Pasqua, il vescovo: "Festa di speranza per il nostro povero mondo impazzito"

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Mons. Andrea Migliavacca ha evocato "il buio della guerra, di tante ingiustizie, della violenza, dei femminicidi, dell’inverno demografico che sta vivendo l’Europa e soprattutto l’Italia. Il buio di chi vive difficoltà sul lavoro, non ha a sufficienza per vivere, di chi è nella malattia o nel lutto, di chi perde un figlio, una figlia"

Vi proponiamo i testi delle omelie del Pontificale di Pasqua, della Veglia pasquale e del Venerdì Santo, pronunciate durante le celebrazioni in Cattedrale ad Arezzo dal Vescovo di Arezzo, Cortona e Sansepolcro Mons. Andrea Migliavacca.

Pontificale di Pasqua

Omelia del vescovo Andrea Migliavacca

Cattedrale di Arezzo, 31 marzo 2024

Pasqua è la festa degli annunci inattesi delle scoperte inattese e insperate.

È il primo giorno della settimana, quando ancora era buio e Maria di Magdala si reca al sepolcro, rassegnata e desolata per la morte del suo Signore. Non c’è più nulla da aspettarsi, la bella avventura di chi seguiva il Maestro è finita per sempre, non c’è più nulla per cui sperare e neanche ci si può fidare gli uni degli altri, dei suoi amici. Visto come si è comportato Pietro che lo ha bellamente rinnegato? E Giuda, il traditore? E poi sotto la croce dove erano i suoi amici? Solo Maria sua Madre e il discepolo amato avevano avuto il coraggio di seguirlo fino a quel patibolo. Che delusione! Che delusione la vicenda di Gesù, le sue promesse! E che delusione i suoi amici! Non ci si può aspettare più nessuna buona notizia, nessun annuncio di speranza.

È mattina di Pasqua anche per noi e se non c’è il buio del cielo c’è ancora il buio in questo mondo. È il buio della guerra, è il buio di tante ingiustizie, è il buio della violenza, è il buio dei femminicidi, è il buio dell’inverno demografico che sta vivendo l’Europa e soprattutto l’Italia. È il buio di chi vive difficoltà sul lavoro, non ha a sufficienza per vivere; è il buio di chi è nella malattia o nel lutto, è il buio di chi perde un figlio, una figlia. È il buio del peccato, del nostro peccato e dei nostri fallimenti. È il buio ben protetto dalle nostre ferite, quelle che proprio hanno ferito l’amore.

È mattina di Pasqua, ma è buio. Che delusione! Non ci si può aspettare nessuna buona notizia, nessun annuncio di speranza. Anche noi delusi e intristiti come Maria di Magdala.

Invece proprio Pasqua è la festa degli annunci inattesi.

È così che accade a quella donna che va al sepolcro. In modo inaspettato vede che la pietra è già stata rotolata via dal sepolcro, e vede con i suoi occhi che il sepolcro è vuoto, Gesù, morto, non c’è.

Davvero una scoperta inattesa! Non si capisce ancora bene, si scoprirà poi che Lui è vivo, è risorto, ma la prima scoperta inattesa è un sepolcro che dovrebbe custodire un morte e invece è vuoto.

E si comincia a correre.

La donna corre dai discepoli per dire che il sepolcro è vuoto e non c’è il morto, Gesù. E poi allora Giovanni e arrancando Pietro corrono al sepolcro a vedere. E vedono che è davvero vuoto. E il loro vedere diventa il credere. Di Giovanni dice il vangelo: “E vide, e credette”. La fede è il vedere di chi vede che Gesù è vivo, ha vinto la morte, è vivente e presente tra di noi, con noi. Credere vuol dire vedere, vedere Lui, vivo, tra noi.

La Pasqua, giorno di scoperte e annunci inattesi, insperati, capaci di regalare un nuovo vedere e soprattutto annunci che fanno correre, come la Maddalena e i due discepoli. Cioè, annunci che rimettono in cammino, aprono la strada, riaccendono la speranza, fanno vivere, creano comunione e fraternità e regalano il vedere della fede che è scorgere le tracce e l’amore del risorto tra di noi.

Una scoperta inattesa ha cambiato tutto. Ora si può sperare.

