Eventi e Cultura
Saverio Tommasi: “Flotilla come atto di testimonianza. Fanpage è una piccola isola di giornalismo felice”
Venerdì 7 novembre alle ore 21, nella Galleria Furio del Furia, il Foiano Book Festival ospita Saverio Tommasi, uno dei volti più riconoscibili e appassionati del giornalismo italiano contemporaneo. Reporter e autore di Fanpage.it, Tommasi ha contribuito a ridefinire il linguaggio dell’informazione indipendente con reportage e inchieste dal forte valore civile.
L’incontro – promosso da Foiano Book Festival, Officine della Cultura, Premio Giornalistico “Città di Foiano” Sbardellati/Nocciolini, Ordine dei Giornalisti della Toscana e Corecom Toscana – sarà un momento di confronto sui temi della libertà di stampa, della pace e del ruolo del giornalismo d’inchiesta in un’epoca segnata da conflitti e disinformazione.
Nel corso della serata gli sarà conferito il “Giglio d’Oro della Città di Foiano” per la comunicazione e il giornalismo.
Giornalista, scrittore e documentarista, Tommasi è noto per la capacità di dare voce a persone e luoghi dimenticati, unendo rigore e umanità. Dopo gli inizi nel teatro civile, è entrato in Fanpage.it, dove firma inchieste e documentari seguiti da milioni di spettatori.
Nel 2025 ha partecipato alla Sumud Global Flotilla, missione internazionale per portare aiuti umanitari a Gaza, durante la quale è stato intercettato e arrestato dalle forze israeliane. Un’esperienza che ha poi raccontato con lucidità e coraggio, ricordando che “fare il giornalista significa esserci, mettersi in discussione e difendere la verità come bene comune”.
La sua presenza al Foiano Book Festival sarà un’occasione per riflettere sul valore e la fragilità della libertà di stampa nel mondo di oggi.
Ciao Saverio, sei stato recentemente sulla Sumud Global Flotilla, una missione internazionale per rompere il blocco su Gaza, vivendo momenti intensi e difficili. Che cosa significa oggi per un giornalista “esserci di persona”? È ancora indispensabile andare sul posto o si può raccontare anche da lontano?
“Esserci” significa non sottrarsi, non sottrarre parole al racconto. Vuol dire compiere un atto di testimonianza, ma anche usare le parole per portare fuori le storie, quelle che resterebbero chiuse nei cassetti dove troppi preferiscono tenerle sepolte.
Si può raccontare da qualsiasi luogo: non credo che la distanza fisica sia una barriera, né nella migrazione delle persone né nel racconto. Ma credo che vada difesa la possibilità di rompere queste barriere, di provare sempre a superarle. Lo si può fare con un mezzo tecnologico, con delle scarpe impolverate o con una vela al vento. Non è il luogo a certificare la verità di un racconto: è la capacità di superare i confini che ci porta storie più ampie, più autentiche.
Nel tuo modo di raccontare c’è sempre una forte componente umana, empatica, spesso anche di partecipazione diretta. Ti è mai capitato che qualcuno ti dicesse che questo è “attivismo” più che giornalismo? E secondo te, c’è ancora un confine tra raccontare e prendere posizione?
Sì, capita spesso che la parola attivista venga usata come un insulto. In questi anni abbiamo visto tante parole svuotate del loro significato e trasformate in manganelli verbali. È successo con “buono”, diventato “buonista”, come se la bontà fosse una colpa.
Allo stesso modo, anche “attivista” è stata deformata. Io non mi definisco tale, ma considero quella parola bellissima. Mi considero un giornalista curioso dei fatti umani, con un profondo afflato verso i diritti delle persone. Il confine tra raccontare e prendere posizione esiste solo per chi sceglie la comodità, per chi non vuole essere disturbato nelle proprie certezze. Ma in realtà quel confine non può esistere.
Non si può essere neutrali tra l’aggressore e l’aggredito: se scegli la neutralità, stai dalla parte del più forte.
