Paolo Rossi: la "concreta utopia" dell'uomo "normale", simbolo dell'Italia che non si arrende al pronostico

. Inserito in Diario di Bordo

In quella torrida estate tutto sembrava scritto e segnato. Tutto remava contro: stampa, opinione pubblica e morale a terra. "Pablito" e i suoi azzurri sovvertirono ogni pronostico: "Ho messo le mie qualità al servizio della volontà. Mi pare un buon messaggio, non solo nello sport"

Era un’altra Italia, quella del 1982. Venivamo dagli anni di piombo, eravamo pieni di sfiducia in ogni campo. Compreso quello calcistico. Ma qualcuno avrebbe riscritto la storia del Bel Paese. Il nostro contatto con quei mondiali erano le telecronache di Nando Martellini e le prime pagine de La Gazzetta dello Sport, tra i quotidiani più critici con la Nazionale di Enzo Bearzot, partita per la spedizione spagnola tra lo scetticismo generale e in silenzio stampa. C’è di più: il calcio italiano era stato travolto poco prima dallo scandalo calcio scommesse in cui anche Paolo Rossi era rimasto coinvolto. Due anni di squalifica. Che se non ti alleni, i muscoli diventano pappa. Eppure Enzo Bearzot convoca Paolo Rossi, bersaglio preferito di tutte le critiche di giornalisti e tifosi, che si chiedevano come mai il ct continuasse a puntare su uno che di mestiere fa il centravanti, ma non la butta mai dentro. E nella prima fase eliminatoria Rossi è sotto peso, tono muscolare ridottissimo, in campo passeggia. Risultato: noi ragazzi degli ’80 guardavamo i mondiali più per assistere alle gesta epiche di Maradona, Zico e Platini, che di quell’italietta con Zoff già attempato, “terzinacci” e “catenacciari”, quegli azzurri sbiaditi che passarono il turno per il rotto della cuffia (“Avanti senza gloria”, titolava la “rosea”) e che, era convinzione comune, sarebbero stati sbranati nel mini girone contro l’Argentina campione del mondo uscente e dal Brasile forse più forte di sempre. In quella torrida estate ci chiedevamo solo quante reti avremmo preso, chi, tra i campioni sudamericani, ci avrebbe segnato. La critica massacra selezionatore e calciatori, ma Bearzot tiene duro e alla fine verrà premiato. Con l’Argentina Gentile si attacca a Maradona e non gli fa vedere palla. Il risultato è a nostro favore. Nonostante tutto, continuavamo ad essere scettici: “un colpo di fortuna, una partita azzeccata – si diceva – col Brasile non avremo scampo”. Erano le 17:15 del 5 luglio e al Sarrià di Barcellona stava per andare in scena la storia, anche se nessuno lo avrebbe mai sospettato. Era sufficiente leggere le formazioni schierate a centrocampo al momento degli inni nazionali: la “povera” Italia si apprestava ad essere l’ennesima vittima sacrificale dell’immenso Brasile. Il destino della Nazionale scritto, come quello degli spartani alle Termopili. Davide contro Golia. La “Selecao” era un dream team che con Zico, Falcao, Eder, Socrates e Junior, macinava bel gioco e risultati e che, al contrario degli azzurri, poteva permettersi anche di pareggiare, per raggiungere la semifinale. Noi, schierati con Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea Conti, Tardelli, Rossi Antognoni e Graziani, dovevamo solo vincere. Impossibile, si diceva, i nostri sono “modesti pedatori”. Lo sguardo di Bearzot, pipa accesa a bordo campo e labbra consumate dalla tensione, non lasciava presagire niente di buono per noi. Eppure la sapeva lunga, lunghissima, quel friulano di ferro che “osava” insistere su quel "Paolo Rossi che non segna mai". Paolo invece la butta dentro di testa dopo 5 minuti. Violati i verdeoro: “li abbiamo svegliati, ora finisce in goleada”, pensammo. Socrates ci riporta sulla terra, ma noi siamo furbi. Junior perde male palla e Paolo trafigge per la seconda volta Valdir