Al riguardo, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti in sede giurisdizionale hanno dato la seguente interpretazione della nozione di controllo pubblico, affermando che, laddove vi sia una pluralità di soci pubblici, di cui nessuno detiene la maggioranza del capitale sociale, “la situazione di controllo pubblico non può essere presunta in presenza di "comportamenti univoci o concludenti" ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie a da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società.

Occorre sottolineare, peraltro, che nel TUSP non viene mai utilizzata l’espressione “controllo congiunto” (coniata dalla giurisprudenza amministrativa e che evoca la possibilità di accordi più o meno formali tra pubbliche amministrazioni) mentre è previsto il “controllo analogo congiunto” che si realizza tutte le volte in cui “l’amministrazione esercita congiuntamente ad altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”: laddove il legislatore avesse voluto intendere analoga modalità di azione fra pubbliche amministrazioni avrebbe usato identica terminologia.

Peraltro, sotto il profilo normativo, nessuna disposizione prevede espressamente che gli enti detentori di partecipazioni debbano provvedere alla gestione delle partecipazioni in modo associato e congiunto: l’interesse pubblico che le stesse sono tenute a perseguire, infatti, non è necessariamente compromesso dall’adozione di differenti scelte gestionali o strategiche che ben possono far capo a ciascun socio pubblico in relazione agli interessi locali di cui sono esponenziali" (Corte dei Conti, SS.RR. in sede giurisdizionale, 22.05.2019, n. 16; in termini, Corte dei Conti, SS.RR. in sede giurisdizionale, 29.07.2019, n. 25).

Il requisito dell’univocità delle determinazioni dei soci partecipanti viene ancorato a specifiche fonti di regolazione della condotta in assemblea e, pertanto, non può essere desunto da meri comportamenti concludenti.

Anche la più recente giurisprudenza amministrativa risulta aderire all’orientamento delle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale (T.A.R. Marche, Ancona, Sez. I, 11.11.2019, n. 695; in termini, Cons. St., Sez. V, 23.01.2019, n. 578, secondo cui al fine di assicurare il controllo pubblico sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche della società è necessaria la presenza di strumenti negoziali che possa dar modo alle amministrazioni pubbliche di coordinare e, dunque, rinforzare la loro azione collettiva).

In merito, è necessaria pertanto la forma scritta, prescritta ad substantiam per i contratti della pubblica amministrazione siccome adeguata al contenuto e alla causa dell’attività negoziale della stessa, è “espressione dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione e garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, visto che solo tale forma permette di identificare con precisione l’obbligazione assunta e l’effettivo contenuto negoziale dell’atto” (Cass. Civ., SS.UU., 9 agosto 2018, n. 20684).

Tali accordi, dunque, devono necessariamente rivestire la forma scritta ed essere preventivamente deliberati dall’organo competente di ciascuna Amministrazione (Corte Conti sez. riunite, n. 25/2019/EL, punti 2.4. e 2.5), non essendo sufficiente desumere il controllo pubblico dalla mera astratta possibilità per i soci pubblici di far valere la maggioranza azionaria in assemblea (T.A.R. Lazio Roma 19 aprile 2019, n. 5518).

Ed ancora, è stato evidenziato che “il controllo societario ex art. 2359 può ritenersi unitariamente realizzato da più amministrazioni pubbliche quando: a) gli organi decisionali della società controllata sono composti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, taluni dei quali possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni partecipanti; b) le pubbliche amministrazioni congiuntamente — grazie ad accordi tra loro o a comportamenti paralleli — dispongono della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria (controllo di diritto), ovvero di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria (controllo di fatto), oppure esercitano congiuntamente sulla società un'influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con esse; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni controllanti. Non è invece sufficiente la mera titolarità pubblica della maggioranza di capitale, essendo tale elemento, da solo considerato, estraneo all'art. 2359 c.c., che riguarda le due ipotesi del « socio sovrano » e del « socio tiranno », in cui chi esercita il controllo è il dominus della società. Concetto che certo non può dirsi integrato allorquando le pubbliche amministrazioni, pur avendo la maggioranza del capitale, agiscano separatamente” (Consiglio di Stato sez. I, 04/06/2014, n.594).

Pertanto, la giurisprudenza amministrativa e poi anche quella contabile, che ad essa si è uniformata, hanno ritenuto di dover sottoporre ad una puntuale verifica documentale (mediante clausole o patti parasociali) l’influenza pubblica congiunta dell’attività della società controllata, senza operare alcuna distinzione tra controllo diretto e indiretto, non potendosi valorizzare in via critico-argomentativa gli indici presuntivi dei taciti accordi determinanti un consapevole parallelismo comportamentale.

In altre parole, se il legislatore avesse voluto estendere il controllo anche al caso in cui più amministrazioni detengano meramente più partecipazioni lo avrebbe fatto espressamente e, in ogni caso, la formulazione normativa vigente, laddove fa riferimento ad un “esercizio” del controllo, chiaramente riguarda una situazione attiva di tipo amministrativo funzionale, non ritenendo sufficiente la mera titolarità statico-dominicale del possesso delle partecipazioni.

Da ciò discende che, pur volendo considerare l’esaminata estensione della nozione di controllo del D.Lgs. n. 175/2016, laddove applicabile anche al D.Lgs. n. 39/2013 (che comunque non ne fa espresso richiamo), non è presente nel nostro sistema normativo l’evenienza di un controllo pubblico congiunto esercitato, peraltro in via indiretta, in assenza di indici formalizzati di controllo nella società ‘tramite’.

In senso conforme, si è espressa, altresì, una recente sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna resa nel dicembre 2020, in base alla quale “nelle società partecipate da più amministrazioni pubbliche il controllo pubblico non sussiste in forza della mera sommatoria dei voti spettanti alle amministrazioni socie; dette società sono a controllo pubblico solo allorquando le amministrazioni socie ne condividano il dominio, perché sono vincolate - in forza di previsioni di legge, statuto o patto parasociale – ad esprimersi all'unanimità, anche attraverso gli amministratori da loro nominati, per l'assunzione delle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale” (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 28.12.2020, n. 858).

Da ultimo, si evidenzia come la stessa ANAC abbia tendenzialmente accolto tale nozione, con la delibera n. 859 del 25.09.2019, informata ad un sostanziale criterio di precauzione nell’apprezzamento in ordine alla configurabilità di un controllo pubblico.

In particolare, sulla base di tale indirizzo interpretativo, “l’Autorità, laddove non emerga chiaramente la qualificazione della società, che possa essere desunta anche da pronunce giurisprudenziali, ritiene di considerare la partecipazione pubblica maggioritaria al capitale sociale quale indice presuntivo della situazione di controllo pubblico.

Tale circostanza costituisce il presupposto per un eventuale avvio di procedimenti di vigilanza. Spetterà alla società interessata, che intenda rappresentare la non configurabilità del controllo pubblico, dimostrare l’assenza di un coordinamento formalizzato tra i soci pubblici e l’influenza dominante del socio privato.

Nel corso del procedimento può quindi aprirsi una fase istruttoria per la verifica della situazione di controllo in cui la società è tenuta a provare l’assenza di forme di coordinamento tra le pubbliche amministrazioni desumibili da norme di legge, statutarie o da patti parasociali ovvero l’influenza dominante del socio privato.

Tale posizione appare, allo stato, maggiormente aderente alla formulazione letterale delle definizioni di cui all’art. 2, lett. b) e m) del TUSP e coerente con il concetto di “controllo” ex art. 2359 del codice civile, come evidenziato dalla giurisprudenza contabile e amministrativa (...).

Rimangono comunque ferme le disposizioni contenute nell’art. 1 del d.lgs. 39/2013 per l’individuazione degli enti di diritto privato in controllo pubblico, ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi" (Delibera ANAC n. 859 del 25 settembre 2019).

In sostanza, l’Autorità pone una presunzione relativa di coordinamento dei soci pubblici nell’ottica del principio di precauzione e del proficuo avvio dei provvedimenti di vigilanza, ovviamente suscettibile di prova contraria nell’ambito del contraddittorio procedimentale. Laddove non vi sia un effettivo riscontro di tale presunto coordinamento nelle delibere e negli indirizzi gestionali dell’attività, tale presunzione è destinata a venir meno.

Pertanto, si può ritenere, in adesione a siffatta tesi, che si è in presenza di una società a controllo pubblico unicamente allorché le pubbliche amministrazioni intestatarie della maggioranza del capitale sociale siano tenute, in forza di specifici obblighi normativi, statutari o contrattuali, ad esprimere in modo univoco i rispettivi indirizzi gestionali e votazioni assembleari.

