Il calvario di Angela: licenziamento illegittimo e discriminatorio dopo una lunga battaglia legale

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Angela Acconci ha vinto una lunga battaglia legale contro Unicoop Firenze: dipendente del supermercato di Montevarchi, sindacalista, difesa dagli avvocati Ceccherini e De Pinto, si è vista riconoscere le sue ragioni dopo una lunga battaglia legale

"Ho ricoperto il ruolo di sindacalista per 25 anni all’interno della Rsu di Unicoop.Fi nonché in ruoli apicali nella veste di dirigente nazionale Filcams CGIL, in virtù dei quali ho potuto partecipare alle trattative volte alla redazione dei contratti nazionali di categoria. Nel 2016 sono entrata a far parte del sindacato di base Usb poiché non mi riconoscevo più nella politica sindacale portata avanti dalla CGIL la quale, a mio avviso, era non solo troppo accondiscendente nei confronti di Unicoop.Fi ma anche distante dal curare in maniera effettiva gli interessi dei lavoratori. Da quando stata eletta nel sindacato di base Usb  è iniziato il mio calvario", racconta Angela Acconci.

Angela, più precisamente?

"Ho iniziato a subire innumerevoli e pesanti vessazioni sul luogo di lavoro quali, a titolo di esempio: sono stata sottoposta a continui cambi delle mie mansioni; sono stata sfrattata dal mio ufficio senza ricevere alcuna preventiva comunicazione in merito ma soprattutto rinvenendo, improvvisamente, tutti i miei fascicoli all’interno di un carrello della spesa; sono stata collocata in uno spazio angusto, nel quale solitamente avvengono i cambi moneta. Inoltre, ho subito numerosi attacchi pubblici dai rappresentanti CGIL interni all’azienda, tanto che un loro dirigente è riuscito a far sì che Unicoop.Fi irrogasse un provvedimento disciplinare nei miei confronti; provvedimento, questo, fondato dall’azienda non solo su un’istruttoria interna sommaria ed irregolare ma anche su una ricostruzione dei fatti totalmente falsa. L’infondatezza di tale provvedimento, infatti, è stata riconosciute dal Tribunale di Firenze, il quale ha annullato detta sanzione con sentenza del 2 febbraio 2021".

Con conseguenze anche psicologiche

"Le continue vessazioni – se non addirittura vere e proprie persecuzioni – perpetrate nei miei confronti da Unicoop.Fi hanno inevitabilmente provocato in me uno stato di forte angoscia e prostrazione, il quale si è tramutato in una grave forma di ansia e depressione, tanto da necessitare la prescrizione medica cure psicologiche e psichiatriche. Nonostante le gravi ripercussioni psicologiche che ho subito, Unicoop ha proseguito a tenere svariate condotte persecutorie di nei miei confronti tanto da spingere la mia psichiatra – circa due mesi prima del mio licenziamento – a consigliarmi di inoltrare una richiesta di visita presso il Centro del Disadattamento Lavorativo di Pisa, a seguito della quale è stato reso evidente come il mio stato di salute fosse precipitato a causa delle continue vessazioni subite sul posto di lavoro".

Ha continuato l'impegno di sindacalista?

"Durante il mio “calvario” non ho mai cessato il mio attivismo in favore dei lavoratori ed ho cercando di continuare a tutelarli e rappresentarli con la massima dedizione. Insieme a molti lavoratori, infatti, mi sono fatta promotrice di numerose azioni giudiziali nei confronti di Unicoop.Fi, a fronte della violazione, da parte della Cooperativa, dei diritti dei dipendenti. Ho promosso non solo una causa riguardante il cosiddetto “tempo tuta” – finalizzata ad ottenere che il tempo impiegato dai lavoratori per la vestizione fosse incluso nell’orario di lavoro – ma anche un giudizio avente ad oggetto il corretto inquadramento lavorativo per i dipendenti Unicoop.Fi addetti agli ordinativi della merce".

E qui arriva una prima vittoria

"Le cause, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, si sono concluse con la soccombenza processuale di Unicoop, la quale è stata condannata riconoscere il tempo della vestizione come tempo di lavoro nonché corrispondere a 54 dipendenti differenze retributive fino a 11 anni. A seguito dell’ultima mia vittoria in sede giudiziale – e, nello specifico, dopo poco più di un mese dalla stessa – Unicoop.Fi, mi ha licenziata, approfittando della prima occasione utile per liberarsi di una figura scomoda come la mia".

