Collettivo Arezzo ad ArtePadova 2021

Un gruppo di artisti aretini sarà protagonista ad ArtePadova 2021, 31° edizione della mostra mercato d’arte moderna e contemporanea che si svolgerà dal 12 al 15 novembre nel Quartiere Fieristico di Padova.
ArtePadova 2021, infatti, non è solo una fiera per artisti affermati ma anche un palcoscenico per autori emergenti, grazie alla sezione Contemporary Art Talent Show.
Uno degli stand presenti, il numero 259 del padiglione 4, vedrà quindi nove artisti del territorio aretino riuniti sotto il nome Collettivo Arezzo curato da Danilo Sensi e patrocinato da Comune di Arezzo e Provincia di Arezzo.
Abigaille, Antonella Cedro, Tetsuji Endo, Maura Giussani, Misa Moss, Zenone, Fabrizio Cioci, Fabio Galeotti e Laura Serafini sono i nove protagonisti dai linguaggi eterogenei che tra pittura, scultura, videoinstallazione e performance porteranno il nome di Arezzo in una delle fiere italiane di riferimento.
Domenica 14 novembre, alle ore 15, un evento collaterale voluto dal gruppo aretino vedrà l’artista Andreina Giorgia Carpenito parlare del suo Mosaico di Indicatore, progetto mastodontico che da anni unisce arte e sociale.
“Collettivo Arezzo è la realizzazione di un sogno che inseguivo da tempo – racconta il curatore Danilo Sensi, – un progetto innovativo e ambizioso, pensato nei tanti mesi di forzato isolamento e costruito per riunire nove fra i più interessanti artisti della nostra provincia. Ho sempre pensato che singolarmente si può realizzare ben poco, ma con l’unione si possono raggiungere importanti obiettivi e stabilire contatti, creare progetti, aprire un dibattito che può solo giovare al percorso personale di ogni artista”.
Partendo dalla frase “Nessun uomo è un’isola” del poeta inglese John Donne, gli artisti aretini si sono uniti per questa esperienza che vuole superare il lungo periodo di stasi dovuto al lockdown e mettere a frutto le riflessioni scaturite da mesi di incertezze, che hanno tuttavia generato idee, occasioni di confronto e nuovi stimoli.
Collettivo Arezzo è un esperimento di riavvicinamento, di coesione artistica e sociale, un excursus culturale che copre mezzo secolo di storia della nostra città, in cui il maestro riconosciuto dialoga con il giovane artista, in cui i diversi stili e i differenti approcci si legano sotto un comune, ma non unico, filo conduttore. È l’orgoglio di lavorare ad Arezzo, dimostrando che non è una piccola città di provincia emarginata culturalmente, ma che è attraversata da un fervore creativo costante.
Da molto tempo – spiega ancora Sensi – scrivo di una città ricca di esperienze culturali, di artisti importanti che hanno attraversato il Novecento con forza e caparbietà, di giovani che traggono ispirazione dal recente passato di Arezzo, fatto di luoghi, di incontri e di importanti presenze, di una Camelot dimenticata, perché il bagliore industriale ha accecato i nostri occhi. Collettivo Arezzo recupera e amplifica, rielabora e innova, costruisce un percorso fatto di materiali di riciclo, di storia, di contatti con la natura, di citazioni e impegno, di sacrifici e talento.
Nove artisti, nove vite, nove diverse tecniche, nove esperienze che ad ArtePadova 2021 si uniscono in un progetto comune e intraprendono un percorso non facile ma importante di condivisione.
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COLLETTIVO AREZZO 2021
“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto…”
John Donne
Collettivo Arezzo è la realizzazione di un sogno che inseguivo da tempo, un progetto innovativo e ambizioso, pensato nei tanti mesi di forzato isolamento e costruito per riunire nove fra i più interessanti artisti della nostra provincia.
Ho sempre pensato che singolarmente si può realizzare ben poco, ma unendole forze si possono raggiungere importanti obiettivi e si possono stabilire contatti, creare progetti, aprire un dibattito che può solo giovare al percorso personale di ogni artista.
Nessun uomo è un’isola, scrive John Donne, e nessun artista può pensare di non essere parte di un insieme, di muoversi da solo e di non ricevere influenze, anche indirette, dalla società che lo circonda.