D’altra parte, se così non fosse, non apparirebbe superabile la circostanza per cui, in assenza di vincoli formali, i soci pubblici non sono in alcun modo tenuti ad esprimere in modo univoco i propri orientamenti. Ritenere una società soggetta a controllo pubblico anche in una simile condizione sottintende una nozione di “controllo” prossima, se non coincidente, con la mera partecipazione e del tutto esorbitante dall’accezione civilistica, indefettibile termine di paragone in forza del rinvio al diritto comune contenuto nel TUSP.

ESTRA per la sua natura non rientra nella categoria di società controllata da enti pubblici, ai sensi dell’art. 2359 c.c.

In ESTRA non si configura pacificamente il caso di una singola pubblica amministrazione titolare di una partecipazione di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., come emerge dalla frammentazione del suo capitale, in ragione della titolarità in capo a più società, il capitale delle quali è poi polverizzato in un numero decisamente elevato di Comuni.

Per completezza di analisi, si ricorda, infine, che notoriamente la nozione di controllo dell’art. 2359 c.c. non fornisce spazio alcuno per la figura del cd. controllo congiunto, che anzi ne costituisce l’antitesi (F. Galgano, “Diritto commerciale. Le società”, Bologna 2009, pag. 231), al di là del fatto che nel caso di specie pacificamente la lett. d) dell’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 39/2013 attribuisce tipicamente rilevanza al controllo di “una” singola amministrazione, come è evidenziato dal tenore letterale della norma, già escludendo, dunque, la rilevanza del cd. controllo congiunto.

In ogni caso, non ci si sottrae a sottolineare che la nozione di controllo prevista dall’art. 2359 c.c. postula sempre la unicità della controllante, con l’effetto, fra l’altro, che anche l’eventuale patto parasociale diventerebbe rilevante agli effetti della nozione di controllo, solo se valga ad attribuire ad un solo socio effettivo potere sulle sorti della società. Insomma, l’accertamento dell’esercizio del controllo ex art. 2359 c.c. va sempre parametrato rispetto ad un singolo socio, presupponendo la nozione di controllo la condizione di “solitudine” del socio che lo esercita.

Infatti, risulta doveroso rilevare che la società, all’epoca dei fatti, era interamente partecipata da società a capitale pubblico maggioritario di Enti locali e non da Enti locali. Infatti, essa era partecipata per il 43,893% da CONSIAG S.p.A., per il 27,932% da INTESA S.p.A., per il 27,932% da COINGAS S.p.A. e per lo 0,243% da ETA 3 S.p.A.

A loro volta, le società titolari delle partecipazioni sociali di ESTRA si caratterizzavano rispettivamente per le seguenti compagini sociali:

- CONSIAG era partecipata da Comuni e per il 3,32% delle azioni in capo alla stessa;

- INTESA era partecipata da Comuni e per il 0,01% delle azioni in capo alla stessa;

- COINGAS era era partecipata da Comuni, salvo per il 9,77% delle azioni in capo alla stessa. Fra i Comuni della compagine sociale si contava anche il Comune di Arezzo, in qualità di titolare del 40,76% delle azioni;

- ETA 3 era partecipata per il 66,99% da ESTRA e per il 33,01% da EDISON S.p.A.

In tale contesto, l’art. 19, comma 4, dello Statuto della Società ESTRA attribuiva al socio COINGAS, oltreché ai soci CONSIAG e INTESA “il diritto di nominare un amministratore ciascuno purché ciascuno di detti soci detenga almeno il 20% (venti per cento) del capitale sociale. Tale diritto ha natura personale e non reale, di talchè non si trasferisce unitamente alla partecipazione in cui si incarna, ma, nel caso di trasferimento, ad ogni titolo e per ogni causa, esso si estingue …”.

COINGAS deteneva una partecipazione sociale superiore al 20%, per quanto sopra.

Tale norma deve essere coordinata con la competenza riconosciuta dall’art. 13, comma 2, dello Statuto di ESTRA all’Assemblea ordinaria per la “nomina e … revoca dei componenti il Consiglio di Amministrazione”.

D’altra parte, ai sensi dell’art. 22, comma 1, dello Statuto “Il Consiglio di Amministrazione, qualora non via abbia provveduto l’Assemblea, elegge il Presidente”, mentre ai sensi del successivo comma “Il Presidente del Consiglio di Amministrazione ha il compito di presiedere il Consiglio di Amministrazione, facendo sì che il medesimo sia sempre perfettamente e pienamente informato della attività sociale” e non ha quindi, di per sé, deleghe gestionali dirette.

Ciò premesso, appare di tutta evidenza che:

- la compagine societaria di ESTRA, per come sopra descritta, comporta che non possa in alcun modo ritenersi che un Ente Pubblico e, nel caso specifico, il Comune di Arezzo, quale titolare del 40,76% delle azioni detenute da COINGAS (a sua volta detentore del solo 27,932% delle azioni di ESTRA), possa ritenersi che eserciti il controllo sulla suddetta società;

- non sono stati stipulati patti parasociali che determinino situazioni di coordinamento tra i soci per la gestione finanziaria e strategica della società;

- a nulla rileva il fatto che le partecipazioni siano pubbliche. Il predetto coordinamento deve sussistere tra i soci che insieme determinano la maggioranza, indipendentemente dalla loro natura giuridica pubblica o privata.

Nessuna forma di controllo, pertanto, può in alcun modo configurarsi nella vicenda in esame, né diretta, né congiunta a mezzo di patti parasociali, proprio nei termini evidenziati nella ricostruzione normativa e giurisprudenziale formulata.

Né ciò potrebbe essere affermato rilevando la frammentarietà del capitale sociale giacchè, come esposto, per realizzarsi il controllo pubblico, esercitato da una o più amministrazioni, non è sufficiente la mera titolarità da parte di una o più P.A. di una quota di maggioranza relativa del capitale, essendo tale elemento, da solo, estraneo alla ratio dell’art. 2359, che non abbraccia le ipotesi della mera composizione pubblicistica del capitale sociale, bensì quelle del “socio sovrano” o del “socio tiranno”, in cui chi esercita il controllo è sostanzialmente il dominus della società.

In altre parole, altro è la composizione pubblicistica di un capitale frammentato, altro è l’individuazione di un ente pubblico che, tra i titolari di quote, non essendo in possesso di una quota maggioritaria, in virtù di altri elementi da provare, spicca come il dominus delle scelte societarie.

Tale evenienza di controllo non si riscontra nel caso di specie, in assenza di dati societari o elementi fattuali che attestano l’esercizio del controllo pubblico di fatto, mediante l’influenza dominante su Coingas, e men che meno su Estra, esercitata da parte del Comune di Arezzo.

II.I.II.B). L’insussistenza dell’ulteriore requisito del controllo costituito dall’esercizio di funzioni amministrative, attività di produzione e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici.

Orbene, pur considerato che l’oggetto sociale di ESTRA è “la gestione diretta e indiretta, anche tramite società partecipate, di attività attinenti i settori gas, telecomunicazioni, energetici, idrici, ambientali e servizi relativi, nel rispetto delle vigenti disposizioni pubblicistiche generali e di settore” (art. 4, Statuto), ai fini che qui rilevano (connotazione della qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio ex art. 323 c.p.) occorre necessariamente valutare l’attività concretamente svolta (Cass. Pen., Sez. VI, n. 39434/2019) dalla stessa, mentre l’oggetto sociale previsto da Statuto individua solo un astratto e potenziale campo di azione della società (e, quindi, di riflesso dell’indagato stesso).

Si richiama a tal fine la sentenza n. 6427/2010 con cui la Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio del componente di un’azienda speciale aeroportuale che abbia come scopo quello di “incrementare le attività turistiche e commerciali ad esso collegate”, stante la natura privatistica dell’Ente in quanto privo di poteri autoritativi e certificativi e considerata l’attività in concreto svolta dalla società. Nel caso esaminato dalla Corte si è provveduto a valutare l’effettiva attività svolta dalla società concessionaria, rilevando che laddove tale attività sia priva del carattere pubblicistico e assuma connotati commerciali e imprenditoriali, deve necessariamente escludersi la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dei componenti del CdA (Sez. VI, 15.01.2010, n. 6427).

