La storia di Genoveffa

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Vi voglio raccontare una storia. C’era una volta una bambina, si chiamava Genoveffa. Mi scusino le Genoveffe di tutto il mondo ma bisogna riconoscere che il nome non suona bene. Suona così male che a scuola gli altri bambini la prendevano in giro. Tanto più che in quel periodo era uscito il cartone animato di Cenerentola e una delle sorellastre cattive si chiamava, guarda caso, Genoveffa.

Così, da un giorno all’altro, la maestra per appianare la situazione, stabilì che la piccola non sarebbe stata più Genoveffa ma Geneviève. Da quel momento la bambina, grazie a all’appellativo parigino, diventò la beniamina di tutti. Il padre, quando seppe la cosa si infuriò e rivolto alla piccola disse “era il nome della nonna, perché te ne devi vergognare?”. Genoveffa rimase interdetta, poi una amichetta la chiamò, “Geneviève, vieni con noi”. Lei sorrise e corse a giocare. Il babbo si strinse nelle spalle e da allora anche lui chiamò la figlia Geneviève. Tutti vissero felici e contenti.

Non so se la storia sia vera, chi me l’ha riportata giura che è andata così e siccome ho la testa deformata dal “mal della politica” l’aneddoto mi ha richiamato alla mente il caso della destra italiana. Si proprio lei, quella destra che appare destinata a diventare l’azionista di maggioranza nel governo del dopo 25 settembre. Una destra i cui esponenti oggi si definiscono conservatori. Definizione impegnativa, giacché è complicato dirsi conservatori in un Paese che non ha mai avuto una tradizione ideologica di questo tipo. Ma la riflessione è un’altra.

La destra italiana, tranne rarissimi casi, non è mai stata conservatrice. La destra italiana ha ben poco da spartire, per esempio, con i conservatori inglesi, i quali aborrono ogni forma di statalismo e schifano come la peste i poveri. La destra italiana nella sua accezione più genuina è una destra sociale, legata a temi che farebbero rabbrividire buona parte del mondo conservatore europeo. È una destra popolare più che una destra da caccia alla volpe. Allora mi domando, si tratta davvero dell’abbozzo di un cambiamento politico-strategico, oppure riandiamo alla storia di Genoveffa che cambia nome per essere accettata nel gioco?

Qualcuno potrebbe dirmi pensa agli affari tuoi. Potrei farlo ma mi interessa capire perché, sempre più spesso, si prova imbarazzo, e non vale solo per la destra, a mostrare quel che si è davvero. Eppure è questo quello che vuol sapere la gente da chi pretende di rappresentarla: chi siamo e cosa vogliamo, senza giochetti, senza paure, senza ritocchi da Photoshop.

Tags: Genoveffa destra sociale

Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.