Strage di Bologna, i giudici: “prove eclatanti del contributo di Licio Gelli e dei servizi segreti”

“All’esito dell’istruttoria, si deve ritenere raggiunta la prova che Paolo Bellini fece parte del commando che eseguì materialmente la strage del 2 agosto 1980, con mansioni esecutive e di raccordo con gli altri concorrenti”. «All’attuazione della Strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo». E’ quanto emerge da alcuni dei passaggi più significativi delle motivazioni di ben 1742 pagine, depositate ieri dalla Corte di Assise di Bologna, della sentenza di primo grado di condanna dell’ex militante di Avanguardia nazionale, Paolo Bellini (con la pena dell’ergastolo) e di Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia, per la strage del 2 agosto 1980, in ipotesi commessa in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti.
Lo spontaneismo armato è solo un’«ipocrisia»: «I gruppi terroristici erano a disposizione di chiunque riuscisse a dare loro una prospettiva politica». La strage di Bologna fu (lo sappiamo) «di natura politica», e «l’ipotesi sui “mandanti” non è un’esigenza di tipo logico-investigativo, ma un punto fermo». In particolare, poi: «Gli elementi di prova ravvisabili a carico di Paolo Bellini si palesano, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, come di gran lunga maggiori e più incisivi rispetto a quelli ravvisati a carico di altri soggetti che sono stati condannati per lo stesso fatto». E soprattutto sul ruolo della P2: «All’attuazione della Strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo».
Sempre a proposito di Gelli i giudici proseguono: “Si può dire, all’esito dell’indagine della Procura generale e del dibattimento, e che l’ipotesi sui mandanti non è un’esigenza di tipo logico-investigativo, ma un punto fermo”. “La strage di Bologna – ragiona la Corte – ha avuto dei mandanti tra i soggetti indicati nel capo d’imputazione, non una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario e talmente corposo da giustificare l’assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage di Bologna”. Secondo i giudici “anche la causale plurima affonda radici nella situazione politico-internazionale del paese e nei rapporti tra estremisti neri e centrali operative della strategia della tensione sui finire degli anni Settanta”. E’ quindi “nella complessa realtà politica di quegli anni che vanno trovate le causali della strage, una causale la cui individuazione va compresa allargando ancora di più il campo di osservazione cui ci si è dovuti necessariamente contenere in questo processo”. E ancora, continua la corte, “anche coloro che si resero verosimilmente mandanti e/o finanziatori della strage, pur senza appartenere in modo diretto a gruppi neofascisti, condividevano i predetti obiettivi antidemocratici di fondo ed ambivano all’instaurazione di uno Stato autoritario, nell’ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l’accesso alla politica delle masse”.