25 novembre, Loretta Gianni: "Violenza di genere stereotipo culturale ed in aumento, occorre agire nelle scuole"
La presidente di Pronto donna: "Dati preoccupanti: se nel 2017 erano stati 226 gli accessi in totale e più del 50% italiane, da gennaio di quest’anno a oggi le donne accolte dal Cav sono già 272"
Quest’anno è quasi impossibile non accorgersi del 25 novembre. Sono numerosissime le iniziative organizzate ad Arezzo e dintorni da istituzioni e gruppi di cittadini per celebrare la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Scorrendo online le locandine degli eventi, il logo dell’associazione Pronto Donna compare molto spesso. 25 novembre e 8 marzo sono due date importanti per chi, come il Centro Antiviolenza aretino, si occupa di contrasto alla violenza di genere.
Tanto più davanti all’aumento del numero di donne che hanno chiesto aiuto all’associazione. Da Piazza Santa Maria in Gradi, dove si trova la sua sede, arrivano dati preoccupanti. Se nel 2017 erano stati 226 gli accessi in totale (più del 50% italiane), da gennaio di quest’anno a oggi le donne accolte dal Cav sono già 272.
A chiarire questi numeri per Arezzo24 c’è Loretta Gianni, presidente di Pronto Donna.
Bianca: Esiste un’emergenza? I numeri di Arezzo rispecchiano la situazione generale in Italia?
Loretta Gianni: La violenza di genere è un fenomeno trasversale, è diffuso più o meno nello stesso modo in tutto il Paese. Al nostro centro negli ultimi anni ci sono state più prese in carico. L’incremento è un sommerso che emerge. Forse le donne si sentono intorno una società più ricettiva dal punto di vista di accoglienza e ascolto. Ci sono i centri antiviolenza, la rete negli anni si è strutturata. Proprio venerdì ero in Prefettura al tavolo di rete sulla violenza di genere. Oltre a noi, unico Centro Antiviolenza accreditato nel territorio aretino, erano presenti Procura, aziende socio-sanitarie, rappresentanti dei comuni e della provincia, tutte le forze dell’ordine, membri dell’ufficio scolastico regionale. Fa strano pensare che trent’anni fa Pronto Donna è nato in un sottoscala, con poco più di un telefono a cui non chiamava quasi nessuno, visto quanto poco era diffuso quel numero. Adesso c’è una presa in carico prima di tutto da parte dello Stato e quindi, a cascata, da tutte le istituzioni. Però il sommerso è ancora tantissimo e spesso non c’è la protezione della rete. Quando la donna denuncia il suo maltrattante, quasi sempre la violenza raggiunge il suo picco più elevato, quindi la donna deve essere al sicuro. Quello che manca ancora oggi è una presa di coscienza che la problematica è più complessa di quanto si crede. La violenza di genere richiede un codice di lettura particolare e saper sostenere le donne in un percorso molto lungo non è facile.
Bianca: Quali sono i più grandi falsi miti sulla violenza di genere?
Loretta Gianni: Il principale è che si pensa che la violenza sulle donne è esercitata solo in ceti sociali disagiati, culturalmente poco evoluti. Questo è assolutamente falso. La violenza di genere è uno stereotipo culturale. Quindi dobbiamo agire a quel livello, soprattutto nelle scuole.
Bianca: C’è consapevolezza di cosa molte donne subiscono anche in chi è lontano dalle associazioni? Come si raggiungono queste persone?
Loretta Gianni: È un argomento che per anni è stato negato e ci portiamo dietro dal passato il limite di essersi parlati solo fra “addetti ai lavori” in convegni e iniziative per molto tempo. Oggi le cose non sono cambiate molto, difficilmente le persone si avvicinano a questo tema. Secondo me è importante puntare l’attenzione su cosa c’è dopo la violenza. Proporre modelli maschili positivi e mostrare com’è una relazione sana fra uomo e donna anziché mettere l’accento sul maltrattante. Dobbiamo saper parlare di violenza senza avere pudore di nominarla ma in maniera costruttiva. Solo lavorando in rete si può affrontare questa sfida. Una volta che la donna è uscita dal ciclo della violenza, la reintroduzione nella società è un passaggio fondamentale.
Bianca: Dal punto di vista di un Centro Antiviolenza, su cosa c’è da lavorare di più?
Loretta Gianni: Dobbiamo allenare la società a prestare attenzione al tipo di linguaggio verbale e non verbale (comprese le immagini) che viene usato. La violenza fisica, che ormai viene riconosciuta, è la punta dell’iceberg. Il problema grosso è la violenza psicologica, che è difficile da individuare, più dolorosa e invalidante. Non dobbiamo abbassare la guardia, perché si stanno facendo strada manifestazioni più subdole di violenza, come il micromaschilismo o il mansplaining. Per cui il lavoro da fare è sicuramente culturale e ciascuno di noi, uomo o donna che sia, può dare il proprio contributo facendo attenzione anche alle parole che usiamo per esprimerci.
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