Il vantaggio dalle disgrazie altrui non è sufficiente

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Che la politica sia conflitto non v'è dubbio, si capisce da molte cose, senza bisogno di scomodare Carl von Clausewitz il quale sosteneva che "la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi".

La politica è competizione, confronto e dovrebbe - dico dovrebbe -, portare avanti visioni del mondo tra loro in concorrenza. Non a caso la politica deperisce quando finisce il conflitto e affida le scelte alla tecnocrazia. Per questo non provo meraviglia che su una vicenda giudiziaria come quella del Comune di Arezzo, che vede coinvolti a vario titolo amministratori pubblici e amministratori di società partecipate, si sia scatenata una ridda di dichiarazioni. Dichiarazioni che arrivano in gran parte da chi, di parte avversa, rileva la necessità di trasparenza, etica e buon governo, sottendendo che "se loro non sono stati capaci, noi saremo all'altezza del compito".

È normale che sia così, e lo dice uno che ha provato sulla propria pelle cosa significhi essere messo alla gogna sui giornali e indicato, per fini politici, come la causa di ogni male. Salvo poi, al momento della completa assoluzione, non avere riconoscimento alcuno. Non me la prendo, perché così è la vita. Ma questo non significa ripagare con la medesima moneta. Sarà per questo che aborro la riforma della prescrizione che metterà per un periodo indefinito una spada di Damocle sopra la testa di persone che fino a sentenza definitiva sono da ritenere innocenti. E vi posso assicurare che non è piacevole rimanere, come mi è accaduto, per otto lunghi anni sospeso nel limbo delle accuse.

Nonostante questo non ho mai barato. Se di una cosa posso menar vanto è aver messo sempre le carte in tavola: credo di essere uno dei pochi ad aver annunciato, in una conferenza pubblica, di essere indagato, uno dei pochi ad aver annunciato (solo annunciato, perché per me i processi si sono conclusi nei tempi previsti) che avrei rinunciato alla prescrizione. Quindi con ragione posso dire che pensare di poter ricavare un vantaggio dalle disgrazie giudiziarie degli avversari, se da un lato è comprensibile (la guerra è un inferno), alla fine non è sufficiente. Non è sufficiente perché la politica è fatta di scontro ma anche d'idee, di progetti, di passioni e progetti.

Ecco perché non traggo piacere dalla mortificazione giudiziaria e rifuggo la canea che s'è levata ad Arezzo. Possiamo recitare la parte dei Savonarola ma questo non aiuta a cogliere la sostanza delle cose. Non coglie per esempio il fatto che è il decadimento della politica a offrire la stura ai peggiori istinti: la brama, il possesso, il senso d'impunità. Chiediamoci una buona volta perché i migliori cervelli (senza offesa) fuggono dalla politica. Una volta non era così. Questa domanda aspetta una risposta e forse allora capiremo che l'etica in politica non si misura solo sulle ruberie (che vanno perseguite e condannate) ma su sul fatto che oggi competenze, capacità, autonomia di giudizio sono considerati difetti perché quello che conta non è la fedeltà all'idea ma la riverenza al capataz di turno. Come dice Papa Francesco "l'autorità non è comando ma coerenza e testimonianza". Quanti in politica oggi portano una testimonianza? Quanti sono coerenti?

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.