Autolesionismo nei giovani

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I ragazzi si tagliano quando incidono o feriscono la pelle, gambe e braccia con lame, coltelli, temperini, vetri o lattine. Può capitare che escogitano altri sistemi, come bruciarsi o grattarsi fino a sanguinare. Il cutting è una fenomeno di autolesionismo diventato evidente nei ragazzi e preadolescenti.

Tale fenomeno ha raggiunto grandi numeri in Italia dove 2 adolescenti su 10 dichiarano di aver messo in atto condotte autolesive. L'età in cui si inizia è a volte addirittura 12 anni. Così giovani, non c'è una significativa differenze tra i due sessi, ma già nella fascia tra i 14 e i 19 anni il 67% sono femmine (fonte 2019).

Chi si taglia non mostra mai i tagli. Questo rappresenta un elemento non comunicativo importante. Ad un certo punto la cosa viene fuori. Ma perché i ragazzi fanno questo? Soprattutto, perché non lo mostrano ma lo nascondono?

I genitori ad un certo punto scoprono i tagli: i ragazzi non ne parlerebbero mai. La realtà, per tutti, viene stravolta, perché si pensa che il ragazzo o la ragazza abbia tentato di togliersi la vita. Non si sa come reagire e ci si sente persi. La prima reazione è lo spavento, poiché il tagliarsi è un comportamento apparentemente molto pericoloso.

Anche se non è ciò che chi si taglia vuole, la famiglia intera si spaventa molto per quel gesto.

Il tagliarsi, come forma di autolesionismo, può accompagnarsi a utilizzo di sostanze o disturbi alimentari. Chiusura e isolamento. Tipicamente, i ragazzi che si tagliano hanno un disturbo di natura ansiosa (si preoccupano troppo). Possono nascondere questo stato d'animo, per proteggere i genitori dal loro dolore. Da sottolineare che tante volte capita che i genitori sminuiscano le ansie dei ragazzi, non rendendosi forse conto di quanto l'ansia e il disagio siano fonte di notevole sofferenza per loro. Da non fare.

Quello che dall'esterno viene considerato dannoso (i tagli, le diete, l'isolamento), per questi ragazzi è virtuoso perché diminuisce il dolore psichico. Il sintomo è la cura. È paradossale ma è così: il sintomo (il tagliarsi) cura (lo stare male).

I comportamenti autolesivi sono espressione di una difficoltà di questi ragazzi a regolare le proprie emozioni. Non si tratta di una provocazione, né di condotte manipolatorie: i comportamenti autolesivi servono sempre per regolare gli stati interni. Il comportamento è impulsivo e non ragionato.

Come sappiamo, l'adolescenza è un periodo evolutivamente molto complesso. Dopo la latenza si assiste al risveglio pulsionale. Tempeste ormonali si accompagnano a sbalzi d'umore e cambiamenti di un corpo che cambia velocemente e imprevedibilmente. I ragazzi attraversano il processo che va dall'individuazione alla separazione dalle figure genitoriali, fenomeno che avviene spesso in modo stressante o addirittura traumatico.

Il corpo subisce cambiamenti improvvisi e incontrollabili, cresce seguendo modalità spesso disomogenee, si trasforma secondo una metamorfosi continua ed imprevedibile. Come scrive F.Ferrari (2005) per i ragazzi il corpo segnala, attiva, indica e da spesso molta preoccupazione.

I ragazzi, tagliandosi, regolano come possono questa sofferenza, che non può essere taciuta, ma agita impulsivamente attraverso comportamenti autolesivi che sono perciò manifestazione del disagio e il suo maldestro tentativo di cura. I ragazzi attaccano il nemico: il corpo/mente che spaventa e che non si sente come proprio. Tagliandosi, si riacquista maldestramente il controllo, regolando così gli stai interni.

Il tagliarsi è una difesa dalla minaccia di frammentazione del sé dove il dolore fisico può avere la funzione di ricompattare i confini a fronte di una percezione discontinua, disomogenea del proprio corpo e della propria identità. Il premio (in psicologia, il rinforzo) è la sensazione di rilassamento segue il tagliarsi.

Ciò provoca la coazione a ripetere, cioè quel fenomeno morboso caratterizzato dall'insorgenza di idee che obbligano la persona a compiere un'azione, dalla quale percepiscono una gratificazione.

Spesso i genitori si sentono inadeguati al problema, sfidati dai propri figli, esclusi e tenuti a distanza. Pur trovandosi a vivere una quotidianità stravolta, dopo la scoperta, i genitori sembrano tenuti a distanza dal figlio. Il primo istinto di un genitore è perciò quello di stare vicinissimo al figlio, sperando che il ritornare ad una maternità o paternità primordiale possa aiutarlo.

Ai genitori è chiesto invece di mettersi in discussione, di essere coerenti rispetto alle scelte che devono compiere e ai comportamenti che devono assumere. Il che non sempre è facile. Sembra che qualsiasi cosa si fa, si sbaglia. La prima cosa da fare è allora non minimizzare ("passerà") cioè negare il problema del ragazzo e tornare a preoccuparsi dei propri problemi che, lo so bene ma non è una scusa, sono molto preoccupanti.

Detto questo, è necessario dialogare piuttosto che intervenire. Intervenire significa chiedere quante volte lo hanno fatto, controllare se lo hanno fatto di nuovo, fare gli investigatori che controllano quello che i ragazzi fanno. Così li farete sentire ancor più oppressi. Dialogare invece comporta far sentire la propria presenza.

Inoltre: non autocommiserarsi. I ragazzi percepiscono il vostro dolore e saranno ancora più colpevoli, tormentati e disorientati. Si sentiranno senza guida, prenderanno le decisioni loro per sé e questo è ancora peggio. I ragazzi hanno bisogno di sentire che siete attenti al loro disagio, che vi accorgete di cosa succede e che volete aiutarli ad affrontare i problemi in maniera più adattiva e funzionale al loro benessere. Che siete voi la guida.

I ragazzi non hanno bisogno di essere contenuti, ma di un sostegno e di un supporto. Se i vostri figli capiscono che non siete delusi, che non siete arrabbiati, ció li alleggerirà e si sentiranno meno in colpa. Bisogna ricordarsi che il tagliarsi è sia un sintomo, che una difesa dal dolore.

È richiesto ai genitori di fare forza sulle proprie sensibilità e di mettere in discussione quelle modalità specifiche che hanno di mettersi in relazione con il figlio. È possibile vivere in modo diverso le relazioni e così aiutare il figlio a vivere il rapporto con sè stesso in modo differente. Solo insieme, facendo squadra, si trova la via d'uscita.

Quando i "pazienti" sono così giovani, sconsiglio la sola terapia individuale per loro. Sono troppo piccoli per assumersi la completa responsabilità e gestione della loro guarigione. È piuttosto molto più efficace una terapia familiare. Ad ogni modo vi ricordo che voi dovete mettervi per primi in discussione. Voi avete una chiave.

La famiglia fa parte della soluzione. Se il figlio che si taglia vede solo la parte malsana della propria vita, i genitori devono essere in grado di fargli vedere anche la sua, e la loro, parte sana. Come diceva San Francesco, "Un raggio di sole è in grado di spazzare via molte ombre".

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Francesco Santini

Francesco Santini

Sono uno psicologo clinico che dedica attenzione al tema del cambiamento e alle difficoltà legate ai percorsi e alle fasi della vita