In tal senso, si è inserita anche la pronuncia n. 13284 del 07.02.2018, con cui la Corte di Cassazione ha affermato espressamente che non può riconoscersi la qualifica di incaricato di pubblico di servizio al componente di una società avente natura privatistica, in quanto soggetto privo di poteri autoritativi e certificativi. In particolare, la Corte di Cassazione ha inteso effettuare una verifica puntuale sul tipo di attività oggetto di contestazione svolta dalla società, rilevando che qualora essa non abbia profili e ricadute pubblicistiche, e sia connotata da carattere commerciale, determini la natura di diritto privato dell’ente con le identiche conseguenze in tema di qualifiche soggettive dei componenti del CdA, che non assumono la veste di incaricati di pubblico servizio.

Conseguentemente, diviene in tal modo dato essenziale per la configurabilità dell’indicata categoria di reati rispetto a società a partecipazione pubblica non il carattere soggettivo, e quindi la natura pubblica o privata del soggetto agente, quanto piuttosto il dato obiettivo della natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate.

Ciò posto, dalla disamina delle attività poste in essere da ESTRA, si evince che questa svolge attività di coordinamento e gestione accentrata di funzioni aziendali (pianificazione strategica ed organizzativa, pianificazione finanziaria e di bilancio, obiettivi e politiche di marketing, politiche, strategie e pratiche di gestione delle risorse umane, programmazione della produzione, pianificazione e controllo della gestione aziendale).

Dette attività non assumono rilievo “pubblicistico”, in quanto non qualificabili quali “funzioni amministrative”, né quali “attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche” e, infine, nemmeno quali “gestione di servizi pubblici”.

Infine, si rileva come al fine di escludere la natura di ESTRA quale società soggetta a controllo pubblico appare fondamentale l’operazione condotta nel 2016 volta all’emissione di un prestito obbligazionario, con cui ESTRA ha confermato la propria presenza sul mercato obbligazionario internazionale, al fine di finanziare le attività del Gruppo.

Si può, pertanto, affermare che la fisionomia di ESTRA è contrassegnata dall’indipendenza e dall’autonomia, dall’apertura al libero mercato e dall’adozione del modello privatistico, che non ne consentono la riconducibilità all’ente pubblico o anche alla società in house.

A tal proposito, si rileva come le Sezioni Unite, in relazione ad un’azione promossa dalla Procura della Corte dei Conti nei confronti di componenti del consiglio di amministrazione di S.p.A. Ferrovie dello Stato, hanno escluso la natura erariale pubblicistica del danno, affermando la giurisdizione del giudice ordinario in base alla considerazione che la suddetta società svolgeva un’attività economica e commerciale in regime di mercato libero e la sua veste giuridica non rappresentava un mero schermo di copertura di una struttura amministrativa pubblica (Cass., Civ., Sez. Un., 22 gennaio 2015, n. 1159): tutti indici che caratterizzano anche ESTRA.

Inoltre, la natura di società in controllo pubblico è stata esclusa dalla Suprema Corte anche con riferimento alle Ferrovie del Sud Est, laddove ha affermato che la circostanza indicata dalla Procura contabile, concernente la composizione del collegio sindacale della società come prevista dallo statuto, il quale contemplava che l’assemblea potesse sceglierne i componenti, quanto al Presidente, tra i magistrati della Corte dei Conti e, quanto agli altri due membri, tra il personale appartenente rispettivamente ai ruoli del ministero dell’economia e delle finanze e del ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non contraddiceva, ma confortava la connotazione di soggetto non sottoposto al controllo pubblico, in quanto prevedeva sì la possibilità d’incisione del socio unico pubblico, ma in seno alle dinamiche della vita sociale, nella fase del controllo affidato al collegio sindacale e per il tramite degli strumenti previsti dal diritto societario, non già iure imperii (Cass. Civ., Sez. Un., 15.05.2017, n. 11983).

In conclusione, ESTRA non può neppure riconoscersi quale società strumentale agli Enti che ne detengono il capitale, poiché l’oggetto tipico delle società strumentali, in quanto “destinate a produrre beni e servizi finalizzati alle esigenze dell’ente pubblico partecipante” (Consiglio di Stato, Ad. Pl., n. 17/2011) è la “autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni” (art. 4, comma 2, lett. d), del D.Lgs. n. 175/2016).

ESTRA è invece una società operante sul mercato secondo le regole della libera concorrenza, cosicché la posizione dell’ente pubblico “controllante” (che, peraltro, nel caso di specie neppure si ravvisa) non è quella di committente/concedente pubblici servizi, ma semplicemente quella di un socio di società di capitali.

Nemmeno rileva, a tali fini, l’autodefinizione del “ruolo pubblico” della società, rinvenibile nel codice etico di Estra, in quanto da esso non può discendere una auto-attribuita (e comunque non conducente ai fini del D.Lgs. n. 39/2013) qualità pubblica, ma unicamente un’affermazione del ruolo di gruppo societario radicato sul territorio e la cui attività hai impatti immediati nella realtà socio-economica del territorio.

Da ultimo, si osserva che, al fine di escludere la natura di ESTRA quale società soggetta a controllo pubblico, appare rilevante l’emissione nel 2016 di un prestito obbligazionario, con cui ESTRA ha confermato la propria presenza sul mercato obbligazionario internazionale, al fine di finanziare le attività del Gruppo.

Si ritiene, pertanto, che sotto il profilo oggettivo non possa riconoscersi nel caso di specie il paradigma di cui all’art. 7, comma 2, lett. d), del D.Lgs. n. 39/2013.

II.I.III. Sul potere di conferimento dell’incarico in ESTRA da parte del Comune di Arezzo.

Inoltre, l’art. 7 del D.Lgs. n. 39/2013 individua espressamente che debba essere l’Amministrazione locale presso cui si esercita la carica di consigliere comunale ad avere il potere di conferire l’incarico di amministratore presso la società in controllo pubblico.

Da ciò consegue, nell’applicazione concreta, che solo laddove il Comune di Arezzo avesse un siffatto potere all’interno di ESTRA, il divieto sopra descritto troverebbe applicazione.

Orbene, la compagine societaria di ESTRA all’epoca di cui si discute era così composta:

- 43,893% partecipata da CONSIAG S.p.A.;

- 27,932% partecipata da INTESA S.p.A.;

- 27,932% partecipata da COINGAS S.p.A.;

- 0,243% da ETA 3 S.p.A.

A loro volta:

- COINGAS era partecipata da Comuni, salvo per il 9,77% delle azioni in capo alla stessa. Fra i Comuni della compagine sociale si contava anche il Comune di Arezzo, in qualità di titolare del 40,76% delle azioni;

- CONSIAG era partecipata da Comuni e per il 3,32% dalla stessa società;

- INTESA era partecipata da Comuni e per il 0,01% dalla stessa;

- ETA 3 era partecipata per il 66,99% da ESTRA e per il 33,01% da EDISON S.p.A.

Nell’originario Statuto, inoltre, era previsto che a ciascun socio competesse la nomina di un membro del CdA (art. 19). Il Presidente del CdA, invece, veniva eletto dall’Assemblea e, in sua assenza, dal CdA (art. 22). L’Assemblea delibera validamente con l’intervento di un voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno il 78% del capitale sociale (art. 17). Il CdA delibera, invece, con la maggioranza dei consiglieri in carica.

È di palmare evidenza che il potere di conferire la carica di amministratore in ESTRA è, pertanto, attribuito ai soci della stessa e giammai direttamente al Comune di Arezzo, neppure nella sua veste di socio della COINGAS.

Ad una diversa interpretazione non si potrebbe approdare, considerato che la norma, nella lettura combinata con l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 39/2013, espressamente disciplina il divieto de quo nell’ipotesi in cui sia proprio e direttamente l’Amministrazione locale (in cui si sia svolto un ruolo quale consigliere comunale) a conferire l’incarico di amministratore nella società in controllo pubblico e non anche nell’ipotesi in cui essa sia socia di uno dei soci formanti la compagine societaria in cui si eserciterà la carica gestoria.

In altri termini, il tenore letterale della norma insiste sul conferimento dell’incarico da parte del comune o da parte di altro ente pubblico. Nelle “definizioni” di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 39/2013, infatti, le “pubbliche amministrazioni” di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 s.m.i. (che, come tali, ricomprendono anche i Comuni) e gli “enti pubblici”, rispettivamente definiti alle lett. a) e b) dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 39/2013, sono nettamente distinti dalle società, che sono invece incluse nelle categorie degli “enti di diritto privato in controllo pubblico” e degli “enti di diritto privato regolati o finanziati”, rispettivamente definite, invece, alle lett. c) e d) rispettivamente dello stesso art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 39/2013.

