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sabato | 08-11-2025

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Politica

È ufficiale: non siamo diventati migliori

Il ritrovato spirito di comunità, che ha retto qualche settimana, era dettato dall’istinto di sopravvivenza. E’ nei momenti di pericolo che cerchiamo il nostro vicino, quello che ci può aiutare. Poi, passata la tempesta, tutto torna come prima.
Aveva ragione quel pessimo soggetto di Hobbes: “Noi non cerchiamo la società per amore della stessa, ma per la lode o i benefici che essa potrebbe portare”. 
La verità, se di verità si può parlare, è che la pandemia non poteva cambiarci semplicemente perché, alle nostre spalle, non c’è niente, solo il deserto. Deserto culturale, rottura dei rapporti sociali, individualismo esasperato, liberismo cattivo e poi milioni di spavalde cazzate applicate alla politica. Ma non la spavalderia temeraria di D’Annunzio, che merita considerazione, bensì la sfacciataggine del pagliaccio. Del buffone cui tutto è permesso: essere offensivo, stronzo, cafone e inconcludente.
Non potevano bastare due mesi di virus a cambiarci e non basteranno nemmeno i prossimi anni se non ci sarà un cambiamento. Una metamorfosi vieppiù necessaria perché, l’hanno capito anche i sassi, che ormai ci stiamo mangiando il futuro.

Il cambiamento non può che nascere dalla scuola, insegnando ai ragazzi l’abbecedario del vivere civile. Ci vogliono edifici scolastici moderni, dirigenti preparati, un corpo insegnate all’altezza e rispettato. Dotato di quel prestigio sociale che significa anche maggior remunerazione. Perché non c’è investimento più grande che puntare sui nostri ragazzi.  Sono loro il capitale da far fruttare, un capitale che nessuna schifosa agenzia di rating potrà mai svalutare. Dobbiamo ripartire da loro, facendogli intendere che esiste la disciplina, il rispetto, che per ottenere risultati occorre sacrificio, che è necessario dare una mano a chi resta indietro ma che i talenti vanno premiati. Bisogna far capire che non tutto è un gioco, perché se la vita si riduce a un gioco, allora saranno i buffoni a governare lo stato e le comunità. I giullari ci possono anche far ridere ma, dopo aver riso, la vita ci presenta sempre il conto.

Se guardo a quello che sta accadendo in questi giorni, dove ognuno, sfacciatamente, tira il carro dalla sua parte, mi viene lo sconforto perché, nonostante la gran paura, non abbiamo capito la lezione. Poi guardo il cielo azzurro, le rondini che volano e l’ottimismo torna a scorrere nelle vene. Tuttavia non saremo noi a diventare migliori, forse lo saranno i nostri figli e i nostri nipoti.

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