Arezzo un anno dopo: movida senza limiti e senza mascherina. I controlli?

Gruppi di 10/15 persone che bevono, fumano, chiacchierano senza mascherina o con la mascherina indossata “à la mode”: sotto il mento; ad un metro poco più altre 10/15 in identico atteggiamento (soprattutto giovani ma non solo giovani) ed i controlli? Dove sono i controlli? Avessi trovato un solo vigile urbano attraversando mezzo centro storico (in slalom, come ai bei tempi prepandemici). E dico vigile urbano perché Polizia e Carabinieri credo abbiano da occuparsi prevalentemente di faccende più delicate e poi dovrebbe essere la stessa amministrazione comunale che si vanta di preveggenza d’antan sulle chiusure scolastiche a pretendere, dal corpo che direttamente controlla, un rigoroso presidio degli spazi pubblici. Ormai dovrebbe essere chiaro che nella zucca delle persone il concetto di prudenza funziona solo se riferito agli altri e mai a sé stessi (altrimenti a Bergamo, dove è accaduto quel che sappiamo, non si sarebbero radunati in qualche migliaio fuori dallo stadio in barba ad ogni regola e precauzione) ed allora è necessario che le regole dettate da queste emergenza drammatica non solo dal punto di vista sanitario, ma anche e soprattutto da quello sociale ed economico vengano fatte rispettare a suon di richiami, avvisi e poi, se non resta altro da fare, di multe. E’ semplicemente ipocrita lanciare appelli, fare comunicazioni corrucciate e minacciose se poi non si fa niente per aiutare le persone ad ottemperare alle disposizioni, se i controlli latitano e si lascia che la pur comprensibile esasperazione per un anno escrementizio prenda il sopravvento (eh si, giusto un anno fa, la sera del 7 marzo 2020 venne proclamata la quarantena nazionale) a dispetto dei numeri che salgono maledettamente da ormai due settimane, se si ingenera anche il sospetto maligno che i controlli non si vogliano fare per un malinteso senso di protezione verso le attività economiche, allora poi non ricominciamo da lunedì mattina con i pianti greci e l’indice puntato, perché forse sarebbe il momento di farlo piazzandosi davanti ad uno specchio.