Questo annuncio, questa scoperta oggi è raccontata a noi, alla nostra vita. E se ancora eravamo nel buio, lo abbiamo ricordato sopra, oggi questa scoperta inattesa è per noi e a noi porta la vita, ci rimette in cammino, riaccende la speranza, ci manda incontro agli altri, ci regala il vedere della fede.

Le ombre del buio della nostra vita, del nostro mondo, della guerra, della malattia, della povertà sono attraversate da un annuncio che è luce e ti regala, oggi, proprio a te, e a questo nostro povero mondo impazzito una nuova speranza che è l’amore, la forza di amare del Risorto, ed è un amore che ha vinto la morte.

Nel cenacolo ci sono gli altri, sono gli altri nove e Maria. Quale stupore li prenderà quando Pietro e Giovanni correranno da loro per dire: Gesù è risorto, è vivo. In quel cenacolo a Gerusalemme, con gli amici di Gesù e con Maria questo giorno ci siamo anche noi, ascoltiamo anche noi il racconto di quei due che tornano dal sepolcro vuoto.

Si immagina che il cuore dei discepoli e di Maria si riempì di gioia, di pace, di speranza, di consolazione.

Ci siamo anche noi…, abbiamo ascoltato. Anche il tuo cuore si riempie, con gli altri, di gioia, di pace, di speranza, di consolazione?

Buona Pasqua.

Veglia Pasquale

Omelia del vescovo Andrea Migliavacca

Cattedrale di Arezzo, 31 marzo 2024

Racconta il vangelo che di buon mattino, al levare del sole, alcune donne tra cui Maria di Magdala, andarono al sepolcro per onorare il corpo di Gesù.

Andiamo anche noi con loro, seguiamo le donne fino alle soglie del sepolcro.

Con loro possiamo vivere lo stupore di vedere che la pietra che chiudeva il sepolcro è già stata fatta rotolare…

E fermiamoci nel giardino del sepolcro. Siamo accanto alla Maddalena. Come ci racconta l’evangelista Giovanni, da uno sconosciuto, parrebbe un giardiniere, a lei viene rivolta una domanda: “Donna, perché piangi?”.

Ma come, siamo davanti ad un sepolcro, si vuole onorare il corpo del Signore, Gesù, crocifisso e morto, abbiamo il cuore colmo di delusione e di smarrimento, di dolore e di solitudine e si chiede “perché piangi?”.

Abbiamo percorso con le letture di questa veglia la storia della salvezza e su tutto questo cammino potremmo far risuonare la domanda: perché piangi?

Scopriamo che prima della creazione c’era il caos e tenebre, l’assenza di vita; e mi si chiede perché piangi?

Per non dire del popolo schiavo in Egitto, e poi nel cammino faticoso dell’Esodo; e mi si chiede perché piangi?

E Abramo, a cui viene chiesto di immolare il figlio Isacco? Gli si può chiedere perché piangi?

I profeti poi ci raccontano di un popolo disperso e in esilio, in attesa di una promessa messianica che non si avvera mai; e gli si chiede perché piangi?

Ma poi c’è la nostra vita. Può esserci talvolta la malattia, un lutto; e mi chiedi perché piangi?

Ci sono famiglie rovinate da tradimenti o travolte da difficoltà economiche, alle prese con figli che non si riesce più a capire; e mi chiedi perché piangi?

E vogliamo chiederlo a chi è anziano, solo, senza più orizzonti di speranza? Perché piangi?

Ma andiamo a chiederlo ai bambini a Gaza, e poi alle famiglie in Ucraina, alla gente di Mosca e negli altri scenari di guerra. Proviamo a chiedere loro, magari con fare sorpreso, quasi meravigliati, perché piangi?

C’è la nostra vita oggi, questa notte… magari motivo di piangere c’è anche, fosse solo davanti ad uno scenario mondiale oggi molto complicato e foriero di venti di guerra. E ci viene chiesto: perché piangi?

Ma non si capisce il motivo di queste lacrime? Non è forse la cosa più giusta piangere di fronte a tanto male?

La domanda rivolta alla donna, alla Maddalena però le apre pian piano gli occhi per riconoscere in quel giardiniere il Signore, l’amico risorto, vivo. Allora è chiaro perché quella domanda. La Maddalena ha davanti il risorto, Gesù vivente e allora perché piange? Perché non lo riconoscere? Se c’è Lui, vivo, non si può piangere…

Lo dice anche l’angelo a quelle donne, proprio al sepolcro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”.

