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sabato | 23-08-2025

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Nella palude della politica

Le regole del vivere civile sono necessarie come l’aria. Somigliano al codice della strada: semafori, stop e sensi unici sono tutte limitazioni senza le quali al primo incrocio andremmo a sbattere il grugno.
Ecco perché non mi sento leso nei miei diritti di individuo se, chi è demandato a decidere (in democrazia funziona così), stabilisce regole che, pur ponendo dei divieti, difendono l’interesse di tutti.
Il problema è capire quale sia l’interesse di tutti.
Mi soccorre in questo un vecchio filosofo che tanti anni fa abitava nella città di Königsberg. Egli sosteneva che ognuno ha la possibilità di cercare il proprio benessere nel modo che ritiene più giusto, a patto che non infranga la libertà altrui di perseguire il medesimo fine. In caso di conflitto interviene quella cosa che si chiama diritto, che stabilisce i limiti, cioè le regole alle quali ognuno è chiamato ad adeguarsi.
Ecco perché non riesco proprio a digerire l’incoscienza-consapevole di una parte della politica che ogni giorno si accapiglia su di un concetto che per sua natura dovrebbe essere condiviso da tutti: la mia libertà finisce dove comincia la tua.
Il problema, lo dico da tanto tempo, è che purtroppo la politica ha abbandonato la sua funzione. Quando la politica riesce a litigare solo sulle nomine, ne abbiamo esempio in questi giorni, o promuove se stessa come un prodotto commerciale, ne abbiamo testimonianza tutti i giorni, vuol dire che è arrivata alla frutta. E non lo dico per moralismo. Lo so bene che la politica è fatta anche di quelle cose che la gente giudica “sporche”. Lo dico perché per la politica, nonostante i dolori che mi ha provocato, provo ancora passione e se diventa solo gioco di potere perde di valore e con essa si estinguono le idee. E quando le idee si spengono, si origina una palude dove trovano rifugio i peggiori anfibi e i più viscidi serpenti.