Chi non prende posizione di fronte a un’ingiustizia, di fatto, sostiene l’autorità e il potere che la commettono. La vera richiesta che dobbiamo fare a chi racconta è quella di essere onesto sul proprio punto di vista, non neutrale.
Negli ultimi anni, anche in Italia, si parla sempre più spesso di querele temerarie, pressioni politiche e autocensura nelle redazioni. Tu che lavori in un giornale indipendente come Fanpage.it, come vedi oggi la libertà di stampa nel nostro Paese? E dove si gioca davvero questa libertà: nelle leggi, nei giornali o nel coraggio dei singoli?
Fare giornalismo in Italia è un problema, inutile girarci intorno. Lavorare in una realtà felice come Fanpage.it non significa che non esista un problema di informazione: significa che, nonostante tutto, ci sono ancora piccole isole dove si può esercitare questo mestiere nel suo senso più alto.
I nodi sono molti e intrecciati: ci sono questioni contrattuali — giornalisti sottopagati, spesso retribuiti “a pezzo”, e quindi impossibilitati a fare bene il proprio lavoro — e problemi legati agli editori, cioè a chi detiene il denaro e decide dove investirlo. Molti preferiscono sedersi ai tavoli dei potenti piuttosto che finanziare penne capaci di rovesciarli. Investono nella conservazione dell’esistente, anche quando l’esistente è mostruoso, invece di fornire ai giornalisti gli strumenti per accendere lampadine.
E poi c’è un problema antico: il potere che si autocelebra e pretende che anche gli altri lo celebrino.
Ma il giornalismo dovrebbe essere l’opposto: non il megafono del potere, bensì il suo cane da guardia. Il nostro compito non è confermare gli equilibri, ma metterli in discussione.
Dopo l’esperienza della Flotilla e tanti anni di reportage sul campo, quali storie senti oggi più urgenti da raccontare? E che speranza, se ne hai una, coltivi per il giornalismo e per la libertà di parola in Italia?
Le storie più urgenti sono quelle di chi pensa di non averne una degna di essere raccontata: le storie degli sconfitti, dei fragili, degli inquieti, di chi crede di non valere abbastanza o di non meritare attenzione.
Sono le storie dei diseredati, a cui è stato tolto un passato e viene negato un futuro. Quelle che molti vorrebbero cancellare perché disturbano. Ma proprio quelle sono le storie che ci spingono ad agire, a non restare fermi. Al giornalismo auguro quello che auguro a me stesso: liberarsi da ogni vincolo, trovare il coraggio e la bellezza di non farsi gli affari propri. Perché “fatti i fatti tuoi” è l’ordine più violento e pericoloso per il giornalismo. Io sogno un giornalismo — e una vita — capaci di disturbare i silenzi.
A Foiano ti verrà consegnato il Giglio d’Oro della Città, un riconoscimento condiviso dal Comune, dall’Ordine dei Giornalisti della Toscana e dal Foiano Book Festival. Come ti senti a proposito?
Mi sento grato, prima di tutto. È un riconoscimento meraviglioso, dato da realtà diverse a cui voglio sinceramente bene. Mi sento un po’ come un bambino stupito che si chiede: “Lo stanno davvero dando a me?”. E quando realizzo che sì, è proprio così, rimane la gratitudine.
Perché questo premio non va solo a me, ma anche al giornale e alla redazione di cui faccio parte.
È una carezza, un modo per dire che il lavoro quotidiano viene visto e riconosciuto, ed è anche un modo per non sentirsi soli, per continuare a camminare insieme ad altri.
Ed è proprio questo — camminare insieme — il modo più bello per tracciare una strada più grande.
Foiano della Chiana, venerdì 7 novembre ore 21, Galleria Furio del Furia, Saverio Tommasi ospite del Foiano Book Festival: un dialogo sulla libertà di stampa, la pace e il coraggio di raccontare.







