Il padre omicida di Levane alla sbarra. L’avvocato: “Uccise la figlia dopo ischemie”

Bilal Miah, dichiarato capace di intendere e volere dopo che in un primo momento, a fronte di varie perizie psichiatriche, non fu ritenuto in grado di poter sostenere il processo per l’omicidio della figlia, è comparso stamani sotto scorta nell’aula del Tribunale di Arezzo. Tamia aveva tre anni e mezzo quando fu uccisa da chi avrebbe dovuto proteggerla: il 21 aprile del 2020 a Levane, Bilal Miah, bengalese di 40 anni, in un vero e proprio raptus di follia sgozzò la bambina con un coltellaccio. Raptus che stava per coinvolgere anche il figlio maggiore di 12 anni che, per sua fortuna, dopo aver tentato invano di salvare la sorellina, riuscì a scappare dalla furia omicida del padre rifugiandosi da alcuni vicini di casa. Bilal si gettò in un pozzo, dove fu ritrovato da Carabinieri e dai Vigili del Fuoco. Il giudice dell’udienza preliminare ha confermato la pericolosità del bengalese, disponendone la detenzione presso la Rems, la residenza per l’esecuzione di misure di sicurezza, a Montelupo Fiorentino. E stamani, scortato dagli agenti della Polizia Penitenziaria e dai Carabinieri, il carnefice della figlia, difeso dall’avvocato Nicola Detti, ha risposto dell’accusa di omicidio volontario aggravato dal grado di parentela e di tentato omicidio per l’aggressione al primogenito di fronte al giudice Laura Taddei. Il difensore dell’uomo, perizie mediche alla mano, percorre la strada delle condizioni fisiche al momento dei fatti: “Bilal Miah aveva avuto delle ischemie che hanno contribuito al black out che ha portato alla tragedia”. Incapace di intendere e di volere al momento dei fatti, dunque. La prossima udienza del processo è in calendario per il 12 febbraio. Intanto Bilal Miah è stato riaccompagnato al Rems di Montelupo.
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