“Scrivo dal paese che non esiste più”. Amatrice tre anni dopo: la Misericordia di Arezzo sui luoghi del terremoto

«Scrivo dal paese che non esiste più.» Fu questo l’incipit di Giampaolo Pansa, allora sconosciuto corrispondente inviato sul posto all’indomani del disastro della diga del Vajont; e diventò un must del giornalismo. Ma non capita spesso – e meno male – di trovarlo adatto ad aprire una testimonianza. Questa volta lo è.
Perché sono proprio quelle poche, scarne ma essenziali parole che mi vengono in mente a seguito della nostra visita di un giorno ad Amatrice – domenica 7 luglio scorso – quando, dopo aver seguito (e documentato) una serie di iniziative promosse soprattutto dalla Misericordia di Subbiano per finalità benefiche a favore della popolazione di Amatrice, ci siamo incamminati insieme alla “Valigia dei Sorrisi” – il gruppo di clown dottori della Misericordia di Arezzo – dentro Amatrice stessa, in cerca di un gelato ristoratore, dato il gran caldo del primo pomeriggio.
Stavamo camminando da molto, dopo aver lasciato il nostro pulmino per addentrarci in piena “zona rossa”, allorché arriviamo a uno dei tanti punti di ristoro aperti che ci pare particolarmente attraente. Ordinando il nostro gelato, approfittiamo del gestore per chiedergli: «scusi, un’informazione: da che parte si trova esattamente il centro storico di Amatrice?»
Lui ci guarda e, mentre gli si compone in volto un sorriso velato di amarezza, ci risponde con una domanda: «…mai stati ad Amatrice prima del terremoto, vero?»
Come bambini sorpresi con le dita nella marmellata, dobbiamo ammettere di no, senza peraltro cogliere al volo a cosa volesse preludere la domanda/risposta del tizio. Un dubbio che lui ci spazza via in un istante: «…ci siete appena passati in mezzo!»
Seguono attimi di un attonito silenzio che ancora mi fa riprovare lo stesso brivido di disagio anche al solo ricordarlo.
La stessa costernazione che solo guardando di persona le macerie e le strutture diroccate ancora presenti sul posto si può provare in tutta la sua essenza. Che poi è l’essenza nostra, di persone piccole piccole, di fronte all’ampiezza di una devastazione di cui si fatica a comprendere i confini. L’esito di un colpo che avrebbe potuto abbattersi su noi stessi o su chiunque altro nel nostro Paese.
Lo cerchi, un senso, alla beffarda bizzarria di un fenomeno naturale che ha lasciato costruzioni vecchie e nuove per metà intatte e per metà cancellate: ma l’onda sismica quel senso ce l’ha solo per un ingegnere, e non è quello che cerchi tu.
E loro, la maggior parte degli abitanti di Amatrice, ci scrutano i loghi e le insegne sulle divise che indossiamo, perché mentre dai nostri colori e sigle restano confortati, così non è in molti altri casi. Lo stesso ristoratore ci chiarisce il concetto: «…voi delle Misericordie siete sempre i beneaccetti, qui da noi, perché lo sappiamo quanto fate del bene e anche nel minore dei casi portate almeno una parola di conforto, un sorriso per un nostro bimbo… e soprattutto non avete mai smesso. Ma altri non li vogliamo, non li vogliamo più!»
Chiediamo il perché di tanta amarezza, a tratti sdegno, e i motivi non ci vengono risparmiati, neanche da altri; anzi, il seguente parere risuona come un mantra nelle parole di quasi tutti quelli che incontriamo:
«non vogliamo più saperne di curiosi “mordi e fuggi”, soprattutto non vorremmo più politici, amministratori né altri personaggi pubblici che sono stati qua soltanto finché l’eco della ribalta era alto. Salvo che poi, una volta abbassate le luci dei riflettori e spentesi le telecamere, si sono volatilizzati, insieme alle loro inutili promesse.»
Viene spontaneo proseguire questa testimonianza mettendo in fila qui di seguito alcune delle tante frasi ricorrenti che abbiamo memorizzato qua e là. Come le tessere di un puzzle, sono espressioni che compongono un’unica voce corale. Ascoltarla è ascoltare l’anima di questa comunità ferita.
«Sembra che nessuno fuori da queste zone voglia rendersi conto che qua invece l’emergenza è passata solo sulla carta, mentre in realtà si è fatta continua… praticamente un modo di vivere – o meglio di sopravvivere – per noi!»
«Cerchiamo di tornare alle nostre attività, tentiamo di rimetterci a fare quel che facevamo prima, magari era la sola cosa che sapevamo fare, che avevamo imparato…»
«Dopotutto, questo atteggiamento ce lo siamo dati da subito… se non altro per la disperata ricerca di una risposta alla domanda “perché alzarmi stamattina”».
«Una risposta per scandire i tempi di una giornata di cui lì per lì, quando hai avuto morti, quando hai perso tutto, non capisci più nemmeno il senso. Una risposta che, se ti manca troppo a lungo, finisce che stai così male da rischiare di spegnerti…»
«E oggi di cercare quella risposta ne abbiamo un motivo in più: avendo compreso di essere stati sostanzialmente abbandonati dal mondo politico, preferiamo non averci più niente a che vedere. Non sapremmo più cosa farcene!»