Ebbene, nel caso di specie, la nomina non è esercitata da una pubblica amministrazione di cui all’art. 1, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 39/2013 e nemmeno da un ente pubblico di cui all’art. 1, comma 2, lett. b), del D.Lgs. n. 39/2013, ma appunto da società per azioni regolarmente iscritte e, come tali, trattasi di persone giuridiche del tutto distinte dai loro soci.

Come sopra esposto, a termini di Statuto son ben tre le società che rispettivamente nel periodo in considerazione avevano diritto a nominare un amministratore ciascuno, con il che non vi è dato per sostenere la primazia di una società quale COINGAS (che non è una pubblica amministrazione e, quindi, tantomeno la primazia di una pubblica amministrazione) e insomma ancor meno del Comune di Arezzo.

La tassatività della norma richiamata, secondo cui solo laddove l’esercizio del potere di conferimento della carica di amministratore all’interno di una società soggetta a controllo pubblico sia direttamente attribuito alla P.A. in cui il soggetto destinatario della nomina abbia svolto l’incarico di consigliere, non solo è palesemente deducibile dalla interpretazione letterale, ma ha trovato conferma nella giurisprudenza amministrativa.

In una fattispecie simile a quella in oggetto, il T.A.R. Sardegna (Sez. I, 31/05/2018, n. 532) ha escluso l’applicabilità della suddetta norma (comma 1 – enti di livello regionale), ritenendo che non ricorresse il divieto ivi previsto nel caso in cui ad un soggetto - già presidente della disciolta Autorità Portuale di Cagliari e successivamente commissario del predetto Ente - era stato conferito l’incarico di Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale (considerato a tutti gli effetti ente pubblico di livello regionale), considerato che seppur nel procedimento di nomina vi era un apporto diretto da parte della Regione, quale P.A. presso cui aveva svolto un incarico, tale apporto non poteva ritenersi sufficiente a configurare la fattispecie normativa, stante che il provvedimento finale veniva assunto a livello statale dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

In particolare, il G.A. ha evidenziato come in quella fattispecie la norma speciale che disciplinava la nomina del Presidente dell’Autorità Portuale – a cui può sicuramente assimilarsi lo Statuto di ESTRA nel caso di specie - era sufficientemente chiara nel senso che non spettava alla Regione l’adozione del provvedimento di nomina del Presidente, essendo competenza riservata all’autorità statale (il Ministro delle Infrastrutture). Alla Regione spettava esclusivamente l’espressione dell’intesa sul nominativo indicato dal Ministro.

Il T.A.R. Sardegna conclude, pertanto, nel senso che la partecipazione della Regione al procedimento di nomina non ne condiziona la sua conclusione, né impedisce di riconoscere la spettanza del potere di nomina in capo all’autorità statale (Ministro delle Infrastrutture). Ciò non determina l’applicabilità del divieto di inconferibilità di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 39/2013.

Parimenti dicasi nel caso di specie, in cui il Comune di Arezzo non avrebbe svolto neppure un ruolo diretto nella nomina dei membri del CdA di ESTRA e del suo Presidente, trattandosi quest’ultimo di potere di spettanza dei soci di ESTRA e, pertanto, delle diverse società facenti parte della compagine societaria.

Va evidenziato, peraltro, quale dato rilevante che l’indicazione di Macrì quale membro del CdA di ESTRA non era sufficiente di per sé a determinare la sua nomina quale Presidente della società, considerato che occorreva la maggioranza dei membri del suddetto organo.

Si deve, pertanto, escludere – per quanto sopra già esposto e previsto in Statuto – che ad ESTRA possa attribuirsi la caratteristica di “ente nel quale siano riconosciute alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi”.

Ne consegue, pertanto, che non si rinviene nel caso di specie il paradigma normativo che si presume violato.

II.I.IV. Sulla non identità di popolazione tra l’ente di provenienza e quello di destinazione

A ben vedere, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. d), del D.Lgs. n. 39/2013, vi è necessità di una coincidenza tra la popolazione e il territorio dell’ente locale in cui è stato svolto l’incarico e l’ambito di operatività dell’ente di destinazione (Estra S.p.A.), non potendosi rilevare, nel caso di specie, una sovrapposizione di detto ambito.

Ciò in quanto la citata lettera d) prevede le seguenti due ipotesi:

a) nella prima parte, l’inconferibilità per “coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l’incarico”;

b) nella seconda parte, l’inconferibilità per “coloro che nell’anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione”.

In tal senso, occorre rilevare come la “popolazione” riferibile all’estensione territoriale di ESTRA è estremamente ampia e largamente eccedente l’estensione del Comune di Arezzo (anche solo considerando esclusivamente i territori degli enti locali indirettamente soci di essa, e quindi trascurando importanti aree territoriali in cui essa svolge le proprie attività come operatore di mercato, in assenza di un vincolo di partecipazione indiretta con gli enti locali). Tale estensione copre infatti la popolazione delle Province di Prato, Siena, Arezzo e Ancona, per un numero complessivo di 142 Comuni soci indiretti di ESTRA.

Invero, scopo ultimo della suddetta norma è impedire che chi abbia rivestito una particolare carica elettiva possa al contempo amministrare attivamente nel medesimo ambito territoriale: ciò in quanto, potenzialmente, un tale assetto organizzativo potrebbe risultare terreno fertile per possibili eventi corruttivi ovvero cagionare inefficienze amministrative.

Tale interpretazione trova conferma nella pronuncia del Consiglio di Stato n. 299/2019, ove si afferma che tale norna “trova la sua ratio nella parziale coincidenza del dato populativo e del dato territoriale dell'ente presso il quale il ricorrente in primo grado ha rivestito incarico politico-amministrativo rispetto a quelli di riferimento e di operatività dell'ente di diritto privato a controllo pubblico al quale si riferisce l'incarico di amministratore unico, con conseguente applicabilità del più lungo "periodo di raffreddamento" biennale”.

Ora, il dato quantitativo riferito all’estensione di ESTRA rende inapplicabile al caso di specie la disposizione normativa invocata, ponendosi l’interpretazione che si intende fornire in aperto contrasto con l’intento del legislatore, ossia quello per cui non ogni contaminazione tra incarichi è rilevante, ma soltanto quelle per cui vi sia una effettiva possibilità di ingerenza. E tale possibilità deve essere graduata in considerazione del rapporto tra ente di provenienza ed ente di destinazione.

In tal senso, l’art. 1, comma 50, lett. c), della L. n. 190/2021, che detta i criteri direttivi per il legislatore delegato, appare assai chiaro: “I decreti legislativi di cui al comma 49 sono emanati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: (...) c) disciplinare i criteri di conferimento nonché i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive. I casi di non conferibilità devono essere graduati e regolati in rapporto alla rilevanza delle cariche di carattere politico ricoperte, all’ente di riferimento e al collegamento, anche territoriale, con l’amministrazione che conferisce l’incarico. (…)”.

In forza di ciò, e in considerazione della circostanza che la norma – limitando diritti di libertà costituzionalmente riconosciuti - ha natura di norma speciale, essa non può che essere interpretata in modo restrittivo. E, coerentemente, occorre escludere dal suo ambito di applicazione situazioni concrete come quella in esame, in cui l’ente di destinazione ha un radicamento territoriale, dato dalla partecipazione indiretta al capitale sociale di Comuni dislocati su più Regioni, talmente vasto da trascendere completamente i confini del Comune di Arezzo, il quale, sebbene capoluogo di Provincia, non è che uno dei 142 Comuni indirettamente soci di ESTRA (come meglio si esporrà nel prosieguo).

II.II. Sull’insussistenza degli elementi oggettivi del delitto di abuso di ufficio: la asserita violazione dell’art. 78, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000.

L’art. 78, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 prevede che il comportamento degli amministratori, nell'esercizio delle proprie funzioni, debba essere improntato all’imparzialità e al principio di buona amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni, competenze e responsabilità degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, e quelle proprie dei dirigenti delle rispettive amministrazioni.

In merito alla contestazione in esame non si può trascurare, però, come i fatti in questione pongano la necessità di confrontarsi con la annosa tematica dell’incidenza penale dell’attività politica.

Come stabilito dalla Cassazione Penale, con la sentenza della Sez. VI, 06/06/2017, n. 36769, lo svolgimento dell’attività politica si caratterizza, anche istituzionalmente, per una costante, ed anche doverosa, attività di “compromesso” e di composizione di interessi di “parte”.