Perez. I fuoriclasse di Telè Santana ricominciano a costruire calcio e occasioni come se nulla fosse, il fortino italiano tiene fino a 20 dalla fine, quando Falcao pareggia dopo aver spostato con una finta mezza Italia. Gelo. “È finita”, abbiamo pensato. No, in quel 1982, c’è un calciatore che non ha la classe di Maradona e Zico, la muscolatura di Eder, la mobilità di Falcao e Socrates, è un ragazzo “normale” che sta per cambiare la storia. Lui è uno di quelli che lo guardi e dici: “se ci riesce lui, posso farlo anch’io”. Poi all’anagrafe fa Rossi Paolo, è nato a Prato il 23 settembre 1956, tifa Fiorentina, si ispira all'uccellino Kurt Hamrin, sta nella media italica, niente di evocativo, figuriamoci. Quel bomber rapinatore d'area opportunista che per la stampa “non segna mai”, che “sbaglia gol fatti”, il 5 luglio scrive una pagina di calcio epica. Al 74' l'Italia ottiene, grazie a un retropassaggio di testa da parte di Cerezo, l'unico calcio d'angolo a favore di tutta la partita. Sulla bandierina va Conti: il tiro intercettato di testa da Oscar (che in quel frangente fu in parte "ostacolato" da Socrates, che saltò insieme a lui nel tentativo di allontanare di testa la palla), finisce sui piedi di Tardelli, il cui tiro viene corretto da Rossi, che porta il punteggio sul 3-2. Da non credere. Ci stropicciamo gli occhi, non sembra vero. “Dobbiamo resistere, manca poco alla fine”. I verdeoro, a quel punto, si riversano all'attacco nel tentativo di pareggiare. A due minuti dalla fine l'Italia segna una quarta volta con Giancarlo Antognoni, ma l'arbitro annulla per un inesistente fuorigioco. E a un minuto dalla fine Zoff riesce a  parare sulla linea di porta un colpo di testa di Oscar da distanza ravvicinata. Finisce qui. Anzi, inizia qui l’epopea di “Pablito” e dei suoi Azzurri: il numero 20 si ripeterà con altre tre reti anche con Polonia in semifinale e Germania in finale, l’11 luglio, di fronte al Presidente della Repubblica Sandro Pertini di cui in mondovisione leggemmo il labiale “non ci prendono più” e a un’Italia, per la terza volta Campione del Mondo, che impazzisce di gioia. Sono passati 38 anni dal successo dell'Italia ai Mondiali di calcio in Spagna, ma per tutti Paolo Rossi è ancora Pablito, l'eroe di quella edizione. Un eroe “normale”, come ebbe a raccontare anni dopo nella sua autobiografia: “ho dimostrato che uno qualsiasi, uno normale, può farcela. Non ero un fenomeno atletico, non ero neanche un fuoriclasse, ma ero uno che ha messo le sue qualità al servizio della volontà. Mi pare un buon messaggio, non solo nello sport". La partita col Brasile di Spagna ’82 fu la vera “partita del secolo”, il punto di svolta per due nazioni: i sudamericani finirono in lacrime e disperazione (“Tragedia del Sarrià”, scrissero i giornali brasiliani) per l’Italia fu l’inizio di una breve epoca d’oro e non solo dal punto di vista calcistico. Grazie a “Pablito” e agli altri eroi “normali” di Enzo Bearzot, il cui poster è finito in tutte le case d’Italia, nella canzone "Giulio Cesare" di Venditti e nei ricordi più belli dei migliori anni. Avremmo vinto ancora, ma non sarebbe stato lo stesso. "Gli ‘80 sono stati tutta la mia vita – raccontava Paolo Rossi - in particolare il 1982: rientravo da due anni di ingiusta squalifica, vinsi lo scudetto con la Juventus, il Mondiale con l'Italia, la Scarpa d'oro e il Pallone d'Oro. Erano altri tempi, in cui spiccavano personalità come Bearzot e Pertini". E Paolo Rossi, "un ragazzo come noi", un “campione normale” e gentile. Grazie Paolo.

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Guido Albucci

Guido Albucci

Di tante passioni, di molti interessi. Curioso per predisposizione, comunicatore per inclinazione e preparazione