Fino a quando abuserete della nostra pazienza?

. Inserito in #madecheseragiona

Guardando a mente fredda i risultati elettorali verrebbe da dire: "Se Atene piange Sparta non ride". Eppure che c’è chi ha vinto e c’è chi ha perso. Però, mentre è sicuro chi ha perso, non è detto che chi ha vinto, abbia vinto.

Prendiamo la Lega. Ha dimezzato i suoi voti rispetto al 2018 ( -8,5) e dalle urne esce frustrato il tentativo di trasformarsi in un partito nazionale. Non è un caso che il “vento del nord” siano tornato a soffiare. La Lega rischia di uscire da queste elezioni senza una prospettiva politica che non sia l’autonomia regionale, flat tax e pensioni sono una chimera, come ha segnalato anche Confindustria. In quanto all’autonomia si tratta di conciliarla con la situazione economica e soprattutto con un partito come FdI più vocato al centralismo romano che non alla autogestione padana. Vedremo
Forza Italia. Pur avendo retto meglio della Lega sul piano delle percentuali tuttavia, rispetto al 2018 perde quasi il 40% dei consensi (-5,7%). Con la scelta di appiattirsi a destra si è tagliata le ali. Aver dato un calcio nei denti al terzo polo alla lunga rischia di essere un errore. Tuttavia la partita centrista non è chiusa, molto dipende dalle risposte alla crisi. Vedremo
Per quanto riguarda il PD un miserrimo +0,3% rispetto al 2018 è come un brodino caldo. Fratelli d’Italia sovrasta i Democratici di quasi 7 punti. Un abisso in cui sprofondano le velleità maggioritarie e i sogni di gloria di una classe dirigente adusa al potere ma non all’opposizione e men che meno alla lotta. Ma il dramma non è perdere: in politica si vince e si perde. Quello che a me appare spaventosamente incredibile nella sua dolente evidenza, è lo sperpero del patrimonio politico e umano di cui si è reso colpevole il centrosinistra negli ultimi vent’anni. Uno scialo non solo di voti ma di competenze, passioni, speranze e illusioni.
Sarà un caso ma Dante pone i dissipatori ed i suicidi nello stesso girone del settimo cerchio. Talché lo sperpero è una forma di suicidio ritardato e troppe scelte nel PD portano il marchio dell’autolesionismo.
A cominciare dal non voler tener conto di una legge elettorale che non dà scampo ai navigatori solitari. Qualcuno potrebbe pensare che si si sia trattato di insipienza o presunzione.
Peggio, c’è l’amara constatazione che chi “vive di politica” e troppi ve ne sono a certi livelli, “non può permettersi avventure”. Sarà un caso ma i sedili in prima classe erano stati assegnati ben prima che il viaggio partisse.
Altro che corrazzata Potëmkin di sovietica memoria, qui corrazzati e blindati erano i posti nei collegi.
Io rispetto i militanti del PD, perché sono miti e pazienti e hanno sopportato, senza fiatare, che le decisioni sulle liste, in barba agli statuti, passassero sopra le loro teste. Sono così tolleranti e pacati da aver accettato che la politica delle alleanze fosse decisa non nelle sezioni, come sarebbe naturale, ma in conciliaboli ristretti.
Io ammiro questa gente che crede alla buona politica e in nome della politica assolve una classe dirigente che ha congelato il cuore pulsante della sinistra e oggi nella disgrazia insiste a buffoneggiare, esibendo candidature improbabili alla segreteria, intramezzandole a goffi giri di valzer tra socialdemocrazia, ambientalismo e liberaldemocrazia.
Gli iscritti del PD pur avendo capito tutto, perché fessi non sono, perdonano tutto. Perdonano anche i perditempo che s’attardano in discussioni nominalistiche pur sapendo che non serve cambiare il contenitore se non si cambia il contenuto.
-Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? - Diceva Cicerone. Fino a quando abuserete della nostra pazienza? Questo è il nodo da sciogliere e non basterà un congresso.

Tags: Elezioni elezioni politiche

Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.