Cronaca
Caso Mazzi, dopo 23 anni la parola fine: lo Stato risarcisce la famiglia del vigile del fuoco morto in servizio
Dopo oltre vent’anni di battaglie giudiziarie, arriva la sentenza definitiva su una delle tragedie sul lavoro che più hanno segnato Arezzo. La Corte di Cassazione ha messo la parola fine al caso di Simone Mazzi, il vigile del fuoco morto in servizio il 28 gennaio 2003, stabilendo che il Ministero dell’Interno dovrà risarcire la madre e il fratello.
La Suprema Corte ha infatti bocciato il ricorso del Ministero, confermando la sentenza civile che riconosce la responsabilità del datore di lavoro per la morte del giovane pompiere aretino, deceduto a soli 29 anni durante un intervento di soccorso a Palazzo del Pero.
L’incidente del 2003 e la lunga vicenda giudiziaria
Simone Mazzi perse la vita mentre tentava di recuperare un ferito da un dirupo: durante le operazioni si spezzò il cavo dell’autogrù dei vigili del fuoco, facendo precipitare il pesante bozzello che lo colpì mortalmente alla testa.
L’automezzo, secondo quanto ricostruito nel procedimento civile, non era stato adeguatamente controllato e manutenuto, risultando privo dei requisiti di sicurezza necessari. Un elemento centrale per i giudici, che hanno ritenuto accertata la responsabilità del Ministero in qualità di datore di lavoro.
Dopo l’assoluzione in sede penale, la vicenda si era spostata sul piano civile. Un percorso lungo e complesso, conclusosi ora con la decisione della terza sezione civile della Cassazione, che ha reso definitiva la condanna al risarcimento.
“Finalmente giustizia è fatta”
A esprimere sollievo è soprattutto la famiglia di Simone Mazzi. Il fratello Luca ha commentato la sentenza con parole cariche di significato: «Finalmente giustizia è fatta», sottolineando come la decisione rappresenti una vittoria non solo personale, ma anche per l’intero Corpo dei vigili del fuoco.
«È una vittoria per noi, ma anche per il Corpo – ha spiegato – perché non accada più che un servitore dello Stato venga mandato a svolgere attività di soccorso con mezzi vetusti e senza adeguate garanzie di sicurezza».
La Cassazione ha inoltre disposto il pagamento delle spese legali in favore della famiglia, chiudendo definitivamente una vicenda che si trascinava da quasi un quarto di secolo.
La responsabilità dello Stato e il tema della sicurezza
Nelle motivazioni emerge un principio chiaro: la tragedia non può essere archiviata come una fatalità. Secondo i giudici, la mancanza di controlli e di manutenzione sull’autogrù è stata determinante nell’evento mortale.
Un passaggio che rafforza il valore della sentenza anche sul piano generale, richiamando l’attenzione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare per chi opera quotidianamente in contesti di emergenza e rischio elevato.
Una ferita che resta, una verità riconosciuta
La sentenza non potrà restituire Simone Mazzi ai suoi affetti, ma per la famiglia rappresenta il riconoscimento di una verità a lungo attesa. Dopo 23 anni, la giustizia civile ha stabilito che lo Stato deve rispondere delle condizioni in cui i propri operatori sono chiamati a lavorare.
Un verdetto che chiude una delle pagine più dolorose della cronaca aretina e che lascia un messaggio forte: la sicurezza non è un optional, soprattutto quando in gioco c’è la vita di chi serve la collettività.




