Libertà rubata

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L'universo della vita ai tempi del Coronavirus visto dagli occhi del cuore dei più piccoli. E da loro raccontato.

Durante l’intero periodo più critico della COVID19 c’è stato da parte di quasi tutti i media e dell’opinione pubblica un assordante silenzio sul mondo dell’infanzia, su come i bambini abbiano vissuto quella fase di isolamento domestico obbligato e sulle impronte che potrebbe aver lasciato nei loro animi. Orme indelebili, seppur suscettibili di diventare evidenti solo nel tempo!

Giada ha 9 anni. È della località chiamata Tremezzina (in origine, Lenno), in provincia di Como. Zona di connazionali transfrontalieri, tra Italia e Svizzera.

Quest’anno ha fatto la 3^ elementare e, a fine stagione scolastica, le hanno dato da svolgere questo tema: “Racconta l’anno della tua classe terza”.

Ecco quanto scritto da Giada e il titolo che lei stessa ha scelto per questo suo svolgimento:

La libertà rubata

«Questo anno scolastico lo ricorderò per sempre. Dopo le vacanze di carnevale non siamo più tornati a scuola. La mamma mi ha spiegato che un virus, scappato dalla Cina, era arrivato in Italia e rischiava di fare ammalare tante persone.

Improvvisamente sono stati chiusi i negozi, le scuole, le chiese, le gelaterie.

Alla TV dicevano che dovevamo stare tutti chiusi in casa, si poteva uscire solo per la spesa, per comprare le medicine o per andare a lavorare.

Prima di uscire di casa bisognava coprirsi la faccia con la mascherina e sulle mani bisognava mettere i guanti.

Tutto a un tratto non ho più potuto abbracciare i nonni e le zie, giocare con i miei amici e con il mio cuginetto.

La mia mamma, che non andava a lavorare, è diventata la mia maestra, aiutandomi a fare i compiti che le insegnanti inviavano in internet.

Ad un certo punto la scuola si è trasferita nel computer: video lezioni tre volte a settimana. In queste occasioni mi è piaciuto molto rivedere i miei compagni e le mie maestre, ma ho avuto difficoltà a studiare con i video inviati.

Nel frattempo molte persone si sono ammalate e alcune sono andate in cielo.

Questo virus, che ho scordato di dire si chiama “Coronavirus”, ha portato molta tristezza nelle famiglie e tanto lavoro ai dottori e alle infermiere.

Solo da qualche giorno il virus è diventato meno forte e le persone hanno ricominciato a uscire di casa ma devono sempre indossare la mascherina e mantenere le distanze gli uni dagli altri.

Questo virus mi ha rubato la libertà di uscire, di giocare, di correre, di mangiare il gelato, di essere coccolata dai nonni, di incontrare gli amici; spero proprio che non torni più.»

Tags: bambini Coronavirus

Romano Barluzzi

Romano Barluzzi

Highlander dalle molte vite, tra cui ne spiccano due - da tecnico sociosanitario e da istruttore subacqueo - coltivo con inguaribile curiosità la passione per i mestieri più a rischio d'estinguersi, perciò mi ostino a fare il giornalista.