“Incertezza” è il termine più utilizzato e forse appropriato per il periodo storico che stiamo attraversando. Ci siamo improvvisamente scoperti fragili, deboli, soli, vulnerabili, in balia di eventi che non possiamo controllare e di situazioni che non avremmo mai immaginato, rinchiusi in uno spazio che avevamo costruito ma mai vissuto veramente, poiché spinti a correre in ogni direzione, a vivere intensamente, a cercare di emergere in un mondo fatto di semplice apparenza e privo di reale sostanza.
La riflessione, scaturita da un periodo di incertezza può non essere un male, può generare idee, occasioni, nuovi approcci alla vita e nuovi stimoli.
Collettivo quindi, non è solo una mostra o una pubblicazione, è un esperimento di riavvicinamento, di coesione artistica e sociale, un excursus culturale che copre 50 anni di storia della nostra città, che si muove fra pittura, scultura, video e performance, in cui il maestro riconosciuto dialoga con il giovane artista, in cui i diversi stili e i differenti approcci si legano sotto un comune, ma non unico, filo conduttore; l’orgoglio di lavorare ad Arezzo, dimostrando che non è la piccola città di provincia emarginata culturalmente, ma che è attraversata da un fervore creativo costante.
Da molto tempo scrivo di una città ricca di esperienze culturali, di artisti importanti che hanno attraversato il 900″ con indicibile forza e con tenacie caparbietà, di giovani che traggono ispirazione (volenti o nolenti) dal recente passato di Arezzo, fatto di luoghi, di incontri e di importanti presenze, di una Camelot dimenticata perché il bagliore industriale ha accecato i nostri occhi.
Collettivo recupera ed amplifica, rielabora ed innova, costruisce un percorso fatto di materiali di recupero, di storia, di contatti con la natura, di citazioni e di impegno, di sacrifici e di talento.
Nove artisti, nove vite, nove diverse tecniche, nove esperienze che si uniscono in un progetto comune, che dialogano fra loro, che si intersecano in un percorso non facile ma estremamente importante di condivisione, nove tessere di aurea materia che danno vita a uno splendido mosaico.
Danilo Sensi
LAURA SERAFINI
“Siamo il risultato di una strana alchimia tra origine e cammino, luogo e tempo”
Laura Serafini, nata a Subbiano (AR) nel 1965, vive ed opera ad Arezzo.
Come supporto privilegiato delle sue opere, sceglie vecchie mappe, autentiche cartine realizzate dall’uomo come studio del territorio.
Nella relazione tra gli elementi dello spazio concettualizzato l’artista scova e manifesta i segreti dell’identità umana, un dialogo tra i confini del corpo e quelli che naturalmente e artificialmente il suolo compone. Attraverso un disegno puro e monocromatico, fatto di linee, curve, dettagli, ombre e spazi vuoti, la rielaborazione delle carte tecniche in senso antropologico diventa il modo di rendere quegli oggetti fondati su astrazioni, rappresentazioni visive della nostra identità.
Corpi e volti sorgono lievi dal tracciato, liberi di interagire con il supporto: china, carboncino, acquerelli e olio, permettono ai livelli di sovrapporsi e confondersi, in un gioco di linee, segni e immagini. Una tendenza istintiva a (ri)trovare nel tracciato tecnico corpi e forme familiari, in un continuo dialogo tra la predeterminazione di ciò che siamo e il libero arbitrio di diventare ciò che vogliamo. Nascono così racconti che parlano di identità e ricerca di una piccola particella di spazio a cui appartenere.
in esposizione permanente presso: Sensi Arte – Contemporary Art Gallery – Colle di Val d’Elsa (SI)
www.lauras.it
Instagram:www.instagram.com/lauraserafiniart
MISA MOSS
Si laurea presso la Facoltà di Architettura di Firenze e lavora come designer e progettista free lance alternando attività di grafica e allestimento. Nel 2003 è tra i vincitori del concorso Nuovi Segni del Sole 24 Ore con il progetto Recycle-net, arte nello spazio pubblico, esposto all’Artandgallery di Milano e alla Fondazione Pistoletto di Biella.
A Milano dal 2003 al 2018 collabora con gli studi di Stefano Boeri, Barreca & La Varra, Politecnico di Milano e Alessandro Scandurra.
Come Tomake studiolab, svolge attività di ricerca e sviluppo di progetti d’arte, design e up cycling; per il progetto Dencity cura i workshop e la realizzazione dell’installazione ambientale Risaie Survival Signal Mirror, Parco sud Milano, 2013 e Mapping Parco Sud, esposte presso The Flat – Galleria Massimo Carasi a Milano nel 2014, evento Urban Agriculture Survival Kit.