Naturalmente, citando sempre la suddetta pronuncia, occorre non fuoruscire dalla attività di composizione e di rappresentanza di interessi, e occorre non pervenire ad uno “sfruttamento” a fini privati dell’esercizio dell’ufficio pubblico ricoperto.

Un non trascurabile profilo di riflessione riguarda, infatti, i peculiari margini di liceità che caratterizzano l’attività politica, in quanto connaturata alla stessa funzione rappresentativa. La sovrapposizione fra valutazioni astratte ed interessi di parte costituisce in tal senso un aspetto immanente all’attività politica. In particolare, un limite esplicito rispetto all’applicazione del delitto di abuso di ufficio non può non essere lo svolgimento di una serie di attività come il conseguimento di incarichi, l’accettazione di promesse, lo svolgere attività in favore dell’elettorato e dei partiti, costituenti proprio l’esercizio da parte del rappresentante eletto ad una carica politica di una fra le più rilevanti e dichiarate facoltà connesse col suo status, giuridicamente lecito, di rappresentante di interessi, generali e particolari.

Di conseguenza, laddove si volesse ipotizzare che talune forme di condizionamento dell’attività svolta dall’eletto ad una carica pubblica possano integrare fattispecie di rilevanza penale, si dovrebbe necessariamente ricorrere alla distinzione fra forme di scambio che si collocano nell’alveo della legittima trattativa politica e veri e propri accordi criminosi fondati su vantaggi di natura eminentemente privatistica, in quanto completamente avulsi dall’attività politica svolta.

Il Tribunale di Napoli, con la sentenza della Sez. I, 8 luglio 2015, n. 11917, p. 175 ss., in un celebre caso legato a noti avvenimenti politici nazionali ha tracciato una linea discretiva fra accordi leciti ed accordi illeciti, affermando che: “è risultato chiaro che nelle trattative interne alle coalizioni hanno sovente un gran peso le promesse e le rassicurazioni di futuri incarichi di governo a questo o quell’esponente di un certo movimento, oppure le offerte di benefici di vario tipo a favore delle comunità di cui i parlamentari corteggiati sono diretta espressione. Ciò nel processo è emerso, ad esempio, a proposito dei Senatori eletti nelle circoscrizioni estere, oppure di quelli del Süd Tirol Volkspartei, o delle esigenze manifestate dai due partiti che facevano riferimento alla categoria dei pensionati, ma anche quando s’è parlato delle trattative compiute dall’On. Di Pietro per ottenere un ministro o un sottosegretario in più espressione del suo partito e, ancora, a proposito dell’ampissima squadra di governo messa in campo per garantire la coesione della coalizione dell’Ulivo in occasione del Governo Prodi (…) In questi casi, infatti, almeno per come sono stati rappresentati nel processo e come vengono percepiti nelle normali dinamiche della politica – si è sempre in presenza di libere e reversibili scelte di entrambe le parti e non ricorre alcuna rinuncia o compressione delle prerogative di autonomia e indipendenza dei partiti, dei movimenti e ancor più dei singoli parlamentari. Può ben darsi, insomma, che gli uni o gli altri si determinino a raggiungere un certo accordo o alleanza anche per ragioni economiche o perché allettati da promesse di utilità politiche o economiche. Queste ultime, però, innanzitutto sono espressione di convergenze o affinità preesistenti, oppure ricercate e volute dagli aderenti al patto, frutto delle intese e delle reciproche concessioni raggiunte. Giammai, comunque, questi accordi possono implicare e prescrivere una cieca adesione da parte di alcuno a ordini imposti o un prezzolato acconsentire a direttive vincolanti. In questa logica, dunque, i corrispettivi economici o politici elargiti a seguito di scelte, cambiamenti, convergenze etc., sono espressione di volta in volta della intenzione di valorizzare le risorse acquisite, di premiare gli sforzi fatti e incoraggiare quelli a farsi, eventualmente finanziare l’operato del nuovo alleato, oppure sfruttarne le sue capacità e le sue motivazioni e così via. Quel che connota la corruzione, insomma, non è il corrispondere denaro o altre utilità e vantaggi, economici e politici, né che proprio questo influisca o determini le scelte e le alleanze dei politici, ma solo e unicamente l’aver il parlamentare rinunciato alla propria libera determinazione e scelta in cambio e in stretta e inscindibile correlazione con queste promesse e dazioni”.

Come è stato efficacemente notato a commento della predetta sentenza, simili considerazioni pongono necessariamente in risalto un delicato profilo di valutazione politica che non dovrebbe però avere nulla a che fare con il giudizio di illiceità penale, giacché nell’attività politica, lo “scambio” – fra partiti, fra centri di rappresentanza di interessi privati ed in ultima analisi fra persone – non può ritenersi elemento di illiceità tout court.

Naturalmente, questo non vuol dire che sussista un’indistinta facoltà di violare le norme penali in forza di una generica funzione di rappresentanza democratica, ma non si può certo trascurare l’estrema volatilità di qualsiasi valutazione penalistica rispetto allo svolgimento dell’attività politica.

Né, tra l’altro, alcuna procedura formale di selezione avrebbe dovuto essere attivata, essendo questa riservata esclusivamente alle nomine dirette che il Sindaco deve effettuare negli enti di secondo grado, ipotesi del tutto estranea alla questione considerata.

Pertanto, la contestazione sulla pretesa violazione dell’art. 78, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 appare del tutto inconferente nella vicenda in esame, trattandosi di attività politica in senso stretto. In ogni caso, alla luce della recente riforma dell’art. 323 c.p. la pretesa violazione di una norma come quella in esame in cui è espresso il principio di carattere generale di imparzialità e di buona amministrazione non consente di configurare neppure astrattamente la fattispecie di reato contestata, la quale richiede la violazione di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

Ne discende, pertanto, l’assoluta insussistenza degli elementi di diritto contestati al capo 8) dell’imputazione.

II.III. Risultanze probatorie e inquadramento giuridico

In ogni caso, qualora venga ritenuta comunque astrattamente configurabile la violazione delle norme citate, questa difesa non si esime dalla disamina dell’intero compendio probatorio assunto, il quale ha dimostrato l’estraneità ai fatti della persona del dott. Macrì e ciò in ragione della circostanza che, in primis, la sua nomina in ESTRA S.p.A. non è stata da lui istigata, trattandosi di una scelta politica, e, in secundis, che la presenza di pareri di esperti sul tema determini l’impossibilità di ritenere sussistente la volontà e la consapevolezza del fatto tipico.

II.III.1) Sul ruolo del dott. Macrì: l’insussistenza della condotta istigatrice

Con ordine, dunque, appare evidente dalla conversazione registrata e rinvenuta nel computer dello Staderini con data 27.07.2016 acquisita in data 01.03.2022 che la nomina di Macrì in ESTRA S.p.A. sia motivata da ragioni meramente politiche.

In tale riunione, il Sindaco, ripercorrendo le tappe politiche dei rapporti tra la lista che lo sosteneva e Fratelli d’Italia, che lui aveva estromesso dalla maggioranza in Consiglio Comunale, ma che, ciononostante, aveva sempre votato favorevolmente alle mozioni proposte, ha spiegato che era giunto il momento di includere i rappresentanti di quel partito nelle vicende comunali.

In questo senso, però, il Sindaco Ghinelli non era favorevole all’ingresso di Macrì in Giunta Comunale per ragioni politiche e, quando si prospetta la possibilità di nominarlo in ESTRA S.p.A., valuta favorevolmente tale ipotesi.

La testimone Avv, Donata Pasquini, che aveva delle semplici perplessità in merito dal momento che, come ha lei stessa specificato “preciso anche questo, che ovviamente io a quel punto presi atto di questa risposta, ma il mio dubbio né prima di esprimerlo, né successivamente, fu da parte mia oggetto di approfondimento in punto di diritto, per una serie di motivi, perché comunque io lì avevo il ruolo diverso, ero un Consigliere Comunale. Il comune ha i suoi consulenti, debbo dire che peraltro io non svolgo affatto la mia attività prevalente nel settore del Diritto Amministrativo, per cui nel momento in cui fu detto “guarda c'è un parer”, io francamente ne presi atto ed a quello mi limitai”, ha avuto modo di affermare che “(…) non sono nemmeno certa, dico la sincera verità, che il sindaco abbia recepito questa mia perplessità, questo mio dubbio” (pag. 26-27 trascrizioni ud. 05.07.2022).

