Presidenziali Provincia, chi ha sbagliato i conti

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«Chi di spada ferisce, di spada perisce». Si potrebbe riassumere con queste semplici parole quello che è accaduto nella elezione del Presidente della provincia di Arezzo. Di primo acchito verrebbe infatti spontaneo ripensare a quanto accaduto la volta scorsa, quando alcuni “franchi tiratori”, impedirono l’elezione della candidata del centrosinistra.

Oggi la storia sembra ripetersi a parti invertite. Tuttavia riassumere questi fatti sotto la schematica categoria del “tradimento”, quasi che la politica fosse una questione di corna, è sbagliato.
Il tradimento in politica, dopo le teorizzazioni di Machiavelli, non esiste più. Gli esiti di un voto difficilmente sono attribuibili alla malasorte o ai voltafaccia, derivano sempre da cause politiche e non psicologiche.
Per questo la mancata elezione della Presidente Chiassai va letta con attenzione, così come qualche anno fa andava approfondita la sconfitta della sindaca di Civitella. In quel frangente si preferì sorvolare e il centrosinistra, evitando di ragionare sulla sua gracilità politica ed istituzionale, aprì la strada ad altre sconfitte.
Oggi non so se e in che modo i partiti vorranno interrogarsi su quanto è accaduto. Di certo è un risultato inatteso, che arriva però alla fine di una concatenazione di eventi che, come le congiunzioni astrali, accadono poche volte nella vita.
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, così è accaduto quando si è scelto il 18 dicembre per celebrare l’elezione del Presidente. Una data che impediva la candidatura della maggior parte dei sindaci della provincia. Qualcuno, così facendo, pensava di spianare la strada alla presidente uscente. Ha sbagliato i conti. Perché la politica non è fatta solo di scaltrezze, è il prodotto anche di numeri e scelte obbligate. Il centrosinistra, con questa bella trovata, si è trovato di fatto senza candidature.
Si è così avviato un meccanismo che ha portato la stragrande maggioranza dei grandi elettori del centro sinistra a scegliere Polcri. C’è da dire che perfino in questa situazione di vincolata forzatura non sono mancati i “malpancisti”, personaggi il cui infantilismo politico rasenta l’autolesionismo, ma stavolta non hanno inciso, perché il serpente si annidava nel seno nel centro destra.
Covava nello scontento per una candidatura tutta politica, fatta propria da una parte politica, covava nel rifiuto della personalizzazione esasperata, quando invece il ruolo di presidente richiederebbe condivisione, covava nel rifiuto di una politica vecchio stile fatta di asfaltature di strade, promesse elettorali, tour nei consigli comunali. Soprattutto ha trovato in Polcri il terminale giusto per potersi esprimere. Va dato merito al sindaco di Anghiari di aver messo in campo, in una situazione non facile, immagino le pressioni ricevute, cuore e testa.
Polcri ha saputo cogliere l'inverno del nostro scontento per dirla con Steinbeck, quando ha parlato della provincia come “casa dei comuni”, quando ha spostato il civismo dai confini comunali al perimetro provinciale. Una operazione intelligente che non poteva lasciare insensibili tutti coloro che in questi anni si sono sentiti ai margini.
La destra aretina è oggi chiamata a riflettere. In particolare Fratelli d’Italia, che erano diventati i paladini della Presidente Chiassai. Limitarsi alla caccia dei traditori, come accaduto dopo l’8 settembre, servirebbe a poco. Ci vuol ben altro per chi ritiene di rappresentare in provincia di Arezzo l’innovazione e la competenza contro il vecchiume della sinistra.
Per quanto riguarda la sinistra è sbagliato, per non dire ridicolo, stappare lo spumante. La vittoria di Polcri è la certificazione della debolezza minoritaria che affligge il PD, senza il voto di alcuni amministratori del centrodestra la Presidente Chiassai avrebbe vinto.
Il PD in questa provincia non è più Princeps, ma Primus inter pares. Deve capire, al di là di quello che pensa qualche ideologo da “palombella rossa”, che nella nostra provincia occorre ripensare l’approccio politico. Specialmente laddove le alleanze e le fratture politiche diventano indispensabili per vincere le elezioni. Devo dire che in questo senso il PD provinciale sembra aver capito la lezione che veniva dal passato, utilizzando oggi un metodo che può apparire trasformista, ma che invece si adatta ai tempi nuovi. Se lo stesso metodo, per quanto indigesto, fosse stato utilizzato a livello nazionale, probabilmente non avremmo un governo di destra e in Lombardia e nel Lazio si correrebbe per vincere e non per partecipare.
Questa è la lezione che esce fuori dalle presidenziali per la provincia.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.