Dall’amarezza della guerra e della povertà alla dolcezza della Nutella

Il viaggio di migranti che in Valdarno lavorano le nocciole che vanno alla Ferrero

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Migranti da Egitto, Bangladesh, Pakistan, Nigeria e da altre zone di Africa e Asia. In comune hanno storie drammatiche e dolorose segnate da guerre, povertà e sangue. In comune hanno, però, anche qualcosa di buono e di dolce: la Nutella. C’è anche il loro lavoro nella filiera che genera il magico vasetto.

Il caso li ha portati nel Valdarno aretino, in una splendida pianura dove vengono coltivati i noccioli. E i loro frutti, una volta raccolti, prendono la strada per Alba dove negli stabilimenti Ferrero sono lavorati per dare vita alla Nutella.

Se particolare è il viaggio delle nocciole dal Valdarno – per essere esatti da Riofi – ad Alba, particolare è anche l’esperienza di accoglienza dei migranti realizzata in questa zona. Protagoniste una cooperativa sociale, Betadue; un’azienda pubblico-privata, Centro servizi ambiente impianti Spa che gestisce due discariche di proprietà per rifiuti urbani ed assimilabili agli urbani e per rifiuti speciali non pericolosi e infine un’azienda agricola, la Riofi che vede Csai al 91% e Betadue al 9%.  La cooperativa è, storicamente, tra i soggetti, che hanno sempre risposto ai bandi della Prefettura per l’accoglienza dei migranti. Attualmente ospita, tra il Valdarno e l’area aretina, 40 migranti. 19 di questi sono negli alloggi dell’azienda agricola Riofi e 4 hanno iniziato a lavorare nei noccioleti.

“Csai – ricorda Patrizia Nannini, Direttrice commerciale dell’azienda e Presidente della Riofi – aveva acquisito 200 ettari di terreni seminativi per realizzare una “cintura verde” attorno alla discarica di podere Rota. Qui ha iniziato varie coltivazioni tra le quali quella dei noccioli. Un’idea nata in funzione di una strategia di collaborazione con la Ferrero. Quest’anno, insieme  a Betadue, ci siamo posti la domanda se alcuni dei migranti ospiti negli alloggi dell’azienda agricola, potessero avviare un’esperienza lavorativa nei noccloleti. Ovviamente non da soli ma a supporto della nostra squadra di operai agricoli”.

Aggiunge Giovanni Fontani, dell’ufficio progettazione e sviluppo di Csai e referente dell’azienda per Riofi: “hanno tutti il permesso di soggiorno e sono in Italia da poco tempo. Alcuni stanno completando l’iter per avere anche una carta d’identità italiana. Li abbiamo assunti a fine novembre ed hanno già ricevuto la loro prima busta paga. Abbiamo bisogno di personale perché stiamo concretizzando il progetto di impiantare altre 1.200 piante di nocciole”.

Provengono da Egitto, Bangladesh, Pakistan. Chi non ha ancora la carta d’identità e non può avere quindi un conto corrente, ha ricevuto un assegno: il primo della sua vita. Sono in Italia da pochi mesi e dialogano a fatica: “qui il lavoro è buono”. Sono contenti di imparare una professione e di farlo con italiani: “in squadra impariamo anche la lingua. Non lo possiamo fare se rimaniamo sempre tra noi”.

Riofi è un luogo di lavoro anche di sola residenza per altri 15 migranti. Giulia Monaci è la referente Betadue per i migranti ospitati in Valdarno e il suo racconto dei paesi di provenienza degli ospiti è una sorta di atlante geografico: una decina di paesi di Africa e Asia. “Hanno tra i 18 e i 42 anni. Restano con noi per un massimo di due anni ma il tempo medio si aggira sui 12 mesi. Qui studiano l’italiano, attendono che si esaurisca il loro viaggio nella burocrazia italiana per i documenti e poi noi li aiutiamo anche a cercare un lavoro. Il loro obiettivo è questo: lavorare e farsi una famiglia. Alcuni sono molto giovani e nonostante che nei loro paesi ci si sposi anche giovanissimi, nel loro paese raramente hanno lasciato moglie e figli. Uno di loro mi ha detto che sua moglie ‘lo ha divorziato’”.

Larios è un giovane camerunense appena maggiorenne: “il 1 agosto 2016 sono fuggito nella foresta insieme ai miei. I soldati distruggevano le nostre case. Ci sono rimasto 4 anni. Pochi mesi fa sono riuscito a raggiungere la Tunisia e quindi l’Italia.  Adesso voglio solo imparare la lingua e fare un lavoro. Amo la terra e il bosco: vorrei lavorare qui”. Difficile liberarsi degli incubi: “ho visto tante atrocità”.  Ripete costantemente una parola in inglese: atrocities. “Troppe armi e troppo sangue”.Osoyomore ha 42 anni, è nigeriano. Lui ha miscelato I drammi del suo paese con quelli della sua famiglia: “sono cristiano ma mia moglie è musulmana. Il matrimonio non è piaciuto alla sua famiglia e in modo particolare a suo fratello che mi ha minacciato con il machete”. Nonostante due figli piccoli e con l’assenso della moglie, Osoyomore ha lasciato la sua casa e attraverso Niger, Libia e Tunisia, è arrivato in Italia. Adesso ha solo la speranza di rivedere la sua famiglia ma non sa nè quando nè come.


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