L’importanza del parlar chiaro: farsi capire è quell’arte che appartiene a pochi

Io penso che nel centro sinistra e in particolare nel PD, esista un problema di lessico, di uso delle parole, che riflette un modo di pensare e di conseguenza un modo di essere. Noto, con mio grande rammarico, un’assenza di semplicità che ben si riverbera nell’espressione “voler mettere le brache al mondo”.
Detto in altre parole, v’è ancora l’idea che da una parte ci sono i bravi, i migliori, quelli che possiedono una risposta su tutto e dall’altra quelli che non capiscono un tubo. Perché, secondo questa logica, sono sempre gli altri a non capire: salvo poi svegliarsi dal sogno e accorgersi che, nella “rossa” Toscana, 6 capoluoghi di provincia su 10 non sono governati dal centrosinistra. Possibile che sia la gente a non capire?
Non è utilizzando termini ampollosi, tecnicismi, vocaboli sociologici o, peggio, termini inglesi (jobs act, spending review, governance, stakeholder e l’elenco sarebbe assai lungo), che si distingue la buona politica dal resto.
Faccio un esempio, giusto per capirci, una candidata al consiglio regionale (non di Arezzo così sgombriamo il campo da malevole interpretazioni), ha promosso un incontro, certamente interessante, titolandolo: “La coesione sociale e territoriale come lotta alle disuguaglianze“. Una persona normale stenta a capire di cosa si parli. O non era più semplice scrivere “lotta alle disuguaglianze?” Ma detto così sarebbe stato troppo facile. Io, invece, adoro la genuinità, perfino la parola grossolana e detta male, ma che almeno fa capire ciò che siamo e ciò che vogliamo.