L'inno nazionale non sarà bello ma è il mio inno

. Inserito in #madecheseragiona

No amici miei non mi convince l’esternazione del prof. Montanari contro l’inno nazionale. Può essere che l’inno di Mameli sia retorico, militarista e richiami in maniera ridondante l’etica del sacrificio e allora?

Quando è stato scritto tutto queste cose formavano il DNA di chi fatto l’Italia unita. Andate a leggervi scrittori e poeti dell’epoca e ne avrete la prova. Che poi questa unione sia venuta bene è tutto un altro discorso. Tuttavia lasciatemelo dire: decontestualizzare è sbagliato. È l’errore che ritroviamo nella “cancel culture” che negli Stati Uniti fa abbattere le statue di Colombo e che in Italia (molto più provincialmente) se la prende con la statua di Montanelli. Un approccio che la dice lunga sui danni provocati dall’ignoranza della storia. La storia va spiegata non abbattuta. Se poi uno vuol fare per forza il provocatore si accomodi ma per favore lasciamo in pace l’inno nazionale. Anche perché, a ben guardare, in quanto a retorica e violenza verbale, non è peggio di altri. Leggete le parole della Marsigliese, riconosciuto come uno degli inni più emozionati:

“Ruggisci questi feroci (soldati) soldati
Taglia la gola ai tuoi figli e ai tuoi compagni
Per (armare i cittadini) armare i cittadini, formate i vostri battaglioni
Camminiamo, sì camminiamo
Possa il sangue impuro irrigare i nostri solchi, solchi”.
Se applicassimo i parametri del politicamente corretto questo inno andrebbe cassato perché violento e minaccioso.
E che dire di quello degli Stati Uniti che in una strofa recita:
“E dov’è mai quella banda, che giurò, nella sua vanagloria,
che la rovina della guerra e il caos della battaglia
non ci avrebbero mai più permesso di avere una casa e un paese?
Il loro sangue ha cancellato anche il puzzo dei loro sporchi passi”.

L’elenco di inni incriminabili potrebbe continuare con continui richiami al sangue, alla violenza e in taluni casi perfino alla sopraffazione. Tutto questo perché gli inni nazionali sono spesso figli di guerre e di rivoluzioni e come diceva qualcuno “la rivoluzione non è un pranzo di gala”. Tornando però al nostro inno esso non sarà perfetto però non dimentichiamo che il suo autore Goffredo Mameli morì di cancrena a 22 anni per le ferite riportate in difesa della Repubblica Romana. Questo per dire, al di là di ogni retorica, che c’è chi predica al calduccio e chi mette in gioco la vita per le sue idee. Una cosa che meriterebbe un po’ più di rispetto. Quindi lasciamo stare l’Inno e pensiamo a cose più importanti, tipo quella che dopo più di 150 anni ancora l’Italia non è per niente unita, anzi c’è chi pensa di aumentare il divario tra regione e regione, tra chi ha di più e chi ha di meno alla faccia di Mameli, Garibaldi e di tutti i martiri del Risorgimento. E con questo vi saluto.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.