È evidente, dall’ascolto della registrazione della riunione, che Macrì non può in alcun modo qualificarsi alla stregua di istigatore della propria nomina: lo stesso, infatti, ambiva ad una carica politica, tanto che gli esponenti locali del partito chiesero al Sindaco Ghinelli di nominare ben due ulteriori assessori per rispettare le c.d. quote rosa. Fu poi il Sindaco che legittimamente propose la nomina di Macrì quale Presidente di ESTRA S.p.A..

Lo stesso Staderini, durante l’interrogatorio in sede di incidente probatorio, ha affermato che “Io, ad un certo punto dopo tre ore, gli dissi, “oh ragazzi, allora dove ci rompe meno.. dove vi rompe” perché io non c’entravo niente all’epoca, “dove vi rompe meno le scatole Macrì? Se lo mettete in Giunta, o se lo mettete in Estra? Perché qui mi sembra di capire, delle due l’una. Perché il Sindaco, se non avete capito, è alle corde, o fa una cosa, o ne fa un’altra. Quindi decidiamo, perché son tre ore che siamo qui.” Dice”allora, lo volete in Giunta?” Dice, “no!” “Eh.. tocca mandarlo in Estra.” Questo fu la, la … il succo de..”””.

A seguito della palesata opportunità di divenire Presidente di ESTRA S.p.A. e solo dopo tale proposta, il Macrì ha preso contatti con l’Avv. Rostagno del Foro di Torino affinché la stessa rendesse un parere pro veritate sulla questione, individuandola in virtù della sua comprovata esperienza professionale e, proprio per non compromettere l’imparzialità delle conclusioni della professionista. Macrì inizialmente non si palesa nemmeno quale destinatario di tale nomina, come chiaramente affermato dall’avv. Rostagno “No, no, no, no anzi, anzi la prima parte della telefonata fu, e lo apprezzai molto, perché sono pareri dove a volte è un po' fastidioso no, e quindi l'atteggiamento di alcuni, apprezzai molto il fatto che non mi disse assolutamente chi era il soggetto e poi sostanzialmente passò i primi buoni cinque minuti a chiedermi se io avessi qualche rapporto o qualche conflitto, insomma qualche cosa con sostanzialmente Arezzo, la provincia di Arezzo, la Regione Toscana, insomma, e io gli dissi che non avevo nulla. A questo punto io gli chiesi come mi aveva trovata, perché altrettanto era particolare, e lui mi disse che mi avevano trovato tramite internet per delle attività che avevo fatto, e mi tranquillizzai perché effettivamente io avevo fatto, adesso non mi piace l'inglese, comunque li chiamano Position Paper, per alcune organizzazioni delle società a partecipazione pubblica, di servizio pubblico eccetera eccetera, per cui insomma alla fine mi tornava tutto abbastanza” (pag. 4 trascrizioni ud. 17.05.2022).

È evidente, tra l’altro, anche dal tenore delle dichiarazioni dell’Avv. Rostagno, la quale appella Macrì spesso con “questo signore”, che i due prima di questo momento non si conoscessero e che, quindi, nessuna influenza di alcun genere può aver avuto Macrì sulle conclusioni alla quale la stessa è giunta.

L’Avv. Rostagno ha concluso l’analisi della disciplina di riferimento, ritenendo che il dott. Macrì potesse essere nominato Presidente di ESTRA S.p.a.

Il tema delle deleghe, inoltre, è stato ampiamente vagliato, giacché la professionista ha reso un parere specifico in merito dopo aver ricevuto la documentazione inerente alle prassi consolidate in ESTRA S.p.A. in materia di deleghe.

In merito, tra l’altro, occorre precisare che siffatte deleghe sono state attribuite al dott. Macrì solamente al momento del rinnovo dell’incarico in data 31.07.2017, come emerso anche dalla testimonianza del dott. Abati, Direttore Generale di ESTRA S.p.A., “Testimone Abati P. – Allora, Macrì in quanto Presidente aveva veramente la rappresentanza legale, perché questo viene dal Codice Civile e dallo Statuto, poi aveva delle deleghe sulla parte dei rapporti istituzionali, quindi rapporti con gli enti, diciamo gli stakeholder, sia soci che non, aveva poi delle deleghe riguardanti la comunicazione e Ufficio Stampa e tutta questa parte.., e poi aveva deleghe di controllo, quindi tutta la parte della struttura dei controlli aziendali a partire dalla 231, l’Internal Auditing e quant’altro di questa attività di controllo, erano in capo al Presidente e poi aveva anche la delega agli Affari Legali e Societari. Se mi ricordo bene eh! Ora di preciso, forse..

Difesa, Avv. Viciconte – E queste deleghe quando furono assunte, subito dopo la nomina o ci fu un arco temporale in cui ha svolto le funzioni senza deleghe e poi gli sono state attribuite?

Testimone Abati P. – Allora, non mi ricordo molto bene, ora tutti i passaggi temporali non me li ricordo molto bene, però lui subentrò prima del rinnovo complessivo dell'organo, se non mi sbaglio, e in quella prima nomina mi pare che avesse soltanto le deleghe che aveva il precedente Presidente, poi in sede di rinnovo del Consiglio di Amministrazione, i soci nella discussione sulla Governance della società di rinnovo della Governance, credo che sia stato in quella fase che gli sono state attribuite le altre deleghe”.

Per ciò che concerne, ulteriormente, la testimonianza del dott. Caridi, la stessa è irrilevante ai fini che qui ci impegnano dal momento che, all’epoca della nomina del dott. Macrì, il medesimo non era Segretario Comunale e che quello pro tempore non ebbe a esprimere un parere di tal guisa.

Infatti, il Segretario Comunale dell’epoca, Dott. Foderini non prese posizione sull’argomento ritenendo che, stante la circostanza che la nomina non è riconducibile ad un diritto di nomina statutariamente previsto ex art. 2449 c.c. in favore del Comune di Arezzo, né ad una posizione di controllo diretto sulla predetta nomina, il soggetto competente è probabilmente il responsabile anticorruzione di ESTRA S.p.A. affermando, tra l’altro, che, stanti le dimissioni del Consigliere Macrì, risultava essere venuta meno l’eventuale incompatibilità prevista dalla legge.

A tal fine, appare evidente che il dott. Foderini fosse di avviso diverso rispetto al dott. Caridi, il quale, però, si ripete, in dibattimento ha espresso perplessità in riferimento al rinnovo della carica di Macrì, non potendo fare altrimenti considerato che all’epoca si discuteva solo e soltanto della riconferma, che non risulta essere oggetto delle odierne contestazioni.

Ad ogni buon conto, qualora occorra comunque procedere ad una valutazione delle dichiarazioni del testimone, non vi è alcun riscontro di quanto sostenuto dal momento che il dott. Caridi non ha mai formulato un parere scritto né una formale comunicazione nella quale desse conto della asserita non consentita conferibilità dell’incarico al dott. Macrì. Non solo, il Dott. Caridi non si recò neanche all’assemblea nella quale si discuteva del rinnovo della carica.

Per quanto qui di interesse, occorre sottolineare che nessun contatto avvenne fra Caridi e Macrì: tale circostanza rende ancora maggiormente evidente l’assenza di un qualsiasi intervento del secondo circa la propria nomina.

In base a quanto esposto, pare indubbio che non sia emersa dall’istruttoria dibattimentale alcun ruolo, nemmeno a titolo di concorso morale, del Macrì.

La proposizione della nomina è stata una scelta politica del Sindaco Ghinelli e Macrì, prospettatasi la possibilità, altro non ha fatto se non attivarsi per richiedere un parere ad una professionista esperta in maniera del tutto estranea all’ambiente di riferimento, giacché non riferì nemmeno che il soggetto eventualmente da nominare fosse lui stesso.

II.III.2) L’attività di ESTRA S.p.A. e i pareri degli esperti sulla nomina: l’insussistenza della consapevolezza e volontà del fatto tipico

Quanto già esposto in termini di diritto in merito alla non qualificabilità di ESTRA S.p.A. come società in controllo pubblico è stato ampiamento suffragato anche dall’istruttoria dibattimentale.

In tal senso, infatti, è stato dimostrato che ESTRA nello svolgimento delle attività che sono proprie della società si atteggia alla stregua di una società di diritto privato, correttamente operando.