Il licenziamento per un bancomat malfunzionante

"L’episodio che ha portato al mio licenziamento è oggettivamente banale: nell’aprile del 2019 mi sono recata, nella veste di cliente, a fare la spesa presso il punto vendita Unicoop.Fi di Montevarchi (nel quale lavoravo). Giunta alle casse fast per pagare la merce ho passato la mia carta socio sul lettore, ho registrato tutti i prodotti (3 uova di pasqua, un’insalata e un hamburger). In seguito – dopo aver premuto il tasto “termina e paga” ed aver visto comparire la schermata “hai diritto a due bollini” – ho selezionato la modalità di pagamento ed ho introdotto il mio Bancomat sul lettore. Fermamente convinta che il pagamento fosse andato a buon fine ho fatto un passo verso il cancelletto d’uscita dove, dopo aver cercato nella busta, ho più volte dichiarato alla mia collega Serra di non trovare lo scontrino. Ebbene, nonostante che la mia fosse una formale richiesta d’aiuto e nonostante che la collega Serra avesse con sé il palmare aziendale – nonché molti altri strumenti idonei a verificare immediatamente il buon esito di ogni operazione che avviene nelle casse fast – la stessa mi ha detto, in tono rassicurante: “Dai Angela ti apro io”. Rassicurata sono quindi uscita dall’area casse ed ho fatto alcuni passi in galleria, dopodiché ho sentito chiamare il mio nome tramite gli altoparlanti aziendali e mentre tornavo indietro ho trovato la collega Tarchi la quale mi ha avvertito che il pagamento da me effettuato non era andato a buon fine. Conseguentemente – nella totale nonché più assoluta buona fede – mi sono recata subito alla cassa dove avevo operato, ho pagato e sono andata via, conferendo all’episodio in oggetto un’enfasi limitata, dal momento che tali inconvenienti accadono frequentemente quando vengono effettuati pagamenti elettronici".

E poi arriva la doccia fredda

"Il 26 aprile 2019, dieci giorni dopo l’episodio di cui sopra, Unicoop.Fi mi ha consegnato una contestazione disciplinare nella quale l’azienda mi imputava di aver tentato di sottrarre la merce (3 uova di pasqua, un’insalata e un hamburger) per un totale di circa 40 euro e disponeva il mio allontanamento immediato dal posto di lavoro. Il 17 maggio 2019 ho ricevuto il provvedimento di licenziamento".

Che anni sono stati? È vero che ha pensato anche a gesti estremi?

"Ho impugnato in sede giudiziale il licenziamento e – a distanza di ben due anni – si è giunti all’attuale esito della sentenza. Due anni devastanti sotto ogni punto di vista, segnati da angoscia, da un’immane sofferenza, da continue calunnie ricevute da parte di molte persone oltre che dalla stessa Unicoop.Fi". La mia stessa identità è stata cancellata e sono diventata una persona fragile. Più volte ho pensato a gesti estremi. Con quell’accusa hanno tentato di togliermi anche la dignità e di annientarmi infangando il mio nome. Oggi sono spaventata da tutto, necessito di cure importanti e di continuo sostegno psicologico. Non avendo altri redditi in famiglia sono andata avanti con la Naspi ed è stato durissimo".

Il Tribunale ha riconosciuto le sue ragioni

Finalmente il 3 marzo 2021 è stata ripristinata la verità. Con una sentenza molto forte la giudice Dott.ssa Davia ha dichiarato il licenziamento nullo e illegittimo oltreché discriminatorio. Uno scempio compiuto da una Cooperativa che fa dei valori il perno della sua stessa funzione.

Chi vuole ringraziare, chi le è stato vicino in questa battaglia?

"In questi due anni di strazio ho comunque ricevuto dei doni inattesi e che devo onorare perché me lo impone la mia coscienza.  In primis mio figlio che ogni giorno mi ha sostenuto e che ha portato con me questo macigno che ha condizionato anche la sua vita. Poi i miei cari e tanti colleghi ed amici che prima ho protetto e che a sua volta lo hanno fatto con me sopportando tanti soprusi a lavoro per questa loro scelta di stare dalla mia parte e sostenermi. Non meno importante è stato l’incontro con la Sindaca Silvia Chiassai Martini, una donna straordinaria che quest’assurda vicenda mi ha portato a conoscere, a stimare e ad apprezzare infinitamente per il coraggio, l’onestà e la forza che la contraddistingue oltre ad uno spessore umano toccante. Determinante per l’esito della sentenza è stato conoscere il vice sindaco di Montevarchi Stefano Tassi a cui devo indubbiamente la mia vittoria legale e la mia salvezza oltre a un’infinita riconoscenza per non avermi mai mollata incoraggiandomi e sostenendomi nelle scelte quando il buio mi ingoiava. Nessuno di loro mi conosceva e la Coop era sicuramente una potenza rispetto a una singola persona ma hanno capito e scelto di stare accanto ai lavoratori e alla mia causa. MI hanno permesso di svolgere lavori utili e gratuiti per la collettività invece di chiudermi in casa nel mio sordo dolore. Ho avuto una gran fortuna ad averli accanto e sono stati un balsamo per le mie ferite. Sono nel mio cuore soprattutto per l’enorme spessore umano. Nessuno mi ha strumentalizzata, sento il dovere di ringraziarli perché in 25 anni di sindacato le altre amministrazioni si sono sempre mostrate indifferenti se non assenti ai problemi di una delle maggiori realtà del territorio. Infine ringrazio immensamente l’avvocato Franceso Ceccherini dello studio Manzo-Ceccherini e l’avvocato Marco Del Pinto anche loro uomini straordinari prima ancora che eccellenti professionisti. Li ringrazio per avermi guidato passo passo in questo calvario facendomi sentire oltre modo il loro supporto morale oltre che legale. Persone deliziose che porto dentro il cuore e che mi hanno restituito insieme al sorriso la voglia di vivere. Come tutti quelli che ho già citato, faranno sempre parte della mia vita".

Anni persi?

"Questi 2 anni di vita tanto mi hanno tolto ma tanto umanamente mi hanno dato".

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