È un annuncio che penetra nella nostra vita; noi abbiamo questa notte davanti, in mezzo a noi il Risorto, colui che ha vinto la morte con la sua morte. E allora: perché piangete?

È un annuncio di vita, come quello che ha accompagnato tutte le pagine bibliche proclamate, che ora celebriamo in questa veglia, nei segni della luce e del cero pasquale, nell’acqua che salva nel battesimo, nel pane spezzato presenza tra noi del Risorto. E questo annuncio viene a visitarci, si diffonde il tutto il mondo e allora ci chiede: Perché piangi?

Anche noi, come la Maddalena, apriamo gli occhi e possiamo vedere Lui, il Risorto, i segni della sua presenza e del suo amore, allora ci si può asciugare le lacrime e contemplare il trionfo della vita, il Vivente tra noi, la promessa di vita eterna per tutti.

Accadrà a noi come ai discepoli che lo vedranno, lo incontreranno vivo e, dice il vangelo, “gioirono al vedere il Signore”. Non più lacrime, ma la gioia.

È pasqua cari amici, il Signore è vivo, lo è per noi, lo possiamo incontrare e la sua presenza cambia il mondo e lo rende vivo. Egli porta la pace.

È Pasqua, dovremmo avere gioia nel cuore e occhi pieni di luce e invece… perché piangi?

Venerdì Santo, Celebrazione della passione del Signore

Omelia del vescovo Andrea Migliavacca

Cattedrale di Arezzo, 29 marzo 2024

1. Celebriamo quest’oggi, in questo Venerdì Santo, la vita che si dona, l’amore che si dona.

Ci è stato annunciato dal testo del canto del Servo di Yahweh il racconto e la memoria della vita di un uomo, di un servo di Dio, che ingiustamente viene perseguitato e, nell’amore, dona la vita; ed è tutto il racconto della passione che abbiamo, non solo ascoltato, ma vissuto in questa celebrazione, un racconto nel quale, passo dopo passo, seguendo Gesù fin sotto la croce, fino a quella croce dove ci saranno la Madre e il discepolo amato, vediamo e contempliamo la vita che si dona, l’amore che si dona.

Due aspetti, due tratti, possiamo raccogliere questa sera nello scoprire e contemplare in Gesù la vita che si dona.

2. C’è un filo rosso, un tema che accompagna tutto il racconto della passione di Giovanni, ed è il tema della regalità di Gesù. Egli è il re: soprattutto nel dialogo con Pilato emerge questo riflettere e confrontarsi sulla regalità di Gesù.

Gesù Cristo, il re dei giudei: quella sarà l’iscrizione che metteranno sulla croce.

Noi sappiamo che il re è colui che ha la responsabilità di un popolo, ha la responsabilità della guida, del bene, della vita del popolo; il re è colui che nella sua regalità si fa carico della vita del popolo. È la vita di Gesù, la vita donata di Gesù, l’amore donato di Gesù che mostra la sua regalità: facendosi carico del popolo, facendosi carico come Salvatore di tutti noi, della nostra vita.

La vita donata è vita che porta altre vite, che si fa carico del cammino di altri, dell’esistenza degli altri, e dona la salvezza; la vita donata di Gesù, la vita donata del re, che facendosi carico di tutti noi ci dona la vita per sempre la salvezza.

3. Un altro tratto possiamo raccogliere nel racconto di passione e nello sguardo alla vita donata, e sono le parole di Gesù rivolte a Maria e al discepolo amato: “Donna, ecco tuo figlio; figlio ecco tua Madre”.

In esse viene celebrata la vita: la madre scopre la bellezza e il dono di una nuova maternità, di una vita piena, e il figlio, il discepolo amato, riscopre il dono di una vita che è nell’essere figlio; è una parola che dice la generatività, è una vita donata che genera nuova vita.

Allora, la vita di Gesù donata sulla croce nell’amore è vita che dona vita, che suscita vita, che crea legami di vita rinnovati e nella pienezza; come tra la madre e il figlio, la vita donata di Gesù è una vita che dona la fecondità della vita.

Contemplando la croce, contempliamo questa vita donata di Gesù nell’amore e sentiamoci da lui custoditi, accompagnati e salvati; sentiamoci da lui rinnovati da una vita che anche per noi è dono nuovo.

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