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sabato | 13-09-2025

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Sanità

Granburrone

Cosa sperereste che facesse l’autista dell’autobus dove state viaggiando, una volta che vi foste resi conto che la strada su cui corre a un certo punto sta per finire, oltre il suo limite c’è un burrone e lui non riesce più a frenare? Non c’è neanche il tempo per capire come mai i freni non funzionino più. Secondo voi, dovrebbe mantenere l’andatura, o piuttosto cercare di fermarsi subito in tutti i modi possibili, fino al male minore di buttarsi lateralmente fuori strada, costi quel che costi?

Ecco, considerate questo: ora che i numeri, da qualsiasi lato si vogliano analizzare, dicono inequivocabilmente tutti la stessa cosa, e cioè che non ci si può più giocare sopra, magari per fare gli opinionisti controcorrente sui social, o infondate previsioni a favore di telecamera né un po’ d’insulso negazionismo in TV – come certi “espertoni” da palcoscenico si son lasciati andare a fare per evidenti quanto bieche ragioni di facile passerella, magari ben pagata – possiamo tutti essere più consapevoli che, qualsiasi cosa ci abbiano voluto raccontare finora, il nostro viaggio, iniziato 9 ore (leggi “mesi”) fa, tra meno di mezzo minuto, se il pulman impazzito non arresterà prima la sua corsa, terminerà comunque… in fondo a quel burrone.

Quando ci siamo lasciati col nostro ultimo articolo in tema era il 4 ottobre, vale a dire “solo” 3 settimane e mezzo fa; quello subito prima datava 23 settembre. Potete rileggerli e vi accorgerete che, seppur tendiamo a dimenticare tutto magari per una sorta di comprensibile autodifesa psicologica, i dati parlano chiaro: l’intero quadro è passato da quello di una situazione tutto sommato di solo preallerta a una di vera e propria emergenza. In neanche 3 settimane. Per arrivare al precipitare di adesso, nei soli 10 ultimi giorni.

In più, non c’è alcuna possibilità né speranza di stop davvero istantanei: non è come fermare quell’autobus, cui grosso modo i 30 secondi mancanti al ciglio del burrone, con qualche manovra spericolata, potrebbero ancora bastare. Una nazione, o anche una regione, sono sistemi troppo più complessi e hanno sempre una notevole inerzia, i cui tempi si aggiungono a quelli di almeno un ciclo d’incubazione del virus; quindi non c’è da aspettarsi che la risposta dei numeri del contagio si manifesti a stretto giro rispetto a nessun provvedimento preso, neppure il più azzeccato. Ora immaginate cosa accadrà – all’attuale andamento – anche “solo” fra altre 3 settimane?   

Tuttavia, qui siamo convinti che malgrado tale gravità, anzi proprio in virtù di essa, non si debba né farsi prendere dall’isteria collettiva, né accettare supinamente di farci raccontare “balle a fin di bene”, che risultano rassicuranti solo in quanto somigliano a ciò che inconsciamente vorremmo sentirci dire. Salvo poi scoprire amaramente quanto non siano vere. Sono queste, per l’appunto, le “supposte di ottimismo” che tanto piacciono a certi politici e anche a molti “sedicenti” esperti, magari illustri accademici dall’H-Index chilometrico o perfino componenti di task-forces governative ma che di comunicazione (e specialmente di quella sociale o da aeree e periodi di crisi) non sanno un baffo e sarebbe molto meglio che non se ne occupassero affatto: creerebbero meno danni.

Non ci serve di essere rassicurati, ma di essere incoraggiati motivati.

Perché “non è andato tutto bene!” e l’arcobaleno a colori ha lasciato di nuovo il posto alle nubi più nere; mentre la battaglia, fase di una guerra diventata di trincea e di logoramento, tocca ancora a noi; a ciascuno di noi! E allora tanto vale combatterla meglio possibile.

Perché il termine “2^ ondata” non è casuale: significa che ce n’è stata già una, la 1^. Ma qualcuno se la ricorda? O già avevamo rimosso tutto appena passata, ai primi di giugno, sicuri che non ce ne sarebbe mai stata un’altra? Ebbene, ecco la “new”: ci siamo dentro fino al collo di nuovo! Abbiamo dovuto constatare che “il virus non era morto” né s’è “indebolito”, e neppure “ha risentito del caldo dell’estate” – vi ricordano qualcosa o qualcuno queste espressioni? – mentre la governance del nostro Paese ripete gli stessi errori, facendosi trovare nuovamente impreparata, senza aver sfruttato la relativa tregua estiva e stavolta senza neanche l’attenuante della novità, dunque manifestando ancor più incompetenza e approssimazione, e facendoci constatare che l’esperienza non è servita a insegnarci granché (a parte forse qualche miglior protocollo farmacologico per i casi più gravi); sicuramente non abbastanza.