Infatti, il dott. Bernardo Lombardini Pandilini, Responsabile dell’Ufficio Legale di ESTRA S.p.A., a specifica domanda, ha affermato che “Allora ESTRA si comporta come una Holding di partecipazione, ci sono alcuni settori e alcune partecipate che sono soggette a norme specifiche, come quelle del mercato regolato, quindi distribuzione e misura, e sono specifiche e quindi hanno l'applicazione del Codice dei Contratti, mentre invece.., ora io parlo un pochettino in generale, perché va bene come..” e ancora “Mentre invece per quanto riguarda le attività ovviamente principali, non facendo ESTRA un'attività diretta, volevo arrivare a questo punto, quindi non esercendo un servizio, ha un comportamento di efficienza e di procedure interne che però non applicando direttamente il Codice dei Contratti, per essere chiaro” (pag. 10 trascrizioni ud. 15.11.2022).

Analogamente anche il dott. Paolo Abati, Direttore Generale di ESTRA S.p.A. e membro del Consiglio di amministrazione della società, ha precisato quanto segue (si v. pag. 13 trascrizioni ud. 15.11.2022):

“Testimone Abati Paolo – Cioè partecipa spesso a gare pubbliche come offerente, come sistema di conferimento di lavori o di incarichi, noi abbiamo una situazione dentro il Gruppo un po' articolata, perché alcune società essendo concessionarie di servizi pubblici hanno alcuni obblighi che vengono dalla loro natura di concessionari, mentre per altre attività che sono attività di libero mercato, su quelle attività lì non c'è nessun obbligo per il tipo di dover fare gare, anzi diciamo la natura stessa dell'attività è impossibile conciliarla con.., non dico impossibile del tutto, ma comunque molto complicato conciliarla con delle procedure di gara ad evidenza pubblica, questo non vuol dire che non abbiamo all'interno del gruppo una serie di Regolamenti, e una serie di procedure che cercano di dare il massimo della trasparenza e il massimo della chiarezza, diciamo e anche della correttezza, proprio perché il nostro ruolo è quello di un'azienda comunque che svolge alcune attività che derivano dalle vecchie concessioni monopolistiche e anche perché la natura del nostro capitale è una natura pubblica, e quindi cerchiamo di avere diciamo nel nostro set di procedure e di regolamenti interni quanto più possibile un atteggiamento di trasparenza e di chiarezza.

Difesa Avvocato Viciconte – Ecco, scusi, se non ho capito male la sua risposta, lei ha detto che ESTRA fa gare come concorrente, cioè partecipa alle gare, ma non è stazione appaltante o ho capito male?

Testimone Abati Paolo – No, non è stazione appaltante, perché le gare vengono fatte prevalentemente da quelle società del Gruppo che si occupano appunto di distribuzione del gas, perché il settore della distribuzione ancora oggi è un servizio pubblico e quindi in quanto servizio pubblico ha una sua normativa, specialistica di settore, che fa parte comunque del Codice degli Appalti, e che prevede alcune norme di comportamento, quindi per questa attività le gare vengono fatte, per gli affidamenti di lavori o per gli affidamenti di servizi, per le altre società del Gruppo, diciamo qualche volta può anche succedere di fare qualche procedura a evidenza pubblica, ma non c'è nessun obbligo di Legge, fra l'altro noi ci siamo dotati anche come gruppo di un Albo Fornitori in cui c’è una preselezione di tutti i fornitori e di tutte le aziende che lavorano per il gruppo, che ha norme piuttosto stringenti su tutta la parte delle qualifiche delle ditte, che prevede anche un sistema di rotazione fra gli stessi partecipanti all'Albo Fornitore”.

In merito, peraltro, anche il dott. Piazzi, Amministratore Delegato di ESTRA S.p.A., aveva affermato (pag. 23 trascrizioni ud. 05.07.2022):

“Testimone Piazzi A. – Compito non banale diciamo, però lo ridico volentieri, siamo un’azienda che esercita alcune attività, l’attività di base fondamentalmente, da dove nascono aziende come quelle di ESTRA, quella della distribuzione del gas, che è una attività cosiddetta regolata. L’altra attività, quella diciamo più quantitativamente importante, è quella della vendita, perché da un certo momento in poi, chi regola queste materie ha deciso di separare l’attività della distribuzione dalla attività della vendita, la vendita di due cose, cioè la vendita della energia elettrica e la vendita del gas metano, quindi una cosa è la distribuzione, ovvero è la gestione della rete, ESTRA oggi è sia proprietaria che operatrice su circa 6.500 chilometri di reti, ma contestualmente ha sviluppato l’attività di vendita dell’energia elettrica e del gas. Se devo dare le notizie al tempo, c’erano ovviamente minori quantità ma non chissà quanto minori.

Difesa, Avv.sa Crescioli – Ed opera sul libero mercato?

Testimone Piazzi A. – Opera sul libero mercato sì”.

La tematica della possibile inconferibilità dell’incarico rappresentava una tematica così tecnica che oltre al parere dell’avvocatessa Rostagno, alla lettura del quale sia consentito rinviare, furono acquisite ulteriori consulenze.

In tal senso, la testimonianza del Responsabile dell’Ufficio Legale di ESTRA, Bernardo Lombardini, che ha affermato, rispondendo a specifica domanda se la società si fosse rivolta a consulenti e su quale fosse stata la loro risposta “Ci dissero che…, ora non tutto me lo ricorso, ma comunque che la nomina era possibile in quanto ESTRA non poteva essere considerata come società in controllo pubblico” e, ancora, “Allora sì, ovviamente nel parere sì, ora tutte non me le ricorso, ma credo che facessero riferimento a quello che era la composizione societaria di ESTRA, al tempo; gli Statuti dei vari socie e quindi alcune particolarità che c’erano sugli Statuti della società COINGAS, CONSIAG e Intesa (…)” (pag. 9 trascrizioni ud.15.11.2022).

Siffatto parere pro veritate, nello specifico, fu reso dall’avv. Riccardo Bianchini e dall’avv. Leonardo Masi, il quale ne ha ripercorso il contenuto proprio in sede di istruttoria dibattimentale, pag. 13 e ss trascrizioni ud. 15.11.2022, “Allora ricordo che affrontammo due questioni, che sono i due presupposti previsti dall'articolo 7 del Decreto Legislativo 39, e cioè̀ se la società̀ ESTRA esercitasse funzioni amministrative o producesse beni o servizi a favore delle amministrazioni socie, o gestisce servizi pubblici locali che è il primo presupposto richiesto dalla norma, il secondo era se la società̀ fosse in controllo pubblico alla luce delle definizioni che vedremo. In relazione alla prima questione noi rilevammo che ESTRA S.p.a. è una Holding di partecipazione e quindi non svolgeva direttamente né funzioni amministrative, né attività di produzione beni e servizi a favore delle amministrazioni socie, né gestisse servizi pubblici locali. Lo facevano queste attività̀ le società̀ partecipate da ESTRA S.p.a.. Quindi concludevamo sulla prima parte del quesito che a nostro avviso difettasse il primo presupposto, affinché́ scattasse l’inconferibilità, però lo volevamo in termini dubitativi e quindi se fosse invece stata ritenuta più̀ fondata la tesi che anche le attività̀ delle partecipate fossero imputabili alla Holding Capogruppo, se questo tema fosse risolto in questo senso, allora era necessario misurarsi anche con l'ulteriore questione, quindi il secondo presupposto della norma che è dato appunto dalla possibilità̀ di qualificare ESTRA S.p.a. come società̀ in controllo pubblico. Su questo tema abbiamo concluso in senso negativo nel 2016 noi dovevamo anche misurarci con due sentenze, una del TAR Toscana e una del Consiglio di Stato, mi sembra TAR Toscana del 2014, Consiglio di Stato del 2015, che in relazione ad altra vicenda, peraltro da me patrocinata insieme ad altri colleghi, aveva sostanzialmente affermato in quel frangente fosse stato riconosciuto il controllo nella forma del controllo congiunto, perché́ era l'unica ipotesi di controllo prospettabile visto che il Decreto Severino fa riferimento per identificare la fattispecie di controllo all'articolo 2359 del Codice Civile, quindi il controllo civilistico e siccome tra quelle fattispecie in particolare il numero 1 e numero 2 è richiesta la maggioranza dei voti esercitabili in assemblea, oppure una partecipazione tale da determinare un’influenza dominante, il TAR Toscana e il Consiglio di Stato in quelle vicende, affermarono che soltanto attraverso un patto parasociale tra i soci, sarebbe stato possibile determinare una forma di controllo congiunto e siccome nel 2014 e anche nel 2015 era vigente un patto parasociale che risaliva al 2013, il TAR Toscana concluse nel senso dell'esistenza di questa forma di controllo. Poi disse anche altro il Consiglio di Stato, affermò che siccome la CONSIAG S.p.a. all’epoca, socia al 44% di ESTRA, attraverso quella partecipazione, siccome si trattava di società̀ per azioni, il quorum deliberativo del 78% previsto nello Statuto di ESTRA, non poteva applicarsi alla nomina degli Amministratori e all’approvazione del Bilancio, perché́ confliggente con l’articolo 2369 del Codice Civile, e quindi affermò che CONSIAG S.p.a., attraverso il 44%, era comunque in grado di esercitare un’influenza dominante. Questo era lo scenario che si prospettava nel 2016 rispetto al quale ci misurammo con il parere, e affermammo che siccome nel 2016, qui il parere fu rilasciato i primi giorni del 2016, a quella data il patto parasociale quello del 2013 era scaduto, perché́ aveva come termine di durata l’approvazione del Bilancio al 31.12.2015, che quindi era avvenuta nella primavera del 2016, quindi a settembre 2016 il patto era scaduto, noi concludemmo che non fosse affermabile la sussistenza di un controllo congiunto e quindi che non esistesse la fattispecie della società̀ in controllo pubblico. Poi ci misurammo anche con l’altra parte delle pronunce del Giudice Amministrativo, cioè che riguardava proprio la fattispecie di ESTRA e quindi se fosse predicabile un’influenza dominante da parte della CONSIAG S.p.A. su ESTRA, ma quand’anche quell’influenza fosse, a quella data tuttora vigente, dovevamo risalire la catena, siccome il sistema prevede non la partecipazione diretta delle Amministrazioni in ESTRA, ma attraverso le tre sub Holding che la partecipavano, bisognava comunque vedere se all’interno di CONSIAG S.p.A. ci fosse stato un patto parasociale tra tutti i Comune, posto che nessuno raggiungeva il 50,1% del capitale sociale e non avevamo notizie di patti parasociali tra i soci di CONSIAG S.p.A. Per cui concludemmo in senso negativo anche per quanto attiene all’ipotesi del numero 2 del 2359, cioè l’influenza dominante”.

