Tar: “Bene Rossi, ma giusto non confermarlo a capo della Procura della Repubblica di Arezzo”

Con sentenza assunta il 10 giugno scorso e depositata oggi, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il ricorso di Roberto Rossi, che chiedeva l’annullamento della delibera del 24 ottobre scorso, con cui il plenum di Palazzo dei Marescialli aveva detto ‘no’ alla sua permanenza nell’incarico direttivo. Nella delibera approvata si ponevano in rilievo i fatti, risalenti al 2015, quando Rossi aveva in essere una consulenza giuridica con la presidenza del Consiglio dei Ministri e contemporaneamente aveva assunto il coordinamento delle indagini su Banca Etruria, del cui Cda faceva parte Pier Luigi Boschi, padre dell’allora ministro Maria Elena Boschi. Il ricorso di Roberto Rossi contro la decisione del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ricalcava la memoria difensiva prodotta a ottobre scorso, in risposta alla relazione di Piercamillo Davigo, approvata con 16 voti a favore contro 4 e un astenuto, sostenuta dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Questa votazione segnò la mancata riconferma di Rossi a capo della Procura aretina. Sarebbe stato il secondo mandato. Nel ricorso, gli avvocati di Rossi avevano definito la decisione del plenum del Csm “ingiusta e contraddittoria“. Ai sensi dell’art. 55 “Codice del processo amministrativo”, i legali di Roberto Rossi avevano depositato al Tar del Lazio istanza di sospensiva con cui il ricorrente, dimostrando di avere subìto un pregiudizio grave e irreparabile, durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul merito del ricorso, “richiede l’emanazione di misure cautelari finalizzate alla sospensione momentanea del provvedimento impugnato fino alla decisione del procedimento nel merito in modo da paralizzare il proprio pregiudizio“. Nel pronunciamento si legge che “oggetto della valutazione dell’organo di autogoverno non e’ stata l’opportunita’ delle scelte investigative svolte dal ricorrente nell’ambito dei procedimenti di indagine quanto, sulla base del dato di fatto del procedere parallelo delle indagini e dell’incarico extragiudiziario, l’inopportunita’ della scelta compiuta dal ricorrente di non comunicare allo stesso Csm il mutamento del contesto nel quale tale ultimo incarico si stava svolgendo, contravvenendo ad un obbligo di trasparenza e correttezza“. Inoltre, non appare illogico che “il Csm abbia posto come fattore ‘centrale’ di valutazione quello dell’indipendenza e della serenita’ d’animo del magistrato, fattore che, anche nel procedimento di ‘conferma’, assume una connotazione primaria, se non proprio prevalente in assoluto rispetto alla pur positiva gestione dell’organizzazione giudiziaria“.