Seguono, Design Pret a Porter Triennale di Milano 2013, Siedo/Desio Parco Villa Tittoni 2014 e installazioni realizzate durante il Fuori Salone/Milano Design Week: Calling Objects 2012, One Off Room 2013, CC Design Resistente, Archivio Giovanni Sacchi, Sesto San Giovanni 2015. Nel 2013/2014 collabora con Carrozzeria Margot casa di produzione di arte contemporanea per il progetto Dream Time, producer Max Colnaghi & CM. Dal 2015 al 2019 è docente di Metodologia della progettazione presso ACME Academy of Fine Arts and Media a Milano.
A giugno e luglio 2019, presso Camere civico 15 ad Arezzo presenta i lavori Carpet Combine e Code/Trip/Nomadism. A dicembre 2019/gennaio 2020 presso lo spazio non convenzionale di Vieri Dischi ad Arezzo presenta la personale/informale Flags/Araxi Misa Moss.
Instagram: www.instagram.com/misa_moss
ABIGAILLE
Grazia Rossi Forbicioni – Abigaille, nasce ad Arezzo e frequenta la scuola pubblica superiore di Disegno e Storia dell’Arte, indirizzo di scultura e ceramica, sotto la guida di Dario Tenti.
Si forma poi all’Accademia della Moda di Roma e frequenta successivamente un corso di ceramica.
Entra molto presto nel mondo della moda, e collabora negli anni con primarie aziende del settore.
Nel 1986, fonda un proprio marchio “Abigaille”, realizzando abiti per donna.
Dopo avere lasciato la professione da stilista, si è dedicata alla passione artistica, scoprendo la carta pesta, materiale che permette una straordinaria sintesi tra pittura e scultura.
Nel Marzo 2019 vince il concorso artistico “Omaggio al Premio Arezzo 1959-2019”.
Recenti Esposizioni;
Omaggio al Premio Arezzo – 15/31 Marzo 2019, Circolo Artistico, Palazzo Guazzesi, Arezzo.
Anteprima – I vincitori del Premio Arezzo 2019 – 23 Maggio 2020 in corso, mostra online, www.onalifranco.it
Incognito – 09/31 Gennaio 2021, Galleria Ambigua , Arezzo.
Premio Combat Prize 2021 – 30 Aprile 2021 in corso, selezioni online, www.premiocombat.it
Abigaille – Solo Show – 02/15 Settembre 2021, Circolo Artistico, Palazzo Guazzesi,
Arezzo.
www.abigaille.com
MAURA GIUSSANI
Maura Giussani nasce a Milano nel 1952 e si diploma presso il Liceo Artistico “Beato Angelico” della sua città natale. Si trasferisce ad Arezzo nel 1977.
Ha frequentato un corso del maestro A. Marrone, dal quale ha appreso le tecniche pittoriche che l’hanno stimolata, in seguito, a sperimentare soggetti e stili differenti.
Nel biennio 2013/2014 ha seguito un corso di disegno e nudo dal vivo e un corso di ritratto dal vivo.
I suoi soggetti preferiti sono, comunque, lo studio delle luci e dei riflessi in tutte le loro manifestazioni.
Ha partecipato a numerose collettive e personali in siti artistico – culturali di importanza nazionale e negli ultimi anni anche in sedi all’estero (Francia, Svezia, Austria, Svizzera, New-York e Dubai) riscuotendo grandi consensi da parte di critici e collezionisti.
Le opere di Maura Giussani si caratterizzano per una tecnica davvero sublime. L’artista ci dimostra di conoscere molto bene sia la prospettiva che il bilanciamento cromatico. A livello puramente segnico, le linee vengono tracciate seguendo precisi canoni tecnici. Il risultato è una composizione iperrealista, destinata per la sua grande qualità, a diventare un’opera museale.
www.mauragiussani.it
EMILIO “ZENONE” GIUNCHI
Emilio Giunchi, pittore naif molto conosciuto in Italia e all’estero, è conosciuto in arte come Zenone. L’artista spiega il motivo di tale appellativo: ” In arte ho scelto questo appellativo perché mi lega a un ricordo importante, difatti Zenone è il Santo celebrato il giorno in cui eseguii il mio primo dipinto”.
Nato ad Arezzo nel 1936, si è sempre dedicato alla cultura e all’arte. Cominciò a dipingere negli anni ’60 e nel decennio successivo cominciò ad esporre i suoi quadri.
