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lunedì | 04-08-2025

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Giornate Internazionali sugli Etruschi, a settembre è la volta del MAEC

Dialogo euro-mediterraneo: Iberi ed Etruschi sul Mediterraneo Antico“: s’intitola così il ciclo di incontri che Cortona ospiterà il prossimo 6 settembre per la terza e ultima giornata del 2019. Si tratta di un progetto di AION Cultura, la società che gestisce i servizi museali sia presso il MAEC che per il Museo Diocesano di Cortona. Le Giornate Internazionali di Studio vivono della collaborazione tra il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona, il MANN di Napoli, l’Instituto Universitario de Investigación en Arqueología di Jaèn (in Spagna) e l’Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa “Rotta dei Fenici“, di cui AION Cultura è membro.

Dopo la prima sessione spagnola, svoltasi a metà giugno, e in seguito all’incontro fissato per il 4 settembre nel capoluogo campano, sarà la Sala del Biscione del MAEC a fare da set alla conferenza inaugurale dell’iniziativa venerdì 6 settembre. Più tardi è previsto anche un trasferimento al Parco Archeologico per un’analisi sul campo.

Due le direttrici principali dell’evento cortonese, che metterà a confronto Etruschi e Iberi, le civiltà al centro dell’interesse scientifico degli organizzatori. Oltre a permettere agli specialisti del settore di presentare le scoperte più recenti in materia, le Giornate Internazionali sono pensate per riflettere insieme sul potenziale turistico-culturale delle località sedi di musei e aree archeologiche.

Il museo può fungere da volano per promuovere l’economia di un territorio?“, si chiede Eleonora Sandrelli, presidente di AION Cultura. “Si dice che ‘con la cultura non si mangia’. Noi vogliamo cercare di capire se almeno qualche spuntino riusciamo a farlo“.

Bianca: Il tema delle Giornate Internazionali quest’anno sarà “Dal museo al territorio”. Con quali strumenti pensate di trasmettere al grande pubblico il sapere e la passione per la civiltà etrusca?

Eleonora Sandrelli: Uno dei nostri partner è il MANN di Napoli, che ha fatto tantissimo per far sentire la cittadinanza partecipe del museo, soprattutto da quando ci è arrivato il ‘nostro’ Paolo Giulierini (ex direttore del MAEC ndr). Questo approccio ha avuto un successo straordinario, in tanti aspetti e modi. C’è un amplissimo raggio di possibilità con cui un museo può diventare il motore immobile di una località. Accanto a casi ‘alti’ come il MANN esistono anche casi locali – fra cui il MAEC e ciò che sta tentando di fare da ormai 15 anni, cioè lo sforzo di non chiudersi all’interno delle sue mura promuovendo tutta una serie di iniziative. Per esempio, le mostre internazionali in collaborazione con i grandi musei come il British, il Louvre, l’Hermitage. Oppure le attività di didattica con i bambini, o gli archeotrekking, un’apertura verso il turismo lento e i cammini culturali che vantano la nostra montagna e la nostra campagna. Questo settembre sarà l’occasione per scambiarsi buone pratiche e valutare se su territori simili possano essere previsti o allargati progetti già esistenti e iniziative nuove.

Bianca: Quali soggetti considerate più difficili da sensibilizzare? Perché è fondamentale coinvolgerli?

Eleonora Sandrelli: C’è una classe particolarmente ostica da avvicinare, i giovani fra i 18 e i 30 anni. Con i ragazzi più piccoli si lavora molto bene grazie alle scuole e alla collaborazione degli insegnanti, mentre da più grandi se si è interessati ai musei e a ciò che contengono in qualche modo ci si arriva da soli. Invece per i giovani di quell’età l’idea del museo tradizionale è lontanissima. Ma non è vero che manca interesse per il museo tout court, spesso sono il linguaggio o la percezione che si dà all’esterno a non andare bene per alcune categorie di visitatori. E sto parlando delle stesse persone che nell’immediato futuro gestiranno i beni pubblici, tra cui quelli culturali: sarebbe importante che facessero parte di un discorso conosciuto. L’esperienza dimostra che più si ha cognizione chiara e reale del patrimonio culturale di un territorio, più il rapporto fra quel territorio e il suo patrimonio funziona.

Bianca: Perché gli uomini del Duemila non devono dimenticare gli Etruschi?

Eleonora Sandrelli: Innanzitutto credo che sia sempre importante conoscere le proprie radici, sapere da dove si parte per capire dove si può arrivare. In secondo luogo, sono stati gli Etruschi a trasmettere tutta una serie di insegnamenti ai Romani, che poi li hanno spacciati per propri traguardi. Uscendo dall’ambito strettamente archeologico, oggi forse la provocazione principale che ci arriva dal popolo etrusco è la sua capacità innata di vivere in equilibrio con la natura, con forze all’epoca interpretate come spirituali o sacre. Questa civiltà sentiva come una sorta di necessità il collegamento diretto con ciò che la circondava e cercava di non essere invasiva ma, al contrario, ospite. Aveva una conoscenza profonda della parte più materica del mondo, sotterranea, della Madre Natura che partorisce continuamente e si rigenera. Sugli Etruschi abbondano spunti più specifici interessantissimi da approfondire, come il ruolo della figura femminile, che secondo me ancora oggi va spinto e fatto conoscere. La nostra idea non è quella di rivolgerci sempre e soltanto a chi è già appassionato di archeologia, ma provare a stimolare la curiosità di altri, in tutti i modi possibili. Che sia o no una metodologia vincente, procedere per tentativi è l’unica cosa che possiamo fare. Da una parte bisogna seguire le innovazioni tecnologiche, perché i giovani delle nuove generazioni sono nativi digitali, è inutile non volersene rendere conto. Dall’altra, vedo che le attività laboratoriali funzionano sempre. Un rapporto molto diretto col visitatore, che abbiamo imparato dai musei scientifici e che premia. La possibilità di fare con mano, vedere e muoversi nei luoghi del sapere attira.

Foto dal profilo Facebook di Eleonora Sandrelli

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