Politica
Coronavirus, il nemico invisibile che ci sta scongelando. Forse riacquisteremo le nostre funzioni vitali
Al supermercato vado sempre vicino alla chiusura, per non trovare coda alle casse. A quell’ora tarda s’incontrano sempre le solite persone. In questi giorni, in una delle rare uscite accordate dai decreti del governo, ho incrociato, di fronte allo scaffale delle verdure, un vecchio conoscente. Vecchio perché in là con l’età e perché lo conosco da molti anni.
Istintivamente ho allungato la mano ma poi l’ha ritratta, come mi fossi scottato. Ci siamo allontanati lentamente, dopo esserci scambiati un “arrivederci” sofferto, sembrava che lui fosse al finestrino di un treno ed io sulla banchina.
Fatti pochi passi mi sono fermato per un bel po’ davanti al frigo dei surgelati. Qualcuno avrà creduto che fossi indeciso tra il merluzzo e la platessa e invece riflettevo sulle contraddizioni di questa bizzarra e maledetta situazione in cui ci ha precipitato il Covid-19.
Da una parte, per quanto distanti, siamo uniti. In questi giorni le video chiamate e le telefonate hanno ricongiunto amici e parenti che non si sentivano da mesi, talvolta da anni. Dall’altra l’epidemia ha costruito nuovi confini e barriere: fino a qualche settimana fa “l’altrove” erano nazioni lontane, in altri continenti. Oggi l’altrove è il comune vicino, è il quartiere dalla parte opposta della città. Un rimpicciolimento che ricorda il medioevo, dove, oltre le mura castellane, si apriva un altro mondo. Il tempo è fragile e in poche settimane si può tornare indietro di secoli. Per questo mi fanno sorridere coloro che oggi s’indignano perché gli stati chiudono le frontiere. Di cosa vi meravigliate? L’accordo di Schengen era ormai morto da tempo.
Era già defunto quando l’Europa non ha fatto fronte comune sui migranti. Era trapassato quando nessuno ha convertito il rigore economico in solidarietà nella crisi greca, è scomparso quando, alla natura politica ed etica dell’Europa di Altiero Spinelli, si è sostituita la dimensione dei potentati economici.
In questa situazione, la libera circolazione proclamata da Schengen, non era di uomini e d’idee, ma di merci e denaro: per questo non mi sorprendo se, di fronte al pericolo, le frontiere tornano a sigillarsi. L’istinto che prevale è quello della sopravvivenza: prima dei singoli e poi degli Stati.
Tuttavia in questi giorni ho visto anche altro. Si comincia finalmente a capire quanto sia importante l’appoggio reciproco, l’unione d’intenti, l’ordine e, perché no, la disciplina. Si è capito che il dannato virus non guarda in faccia nessuno e non fa differenze. Per questo, forse, davanti ai surgelati, il mio pensiero è corso all’affresco di Bartolo di Fredi, nella chiesa di San Francesco a Lucignano.
Quando sarà passata la tempesta andate a vederlo: al centro campeggia la figura della morte sul suo cavallo nero, armata di arco, frecce e una falce fienaia. Alla sua destra, dei giovani e alla sinistra dei vecchi che la guardano e quasi la invocano. Proprio loro, gli anziani, i più vulnerabili dalla malattia. Gli Anziani che in questa informazione squilibrata sono diventati numeri e non più persone dotate di affetti, passioni e sentimenti. Sono loro le prime vittime, oltre che del coronavirus, di un cinismo collettivo che ha trovato la sua espressione più bieca nelle parole del primo ministro inglese.
Tutte queste cose le ho pensate davanti a un frigo? E’ il posto migliore, perché è stato il nemico invisibile a farci uscire dal surgelatore in cui eravamo rinchiusi. Congelati nelle nostre convinzioni di progresso infinito e di svago senza freni. Adesso ci siamo sciolti come neve al sole. Sono curioso di capire se, una volta finita l’emergenza, torneremo ad essere dei pupazzi congelati, oppure riacquisteremo le nostre funzioni vitali, compreso quel benefico calore che produce, nella testa, il vorticare di idee e pensieri.





