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venerdì | 04-07-2025

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4 luglio 1944: Castiglion Fiorentino e il senso della Liberazione

Il 4 luglio 1944 le truppe alleate entrarono a Castiglion Fiorentino. Per la popolazione fu il giorno della liberazione dall’occupazione nazifascista. Ma non fu la fine della guerra: il fronte si fermò per più di dieci giorni sui monti circostanti, e con esso restarono la paura, l’incertezza e il dolore. La guerra aveva colpito duramente il nostro paese. Il bombardamento americano del 19 dicembre 1943 aveva cancellato una parte del centro abitato, causando morti e feriti. Poi i tedeschi, minando Porta Romana, strade e ponti, completarono l’opera di distruzione.
I segni della guerra si trovavano: nei corpi dei fucilati nelle campagne, nei mutilati dalle mine, nelle famiglie spezzate, nelle macerie che ingombravano le strade.
Quel 4 luglio fu un giorno strano.
Mentre gli alleati salivano via Adua, a poco più di un’ora di distanza, nel comune di Cavriglia, i tedeschi compivano una delle stragi più gravi della provincia di Arezzo: 192 persone uccise in poche ore.
In contemporanea, si liberava un paese e se ne massacrava un altro. È uno dei tanti paradossi della storia. Paradossi che ritroviamo anche nel presente.
Oggi, mentre in alcune zone del mondo – dall’Ucraina al Medio Oriente – si continua a morire sotto le bombe, per fame o per mancanza di cure, altrove si vive come se nulla accadesse.
Si discute di vacanze e cene, mentre dai più alti scranni si evocano con leggerezza concetti come guerra e riarmo.
Si trovano risorse ingenti per nuove armi, ma non per scuole, ospedali, infrastrutture.
Si parla di sicurezza, ma si dimenticano i bisogni fondamentali.
Una contraddizione tanto più grave se si considera che ottantuno anni fa giovani venuti da lontano – inglesi, neozelandesi, indiani – morirono sulle nostre colline per restituirci un mondo libero e senza guerre.
Oggi quella libertà viene data per scontata.
La democrazia, per molti, è diventata un fastidio, un meccanismo burocratico privo di significato.
E intorno cresce l’indifferenza. Si guarda altrove, si banalizza tutto. Ma non è il momento di lasciarsi andare alla rassegnazione. Non serve essere pessimisti o fare la morale da salotto.
Però occorre essere coscienti che la democrazia non è un regalo: ha bisogno di attenzione, di cura, di partecipazione. Ed allora riesce sempre a ricacciare all’inferno i demoni della storia che nascono dal sonno della ragione.

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