Orbene, dunque, è evidente che entrambi gli avvocati interpellati sul tema resero un parere pro veritate con esito positivo rispetto alla nomina del dott. Macrì quale Presidente di ESTRA S.p.A.

Tale elemento non può che essere considerato di assoluta rilevanza con riferimento alla valutazione della penale responsabilità del dott. Macrì.

In questo senso, infatti, oltre a ribadire l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato per le ragioni sopra indicate, non pare che sia in alcun modo possibile ritenere sussistente la volontà e la consapevolezza del fatto tipico, sostanziandosi quest’ultimo proprio nella violazione di quelle norme, le quali sono state specificamente esaminate dai consulenti esperti in materia.

Orbene, in materia non può trascurarsi la questione dell’errore su legge extra penale di cui all’art. 47, comma terzo, c.p. giacché è evidente che la norma di cui all’art. 7, comma 2, del D.Lgs. 39/2013 e quella di cui all’art. 78, comma primo, del D.Lgs. 267/2000 integrino il precetto penale di cui al delitto dell’abuso di ufficio e che un errore sulla violazione o meno della disposizione possa comportare l’assenza della volontà e della consapevolezza del fatto tipico.

In tal senso, è sicuramente noto il dibattito che vede contrapporsi la giurisprudenza inaugurata dalla sentenza delle Sezioni Unite Magera, (sent. 27.09.2007 n. 2451) secondo la quale nell’ambito della fattispecie penale le norme extrapenali non svolgono tutte la stessa funzione perciò occorre operare una distinzione tra le norme integratrici della fattispecie penale e quelle che tali non possono essere considerate, annoverando fra le prime le norme definitorie e le norme penali in bianco e nelle seconde i c.d. elementi normativi, con quella successiva di legittimità, in virtù della quale deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per "legge diversa dalla legge penale", ai sensi dell'art. 47 cod. pen., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata neppure implicitamente (si v. Cass. pen., Sez. IV, 12.02.2015, n. 14011 e Cass. Pen. Sez. VI, 31.03.2015, n. 25491).

Ora, dunque, non volendo entrare nel merito della questione, anche qualora si volesse ritenere le norme che si assumono violate quali integratrici del precetto e pertanto non confluenti nell’applicazione della disciplina di cui all’art. 47, comma terzo, c.p. deve comunque essere tenuta in considerazione la giurisprudenza concernente il delitto di abuso d’ufficio e l’incertezza normativa secondo cui “Deve al riguardo ribadirsi il principio, più volte affermato in questa Sede (Sez. 6^, n. 41402 del 25/09/2009, dep. 28/10/2009, Rv. 245287; Sez. 6^, n. 1229 del 10/12/2001, dep. 14/01/2002, Rv. 220649), secondo cui il delitto di abuso d'ufficio è configurabile o quando la condotta si ponga in contrasto con il significato letterale, o logico-sistematico di una norma di legge o di regolamento, ovvero quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretandosi in uno "svolgimento della funzione o del servizio" che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio per realizzare tale fine. Una situazione, questa, non ravvisabile nel caso in esame, a fronte di un quadro normativo disorganico e suscettibile di interpretazioni diametralmente opposte, dove non è emerso alcun elemento dimostrativo dell'esistenza di un ingiusto vantaggio patrimoniale conseguito dalla Compagnia Unica, ovvero di una condotta concretatasi in uno "sviamento" - per scopo personale od egoistico, o comunque estraneo alla P.A. - produttivo di una lesione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (Sez. 6^, n. 35597 del 05/07/2011, dep. 30/09/2011, Rv. 250779) (sent. Cass. pen., sez. VI, 13.03.2014, n. 32237.

Analogamente anche quanto statuito dalla Sezione V della Corte di Cassazione Penale nella sentenza del 12.02.2009, n. 10636 secondo cui “Pertanto, in tema di abuso di ufficio, l'errore nella lettura della disciplina amministrativa - cioè su norma extra-penale (che assume funzione di presupposto di fatto della fattispecie che la incorpora) - non può integrare la figura del reato, se non in assai ristretti ambiti rispettosi della marcata connotazione dolosa - sia nel profilo rappresentativo sia in quello volitivo - voluta dal legislatore proprio per emarginare dal fuoco della protezione condotte in cui sia assente il tratto abusivo. Perchè possa ravvisarsi la violazione del precetto penale occorre dar prova della consapevole violazione di legge (o di regolamento) che giunga intenzionalmente ad un iniquo esito di altrui vantaggio. Diversamente il processo penale si configurerebbe quale ulteriore grado di giurisdizione per la vicenda che, al contrario, conosce rimedi propri della giustizia contabile ed amministrativa. Potrà affacciarsi la penale responsabilità del pubblico ufficiale soltanto nel caso di lettura normativa discosta in termini del tutto irragionevoli dal senso giuridico comune, così da apparire sicuramente arbitraria, trasparendo in tal caso l'effettiva illecita volontà vietata dalla norma penale”.

In merito, dunque, è evidente che il quadro normativo che ha portato alla nomina del dott. Macrì sia suscettibile di differenti interpretazioni proprio alla luce della circostanza che i consulenti di cui ai pareri, peraltro precedenti, all’incarico abbiano ravvisato la possibilità di conferire l’incarico al dott. Macrì e, invece, l’ANAC ne abbia sostenuto il contrario. In tal senso, occorre dar conto che il provvedimento sanzionatorio dell’Autorità amministrativa è stato impugnato e che il giudizio è tutt’ora pendente innanzi al Consiglio di Stato.

Da ciò deriva anche logicamente la non rimproverabilità della condotta che ha portato alla nomina dell’imputato giacché quest’ultimo non era, e come poteva esserlo dopo aver acquisito siffatte consulenze, consapevole della violazione di legge e conseguentemente del fatto tipico di cui all’azione contestata.

Infatti, per poter affermare la penale responsabilità a titolo di dolo è necessario, come è noto, che il soggetto agente avesse consapevolezza e volontà del fatto tipico, qui evidentemente da escludere considerato tutto quanto già esposto.

Alla luce di quanto già esposto, premesso e considerato,

P.Q.M.

voglia l’Ill.mo Tribunale di Arezzo assolvere il dott. Macrì dai reati contestatigli perché il fatto non sussiste o con quella formula che sarà ritenuta i giustizia".

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