Se quelli del "non voto" sono il primo partito

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È terminata la campagna elettorale più lunga e anomala della storia. Tuttavia, nonostante la lunghezza, buona parte delle persone sembra saperne poco o, peggio, non gliene frega niente e forse non andrà a votare

Il calo della partecipazione è un elemento che quasi nessuno prende in considerazione, eppure non va sottovalutato. Non perché il numero sia potenza, ma perché la partecipazione è il fondamento su cui si regge la democrazia. Come cantava GaberLa libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
I numeri in questo senso hanno la forza di un terremoto: l'affluenza alle urne è passata dal 95,9 del 1970, primo anno in cui si è votato per le regionali, al 48,28 per cento del 2010.
E’ possibile che stavolta, complice l’emergenza covid, si andrà ancor più giù. A chi dice che il calo è fisiologico, io rispondo che lo è fino a un certo limite, oltre diventa una malattia della democrazia.
Purtuttavia, per convenienza o ignavia, non si dà peso al fatto che il primo partito sia quello del non-voto.
Né sembrano importare le ragioni che inducono tante persone a disertare le urne. Ma poi si tratta davvero di una fuga, oppure è un eccesso di legittima difesa di chi si sente violato, preso in giro, vilipeso?
E’ lo stesso eccesso che ha portato tante persone a scegliere la Lega mentre prima votavano a sinistra. E nonostante questo non trovo nessuno che si prenda a cuore il disincanto, la disillusione e lo scetticismo che fa dire a tanti: "questa o quella per me pari sono". Destra e sinistra uguali. E’ questo il punto che fa male, perché poi, alla fine, non è vero. La sanità pubblica Toscana, con tutti i suoi limiti, non è quella della Lombardia. Purtuttavia questo non basta, perchè, non mi stancherò mai di ripeterlo, senza speranze e senza pensieri lunghi non si va da nessuna parte. E se è vero che a destra danno risposte sbagliate, a sinistra ci si rifugia troppo spesso nel tecnicismo e nella formale elencazione delle cose fatte senza un afflato, senza una tensione verso una maggiore giustizia sociale e verso il futuro. Guardiamoci intorno, i programmi hanno perso di valore, contano gli spot, le manifestazioni da appiccicare come figurine della Panini sull’album della campagna elettorale. Iniziative necessarie, che però hanno il sapore malinconico del déjà vu. Sembra di veder passare i carrarmati di Mussolini che, per dare un segnale di forza, faceva sfilare sempre gli stessi veicoli. Così, oggi, alle iniziative di partito, ci sono sempre le stesse facce e la gente, quella vera, sta a casa. E’ un brutto segnale, perché la politica è come un cavallo, ha bisogno di correre e se rimane a lungo rinchiusa, perde tutta la sua forza.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.