Emilio Giunchi appartiene dunque al gruppo di artisti italiani “naif”, molto apprezzati in Europa per il loro candido stile, naturale e primitivo, anche se personalissima, ironica e raffinata è la sua interpretazione.
Egli si è inserito presto nella folta schiera dei “naïf” italiani con una pittura pulita che mostra un idillio naturalistico, una semplificazione degli elementi architettonici sia rurali che cittadini, una festosità dei colori, un gusto primitivo del racconto della vita e della gente con dei risultati molto alti e convincenti.
Utilizzando il paesaggio toscano come punto di partenza, i dipinti di Zenone sanno catturare i dettagli della vita quotidiana nei borghi italiani.
https://it.linkedin.com/in/zenone-emilio-giunchi
FABRIZIO CIOCI -BARBARITANA
Visitando i borghi più antichi delle vallate appenniniche, può capitare di vedere volti scolpiti nella pietra in una facciata o in un angolo di una casa.
Alcuni hanno espressioni neutre, altri sembrano sbeffeggiare e schernire i loro ammiratori, più spesso sono figure con sguardi minacciosi.
La loro origine sembra derivare da una antica usanza delle popolazioni liguri o, forse, celtiche.
Alcuni attribuiscono la loro diffusione alla cultura dei Longobardi: pare fosse una loro pratica porre come monito, all’ entrata delle abitazioni o ai confini delle proprietà, le teste recise dei nemici o di animali predatori, intimando così ai malintenzionati di non andare oltre. Nel tempo le teste dei nemici furono sostituite da raffigurazioni simboliche, generalmente di fattura molto rozza, primitiva, eseguita da mani popolari, solo raramente si riscontra la mano di scalpellini esperti.
Ai miei occhi però, restituiscono una forte espressività, a volte commovente.
La zona in cui vivo fu terra di frontiera, territorio conteso tra i Bizantini, insediati nella Val Tiberina ed i Longobardi che qui posero un forte avamposto per poi dilagare in un’invasione di tutto il territorio appenninico fino alla Calabria.
E furono, sembra, proprio i Bizantini a chiamare con disprezzo questa parte del basso Casentino “Terra Barbaritana”.
Un forte legame con un territorio e la sua storia caratterizza la mia ricerca ed i miei lavori, da qui l’idea del nome.
L’aggettivo “barbaro” è frequente, come è frequente sentir parlare di “nuovi barbari”. È attuale, è contemporaneo. Ma non è tutto. Certi strumenti di lavoro della cultura contadina, oggetti dal valore insignificante, parlano di un passato, di un vissuto, della necessità di risolvere la fatica con l’ingegno. Tali strumenti, che hanno avuto più vite e si sono adattati a più usi nel tempo, mi stimolano a cercare oggi altri modi di utilizzo per non abbandonarli all’oblio.
Con lo sguardo nella materia cristallizzata cerco di restituire loro un sentimento, un’emozione. Li accosto, li unisco alla pietra, elemento simbolico di immutabilità e durevolezza e scolpisco su di essa pochi segni che richiamano l’umano.
Gli antichi Greci con il termine “barbaro” indicavano colui che balbetta, che non parlava correttamente la loro lingua. Allora scolpire, cercare lo sguardo. Nessuna parola, cercare l’umano. Mi appaiono davanti agli occhi altri occhi, altri sguardi, stupiti, attoniti. Abbiamo di fronte un enigma, oggi come sempre.
Fabrizio Cioci vive e lavora a Subbiano, Arezzo
Instagram: www.instagram.com/fabrizio_barbaritana
TETSUJI ENDO
Tetsuji Endo nasce a Chiba, Giappone il 21 settembre 1977.
Si laurea nel 2002 presso la prestigiosa Università di arte Musashino bijutsu Daigaku di Tokyo con specializzazione nella pittura ad olio.
Nello stesso periodo ha eseguito opere di scultura e decorazioni murali e di interni.
Dal 1999 al 2002 ha eseguito allestimenti di mostre presso gallerie d’arte giapponesi ed effettuato promozioni delle stesse.
Dal 2002 al 2005 lavora come pittore scenografo presso i teatri Shinbashi e teatro nazionale giapponese di Tokyo, spinto dal desiderio di conoscere più profondamente la cultura giapponese.
Nel 2006 al fine di studiare in maniera più approfondita l’arte e la cultura italiana, decide di trasferirsi in Italia, paese estremamente ricco di opere d’ arte che da sempre esercitano in lui grande fascino ed ispirazione.
