È il Giorno del ricordo, non un derby

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Il 10 febbraio, Giorno del ricordo, no, non si gioca un derby sui morti: ogni volta che si parla delle Foibe c’è sempre qualcuno che ricorda l’Olocausto e quando si parla del genocidio del popolo ebreo c’è sempre qualcuno che rammenta la tragedia degli italiani in Istria e Dalmazia.

Fateci caso, per un periodo assai lungo, parlare delle foibe non «serviva» alla lotta politica e dunque quasi tutti tacevano. Da qualche anno quei poveri morti sono invece diventati strumenti di una lotta politica che non ha nulla a che vedere con lo svolgersi di quel dramma, nulla a che vedere con quei crimini e con quegli anni di ferro e fuoco. Usare oggi le foibe contro la sinistra italiana è indegno, così come è indegno utilizzare le leggi razziali fasciste contro Giorgia Meloni. Strumentalizzare i morti è blasfemo e mai, in nessun caso vanno dissepolti per manipolarli. Il ricordo impone silenzio e riflessione. Magari può essere l’occasione per riprendere in mano qualche libro, una cosa fuori moda ma che ogni tanto serve per capire come gira il mondo.
Provate a leggere “Verde Acqua” di Marisa Madieri e vi accorgerete di come le trame della storia siano intricate. Il cognome della famiglia dell’autrice fu prima Madjarić, poi Madierich, e, infine, quando arrivò a lei, Madieri. Questo per dire che i piani nelle terre di confine si confondono. Tanto che un anziano fiumano riassunse la questione con queste parole: «sono nato in Austria, sono cresciuto in Italia, ho lavorato in Iugoslavia, sono invecchiato in Croazia: eppure non mi sono mai mosso da questa città».
Leggetevi la graphic novel “Palacinche: storia di un'esule fiumana” di Alessandro Tota e Caterina Sansone
e ritroverete l’attualità dei pregiudizi che accompagnarono quegli italiani in fuga. «Arrivano a rubare il pane» diceva qualcuno, sono «fascisti in fuga dalla vendetta popolare» urlava qualcun altro. Scoprite la loro amara percezione di essere stranieri in patria: un istriano in Palacinche viene chiamato dai napoletani «’o francese».
Leggete “Bora. Istria, il vento dell'esilio” di Anna Maria Mori e Nelida Milani, un libro che termina con la guerra che ha devastato la Iugoslavia negli anni Novanta, quasi a ricordarci cosa significa seminare l’odio in territori multietnici. Leggete di come i parenti della Milani rimasti in Croazia siano diventati Milanović, leggete di Pola una città che in pochissimo tempo perse il 90% dei propri abitanti.
Ma leggetevi anche Fulvio Tomizza, che ha raccontato non solo l’esodo degli italiani d’Istria, ma anche la vita delle comunità di etnia slava in tempo fascista.
Tutto questo per dire che la storia non è mai a senso unico, somiglia a un quadro di Pollock. Sta a noi capire come riordinare colori e sfumature. È un processo faticoso lo so, e allora per i pigri di mente è assai meglio trasferire storia e politica nella curva sud e urlare forte, così che alla fine nessuno ci capisce niente.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.