Brandi, a sinistra che tempo che fa: "Le sconfitte a Piombino e Cortona segnalano la fine di un’epoca"

. Inserito in Speciale Elezioni 2019

Ospitiamo le riflessioni di Paolo Brandi. L'ex sindaco di Castiglion Fiorentino offre un'ampia analisi critica sullo stato di salute del centro sinistra toscano e aretino: "Si perde tempo a discutere di segreterie, più o meno unitarie, mentre intorno fioccano botte da orbi"

"Io sono quello che, secondo alcuni, non avrebbe diritto di parola e invece, essendo una sorta di “paria”, posso sostenere quello che penso senza remore. Ho aspettato un po’ a dire la mia sui risultati delle elezioni per vedere quello che sarebbe successo dalla mia parte. Non è successo quasi niente.

In compenso raccontiamo la favola bella che arrivare secondi è un gran risultato, dimenticandoci  che, nella competizione politica, arrivare secondi  se mancano alleanze e idee è come arrivare ultimi. Eppure siamo contenti perchè il Centrosinistra nei ballottaggi ha preso 112 sindaci mentre 85 sono andati alla destra, uno al Movimento 5 Stelle e 23 alle liste civiche. Se però si guardano i risultati nel loro complesso, si scopre che in realtà la destra guadagna 40 Comuni rispetto al 2014 e il centrosinistra ne perde 41.

Ma perché questa silente mistificazione?

Il silenzio, quando si combina con la paura dell’ignoto, produce sempre effetti nefasti.

L’ultima direzione nazionale è un esempio del “timor panico” che sembra aver catturato il PD. In nome di un’unità fittizia si evita di “voltare pagina”, si rinuncia a “cambiare passo”, non facendo tesoro delle parole di Eusebio di Cesarea: “nello stesso corpo non possano convivere più anime”.

Eh si, è proprio vero, la paura fa novanta.  La paura di perdere rendite di posizione, di rompere equilibri che ormai non reggono alla prova dei fatti perché “i barbari sono alle porte”.  

Basta vedere quello che succede in Toscana, dove si perde tempo a discutere di segreterie, più o meno unitarie, mentre intorno fioccano botte da orbi.

Le sconfitte a Piombino e Cortona, di là dagli aspetti locali, segnalano anche simbolicamente la fine di un’epoca. Da una parte c’era la tradizione operaia dall’altra la memoria delle leghe contadine. Stop, finito.

Non è nascondendo la polvere sotto il tappeto che si risolvono i problemi.  Almeno nella nostra provincia, dopo Cortona e tanti altri comuni persi, mi sarei aspettato un sussulto e invece si ragiona di assetti interni mentre la destra dalle mille maschere macina consensi.

Masse di elettori che votavano a sinistra oggi votano la Lega, con un salto politico scioccante per dimensioni e qualità. Che cosa è successo? In cosa abbiamo fallito? Perché non siamo credibili? Forse perchè abbiamo perso il coraggio, perché non abbiamo più la voglia di tirarci su le maniche e preferiamo un convegno di professoroni (che guadagnano decine di migliaia di euro al mese)  al parlare con la gente comune delle file di attesa, dello stipendio che non basta, della incertezza del futuro.

Ci vuole l’umiltà di riconoscere laddove abbiamo sbagliato. Per esempio io credo che in certi risultati negativi abbia pesato una politica regionale centralistica, quella delle aree vaste e della lontananza dai territori.  Accanto a questo l’incapacità a capire il cambiamento, il vento che gonfiava le vele della Lega sull’immigrazione, che soffiava sulle difficoltà economiche di tante famiglie, che trasformava in rabbia i problemi delle piccole e medie imprese lasciate sole ad affrontare la crisi.  Non si spiegherebbe altrimenti il perché anche ad Arezzo la Lega abbia sfondato attirando tanti elettori di sinistra. Tuttavia si preferisce non ragionare di questi temi e su questi argomenti reimpostare le politiche locali del PD.

Io sono contento per Firenze e Livorno ma non me ne faccio niente di un partito che vince nelle grandi città e poi perde nel paese.  E continuare a pensare che un’intesa rattoppata tra tante anime (alla faccia di Eusebio di Cesarea), risolva la situazione è come pretendere di guidare una macchina con le ruote quadrate. Se qualcuno riesce a convincermi del contrario sarò un uomo felice".

Paolo Brandi

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