Politica
Paolo Brandi lascia la segreteria provinciale del Pd: “Un partito chiuso e autoreferenziale. Non è più politica, è sopravvivenza”

Arezzo – A poche ore dalla chiusura della tornata elettorale delle regionali, arriva un gesto forte all’interno del Partito Democratico aretino. Paolo Brandi, volto storico del partito, membro della segreteria provinciale, consigliere comunale di opposizione a Castiglion Fiorentino e consigliere provinciale, ha annunciato le sue dimissioni dalla segreteria provinciale del partito. Decisione “maturata e comunicata prima dell’esito delle elezioni“, tiene a precisare. Lo abbiamo intervistato per capire le ragioni di una scelta sicuramente sofferta, tenuto conto del peso specifico del personaggio, della lunga militanza e delle tante battaglie portate avanti, che vuole scuotere il Pd non solo locale e intende aprire ad una profonda riflessione all’interno delle varie componenti.
Brandi, perché ha deciso di dimettersi proprio ora, alla fine della campagna elettorale?
«Perché credo che sia arrivato il momento di fermare le macchine e chiedermi cosa stiamo diventando. Ora che la campagna è finita e gli elettori si avviano ai seggi, non potevo più rimandare una riflessione che mi accompagna da tempo: il quadro che mi appare del Pd è desolante.»
In che senso “desolante”?
«Vedo promesse mancate, regole aggirate, liste costruite tutte all’interno, poteri più o meno forti che decidono chi deve contare e chi no. Siamo l’un contro l’altro armati, mentre la destra corre come un treno. È come assistere a uno spettacolo da fine impero, ma senza nemmeno la grandezza tragica di un Nerone.»
Lei parla di un partito chiuso su sé stesso. Cosa intende?
«Un partito che non cerca più nuova linfa, nuove energie, nuove culture. Ci accontentiamo di amministrare ciò che resta. Stiamo consumando un’eredità che non ci appartiene, costruita da altri con sacrificio e passione. Abbiamo smesso di selezionare una classe dirigente e abbiamo cominciato a scegliere la fedeltà.»
C’è anche una critica alla mancanza di identità politica.
«Sì. Si è preferita la via più facile: accarezzare il movimentismo sterile, flirtare con i populismi. Così abbiamo perso ogni identità culturale e politica. Diamo l’immagine di una Chiesa dove i preti non credono più in Dio ma continuano a dir messa per abitudine o per la congrua di fine mese. E poi ci chiediamo perché la gente non ci ascolta più e non va a votare?»
Cosa l’ha portata, concretamente, a dire “basta”?
«Non reggo più questo spettacolo. Non è politica, è sopravvivenza. Qui ad Arezzo stiamo legittimando protagonismi deteriori, piccoli gruppi di potere, influencer improvvisati. Tutta roba tossica, che corrode ogni cosa. Non intendo più discutere di ciò che è ormai evidente.»
Ha aspettato la fine della campagna elettorale per annunciare le sue dimissioni. Una scelta ponderata?
«Sì, ho voluto farlo prima che le urne fossero aperte, per evitare che qualcuno pensasse che stessi aspettando di vedere come andava a finire. Ho sistemato le questioni burocratiche e poi ho deciso di tirarmi indietro. Alla mia età non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.»
Il suo è anche un messaggio sulla salute della democrazia e sulla partecipazione politica.
«Sì, e mi viene in mente una riflessione di Pier Paolo Pasolini, che si chiedeva: “Qual è la vera vittoria: quella che fa battere le mani o quella che fa battere i cuori?”. Verrebbe da dire entrambe, ma con una sfumatura importante. Alle ultime elezioni regionali ha votato solo una parte minoritaria degli aventi diritto. Chi ha vinto festeggia, chi ha perso si consola. Eppure i cuori non battono forte.
Platone, duemilacinquecento anni fa, scriveva che una democrazia senza regole e rispetto, dove la libertà diventa licenza, può degenerare nella tirannide. Oggi non c’è nessun dittatore, ma nel disinteresse e nell’abbandono della partecipazione cresce il germe di una democrazia a bassa intensità.
E quando questo vuoto si unisce alla tecnologia — che orienta, controlla e misura tutto — il rischio cresce ancora di più. Si battono le mani, sì. Ma i cuori restano freddi come il vento nelle notti d’autunno.»
Che messaggio vuole lasciare ai suoi compagni di partito?
«Auguro buon vento e mare calmo. Ma ricordo una cosa: chi non sa quale porto vuole raggiungere, nessun vento gli sarà favorevole.»