«Almeno, una volta che nessuno di quei signori si presenti più qui, sapremo di non dover più ringraziamenti a nessuno se non a noi stessi!»
Per il resto, è il ricordo di una giornata bellissima e surreale allo stesso tempo. È la soddisfazione del buon fine conferito ai contributi messi insieme per impulso soprattutto della Misericordia di Subbiano in favore di Amatrice e delle sue genti: una cifra che, tra iniziative preliminari di raccolta e quanto speso sul posto – compresi i due diversi ristoranti in cui ci siamo suddivisi per pranzo e lo shopping degli squisiti prodotti dell’agronomia locale nel pomeriggio – ha raggiunto un livello davvero ragguardevole. È lo spettacolo del bel gioco calcistico offerto al mattino da entrambe le squadre nell’amichevole tra Amatrice Calcio e Misericordia Subbiano Calcio, compreso l’arbitraggio del nostro Roberto Noferi – giudicato “impeccabile” anche dagli ospitanti di casa – nonché il fair-play di tutti i giocatori in campo. È il tifo da stadio levatosi dagli spalti, magistralmente sorretto dalla spassosa brigata della Valigia dei Sorrisi, per la felicità di tutti i bambini presenti. È la stretta di mano ai conoscenti e rappresentanti delle quattro associazioni assegnatarie in parti uguali dell’importo raccolto: “Alba dei Piccoli passi-asilo onlus”; “Associazione Donne di Amatrice e Frazioni”; “Amatrice Volley”; e la stessa “Amatrice Calcio”. Sono le parole della referente dell’Associazione Donne di Amatrice e Frazioni, Simona Paoletti – visibile in una delle foto della gallery – che, dopo averci descritto anche conseguenze insospettabili del dopo terremoto (come per esempio l’assistenza psicologica di cui hanno avuto bisogno, per contenere problemi di natura mentale post-traumatica a carico soprattutto di bambini e vecchi… con una penosa impennata delle morti “naturali” di anziani proprio nei mesi successivi al sisma!). E queste sono state le precise parole che proprio lei ha voluto sottolineare alla nostra attenzione, affinché le riportassimo:
«Le Misericordie sono state sempre d’importanza fondamentale per noi!»
Il resto della giornata, dicevamo, è stato tutto un intrecciarsi di molte cose, volti, storie e momenti: i tanti nomi dei presenti che non riusciamo a rammentare per citarli come vorremmo (speriamo ce ne scuseranno) e quelli che abbiamo presenti, tra tutti il governatore della Misericordia di Subbiano, Luca Pistocchi, e lo stesso sindaco di Subbiano, Ilaria Mattesini.
E poi alcune cifre. Che le cifre, talvolta, parlano con voce propria. Anche se la nostra è appena un sussurro di solidarietà: 120 persone partecipanti, distribuite in 2 autobus, in 1 pulmino (della Misericordia di Arezzo, con a bordo 7 componenti della Valigia dei Sorrisi) e 2 auto private. Mentre la loro è un urlo che fa eco nel vento (e ci piace rilanciarlo da queste pagine): 46 miliardi stanziati, 3 anni – con 3 governi e 3 commissari – trascorsi e la ricostruzione ferma al 4%!
Ci viene spontaneo riprendere la frase «Almeno, una volta che nessuno di quei signori si presenti più qui, non dovremo più ringraziamenti a nessuno se non a noi stessi!», per suggerirne un’interpretazione che troviamo calzante, della quale vorremmo soprattutto fosse letto il senso positivo, l’incitamento e l’auspicio per queste genti, attribuita in origine a Sant’Agostino: «La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per come sono le cose e il coraggio per cambiarle.»
Ma infine sono i dettagli che, nelle storie migliori, fanno la differenza. Diventano la misura di ciò che più resta impresso. Ci stiamo giusto congedando dall’istruttiva chiacchierata con la citata referente dell’Associazione Donne di Amatrice e Frazioni, ancora all’interno del funzionale centro commerciale riallestito sul posto in prefabbricato, allorché ci cade l’occhio su un bambino dall’espressione talmente incantata da aver fermato sua mamma e tutta la fila alla cassa del supermarket. Imperterrito e rapito, sta puntando i calzettoni indossati dal Dr. Borbottone, uno dei clown dottori pilastro della Valigia dei Sorrisi, tra l’altro autista del pulmino che ci ha scorrazzato per l’intera giornata. Che avevano di speciale i suoi calzettoni? Delle magnifiche – ed evidentemente ipnotiche – strisce orizzontali fucsia e verde, in disinvolto abbinamento con bermuda azzurri e maglietta gialla! E quando il bimbo s’è reso conto che ci eravamo accorti di lui e della sua attenzione … s’è sciolto in un sorriso dolcissimo. Lo stesso sorriso – ricambiato – che ci ha fatto sembrare normale quel posto e ha dato significato a ogni altro momento di quel giorno. Nonché allo scriverne adesso.
Grazie alla Misericordia di Arezzo, a tutte le Misericordie, ai volontari per quello che fanno per Amatrice e ogni giorno per i più sfortunati. Grazie a Romano Barluzzi. Col suo racconto magistrale, ci ha trasportato in quei luoghi e tra quella gente. Grazie di cuore da Arezzo24 e da tutti i lettori. (ndr)