In Italia lavora come decoratore di interni e realizza opere di pittura per clienti privati.
Dal 2007 decide di trasferirsi definitivamente in Italia dove negli anni partecipa a mostre personali e collettive in varie città e partecipa anche a diversi concorsi di pittura vincendo il 1° premio in alcuni di questi.
Il pensiero artistico di Tetsuji Endo:
“Per me l’arte, particolarmente la pittura è sacra, l’ispirazione che si leva dal più profondo del mio spirito si materializza e questo è l’unico modo di esprimere me stesso e la mia anima”.
www.tetsujiendo.com
ANTONELLA CEDRO
Antonella fin da piccola ama il disegno e la pittura. Si ingegna in ogni modo per esprimere questo innato senso artistico, fino a che comincia a conoscere la storia dell’arte e ad amare i grandi maestri che hanno contraddistinto la pittura del 900″, Paul Klee, Mirò, Kandinski, Picasso, Schiele, Klimt, Modigliani. Ma soprattutto, la sua indole e la sua capacità di sentire la realtà la avvicina alla pittura tribale, all’espressione diretta dei propri sentimenti e dei propri stati d’animo attraverso materiali e forme elementari, quelli a portata di mano, che siano disponibili quando si vuole fermare l’attimo sulla tela.
Antonella si serve di materiali di ogni genere, dalla tela pregiata al canovaccio, dalla plastica al vetro e al legno, spesso utilizza materiali di riciclo. Il disegno è lineare e semplice ma ha un tratteggio deciso, le forme non sono mai spigolose, piuttosto morbide ed arrotondate. Le figure, soprattutto primi piani, sono spesso solo delineate, e quasi mai i volti o gli oggetti riportano dettagli, lasciando libero campo alle idee e alla fantasia di chi guarda, perché l’arte non imponga i propri concetti, ma serva da stimolo per indurre alla riflessione interiore.
La ricercata primitività delle linee si accompagna alla vivacità dei colori, per lo più ad acrilico, a volte usati con precisione, a volte spruzzati con rabbia, a tratti cupi, a tratti brillanti e luminosi, per dare enfasi alla voce dell’anima e del cuore, che in quell’istante si esprimono attraverso il pennello.
Alcuni vedono nella pittura di Antonella forme aliene, altri influssi metafisici o filosofici. In realtà, non si può parlare di fasi o di interpretazioni precise. I lavori evocano una realtà interiore che cambia ogni volta, a seconda della situazione, e coinvolgono lo spettatore direttamente, senza fronzoli formali o metafore, catapultandolo nella mente e nell’anima della pittrice, mostrandogli la realtà, vista con i suoi occhi attraverso le forme sensoriali dell’arte. Si guardano sfilare come davanti allo specchio il sogno, la rabbia, la passione, la tenerezza, l’abbandono, l’amore, l’illusione, la visione, il disincanto, l’ironia, davanti all’infinito
palcoscenico della vita e nel rispetto delle altrettanto infinite manifestazioni di essa. Ma quello che colpisce a prima vista l’occhio ed il cuore è l’estrema semplicità formale, accompagnata dall’esplosione di colori, che ricorda le rappresentazioni tipiche delle tribù africane. L’occhio si ferma, catturato dalle linee, e la mente è portata a riflettere, a vedere oltre il semplice segno, a riconoscere la maestria che soggiace alla tecnica, oltre ad onorare la grande sensibilità personale dell’artista.
https://antonella-cedro.jimdosite.com
FABIO GALEOTTI
Fabio Galeotti nato nel 1968, vive e lavora a Città di Castello ma ha un rapporto particolare con la città di Arezzo.
Lighting designer e artista video, dopo aver frequentato un corso di illuminotecnica ed un master in discipline progettuali e produzione della luce nella dimensione teatrale, dal 1999 inizia a progettare disegni luce per spettacoli teatrali di prosa e danza.
L’esperienza acquisita da Fabio Galeotti l’ha portato ad essere docente in seminari di studio e
workshop promuovendo e diffondendo la “cultura della luce” nel mondo dell’arte e dello spettacolo.
Dal 2008 affianca all’ attività di lighting designer proprie installazioni artistiche luminose e di video arte.
Fabio riproduce con una precisione maniacale immagini in movimento ispirandosi a quadri della
storia dell’arte e ci suggerisce che la luce è un linguaggio che può essere codificato e può aiutare lo spettatore nella visione dell’opera.
Attualmente è responsabile del Teatro San Fedele di Montone (PG).