Detto questo – e a parte disperarsi, che non va mai bene – come fare al meglio la nostra parte di comuni cittadini, piccola o grande che sia?  

-Dobbiamo diventare “gatti”: con la percezione massima di tutti i nostri sensi protesi a cogliere ogni accorgimento di auto-protezione e altrui bio-sicurezza, dal distanziamento, alle mascherine, all’igiene; fino all’auto-isolamento fisico. E senza mai – mai! – abbassare la guardia. Nemmeno per distrazione! (È dura, con gli affetti: ma lo dobbiamo fare, soprattutto per loro! E pregarli di fare altrettanto con noi.) 

Continuare – ove possibile e secondo ogni nuova modalità anti-contagio – la normale vita lavorativa o di studio.

Evitare spostamenti o viaggi non indispensabili né inderogabili, pur se consentiti e anche se a corto raggio. Tanto più se con mezzi pubblici.  

-Tenere i contatti e le relazioni, sebbene virtuali e a distanza, e anche all’esterno dell’ambito familiare: i rapporti veri, basati sull’autenticità, sopravvivono al tempo e così pure alla lontananza fisica.

-Preservare sempre – quale valore assoluto – un’umana compassione verso gli altri, non lasciandoci colpevolizzare a vicenda per le reazioni di alcuni di noi ai provvedimenti restrittivi e alle limitazioni imposte.

Richiamare – sempre, anche solo con una civile espressione delle proprie ragioni ovunque si possa – le Istituzioni, compresi i Comuni e le ASL, alle proprie responsabilità, in modo che facciano la loro parte: perché resta vergognoso e indegno di un paese moderno come il nostro – l’8° al mondo tra quelli industrializzati – che neppure risponda pubblicamente del perché dopo 9 mesi di pandemia il sistema testing e tracing (individuazione diagnostica precoce sul territorio, sorveglianza attiva, tracciatura dei contatti, app “Immuni” ecc) faccia acqua da tutte le parti e sia stato da più regioni dichiarato già fuori controllo rispetto al contagio.

Ed è incredibile che ancora non si spendano abbastanza parole, provvedimenti e soprattutto risorse su questi temi (il bando nazionale di Protezione civile per il reperimento di nuovo personale da adibire al tracing è solo del 24 ottobre! E tra i destinatari cui si rivolge non include il mondo del volontariato…); e benché l’OMS già da metà luglio vada ripetendo come un mantra “fate anzitutto più testing/tracing, e poi limitazioni mirate, NON viceversa!”, mettendo in guardia da ulteriori lockdown totali e indiscriminati, che finirebbero per rischiar di fomentare disordini sociali anche gravi (“vedi Napoli e poi muori”, vien da citare…ma già abbiam visto anche Roma, Milano e Torino).

-Tenersi informati da fonti solide e affidabili, selezionando solo quelle, ed evitando tutte le forme di “addolcimento della pillola” che sentiamo nell’aria, quanto all’opposto quelle di atteggiamento terroristico: non dobbiamo avvertire il bisogno di venir impauriti né di essere rassicurati per fare la cosa giusta, bensì sentirci incoraggiati a farla!

-In particolare, quando sentite di notizie che vi sembrano clamorose o “straordinarie”, diffidatene: è il primo segnale che si tratti di colossali fake-news (= bufale), criminali in epoca pandemica, perché in grado di alterare la percezione collettiva del rischio, facendo più danni della grandine! 

-Forse tutto ciò è quanto di più può essere condensato e racchiuso nel concetto di “resilienza”: e se a qualcuno potrà sembrare poca cosa, sappia che si tratta invece della nostra arma più potente. 

Perché proprio se sapremo provare a uscirne così e tutti insieme, uniti nella reciproca solidarietà e convinti che servirà, ce la faremo. E scenderemo dal bus meno ammaccati. 

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PS – Le foto del servizio risalgono quasi tutte a questi ultimi giorni e testimoniano che… “La Misericordia di Arezzo comunque c’è!” . Come e più di sempre. Ci teniamo pronti.

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