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domenica | 24-08-2025

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Aspettando Godot in una città indifferente (quando va bene)

Il tempo stringe, il 5 agosto scade il termine per l’iscrizione e la prospettive restano tutte da decifrare. Sembrerebbe, detto così, il consueto supplizio al quale, ad estati alterne, sono sottoposti i tifosi amaranto.

Sembrerebbe, dico, perché in questa estate quel che s’è aggiunta è una guerra strisciante sulla pelle del “Cavallino” ed un cinismo tutto locale che non esito a definire repellente perché contrario, oltre che alla logica, anche a quel minimo di orgoglio e di senso di appartenenza che dovrebbero essere gli elementi fondanti di una comunità. 

Le parole (forse “dal sen fuggite” viste le precipitose ma inutili retromarce successive) del sindaco Ghinelli in Consiglio Comunale, hanno reso palese che l’imprenditoria locale sarebbe in attesa dell’ennesimo fallimento per poi ripartire da categorie inferiori, perché l’attuale società avrebbe un carico debitorio insostenibile.

Vediamo: il debito corrente, dichiarato da La Cava ed avallato anche da Orgoglio amaranto (seppur con voto negativo) al 31.3.2020 è di 980 milioni.

È troppo per fare la serie C? Senza giri di parole: se pensiamo di fare la Lega Pro con meno di 1 milione all’anno (al lordo di contributi e proventi del calciomercato) allora diciamo chiaramente che non ci interessa fare calcio ad un livello dignitoso.

Diciamo chiaramente che in questa città si è perduto ogni attaccamento alla maglia, ogni orgoglio cittadino, ogni voglia di crescere e primeggiare che non vada oltre il piccolo orticello di casa propria. Diciamo chiaramente che dopo le generazioni dei Lebole, dei Golia, dei Terziani, dei Butali e dei Mancini, qua non c’è più nessuno che abbia lo spirito e la lungimiranza di intraprendere un’avventura economica che abbia per oggetto il portare in alto il nome di Arezzo. Diciamo chiaramente che qua si considera, per fare un esempio, la famiglia Squinzi, che ha rilevato e portato il Sassuolo (stessi spettatori dell’Arezzo anche nella massima serie) dalla D alla A, una manica di pazzi scriteriati.

Oppure vogliamo sostenere che ci ha fiaccato la crisi? Invece a Crotone, beati loro, sguazzano nell’oro con un Pil stratosferico da fare invidia alla Svizzera. Ed allora ecco che qualcuno sta incredibilmente lì a gufare perché salti di nuovo tutto in aria e così finalmente si possa ripartire fosse anche dall’Eccellenza. Con ignominia e vergogna, dico io. Invece di usare metodi da sagrestia si parli chiaramente: c’è qualcuno che fa ombra? Dove sta il problema? Chi compra comanda e decide.

Non c’è bisogno di fare guerriglia social o sponda ad improbabili nominativi. Si abbia il coraggio di comprare l’Arezzo, ma di comprarla senza vilipendere la dignità sua e dei suoi tifosi, comprarla per mantenerla quantomeno al livello in cui milita adesso e non per portarla ad essere sbeffeggiata nei campi della provincia. Già, perché se riparti dal basso, la storia insegna, mica vinci a mani basse solo col blasone! Anzi, per vincere, anche in Eccellenza o, peggio ancora, in serie D, ci vogliono soldi e anche lì non pochi.

Ma sento sdrucciolare anche una versione pronta all’uso che reciterà più o meno: “Ohimè! la crisi incombe e quindi basso cabotaggio anche in categorie inferiori ché di più questo non si può…“. Esattamente lo stesso che per tutto il resto: una città immobile, di qualunque colore sia il governo che la regge, progetti che abortiscono prima ancora di essere nati, una “cupola” che va “coltivando tranquilla l’orribile varietà delle proprie superbie” (De André)  ed una “massa di manovra che in gran parte ha smarrito financo il senso del proprio essere, pronta a scattare solo davanti alle “pizzate” dei quartieri dove sventola il foulard più per richiamare i camerieri che per passione.

Nelle ultime ore è iniziata la passerella dei politici. La questione Arezzo balla da un mese e più, ma fino a che la “Minghelli non è scesa in piazza, il problema non c’era. Ora e fino al 20 settembre lo cavalcheranno tutti,  con un interesse che non andrà “al disopra delle parole celebrative del nulla” (Faber, maestro sublime) e poi chissà se qualcuno si ricorderà nemmeno l’indirizzo dello stadio. Ora a soffrire le pene dell’inferno restiamo noi, quei pochi che hanno l’amaranto come colore dell’anima e il nome di Arezzo nei cuori e non solo sulle labbra. Ora siamo noi che aspettiamo Godot e speriamo che questa volta arrivi…