Il calcio? Una roulette russa, perciò teniamoci stretti La Cava & C. Visto dalla curva di P. Galletti

Mancano (mancherebbero) 15 giorni all’inizio della stagione sportiva e niente c’è di sicuro in nessuna delle tre serie professionistiche, ovvero là dove per la qualità degli interpreti, la rilevanza degli interessi, la (supposta) preparazione dei dirigenti dovrebbe regnare l’ordine più assoluto, il rispetto ferreo delle regole, l’organizzazione più stringente. E invece troviamo solo una gestione che dire approssimativa è usare un eufemismo.
Ogni estate falliscono società perché il “giochino” è ormai arrivato ad essere economicamente insostenibile anche per piazze storiche come Cesena o Bari.
Le società sono vittime consapevoli ed a volte accondiscendenti dei procuratori, una categoria che è ormai onnipotente e che sta contribuendo a portare il gioco più bello del mondo verso l’abisso. Si inventa di tutto pur di far girare soldi veri o presunti, formule che se non fossero tragiche perché portatrici di esiti fatali, sarebbero esilaranti.
In tutto questo, i vertici federali fanno finta di niente. Proclami e parole al vento sul rispetto del fair-play finanziario, delle regole , dei vincoli di bilancio. Poi tutti a testa bassa sulla mangiatoia dei Mendes e dei Raiola di varia levatura. Imprenditori assennati che si avvicinano ad una roulette russa come quella che sta diventando il gioco del calcio oggi, se ne trovano sempre meno (perciò teniamoci stretto il nostro La Cava…).
Normale che saltino fuori cialtroni di primo o secondo grado, dal cinese del Milan alla premiata ditta Matteoni-Gatto che abbiamo avuto il dis-piacere di conoscere dalle nostre parti. A contorno di tutto ciò si aggiungano calendari impazziti, asserviti alle necessità dei network dai quali si elemosina ormai la sussistenza. E la gente ? E tutti quegli appassionati autentici di questo che si ostinano a ritenere sport ? Sempre più confusi, sempre più svillaneggiati, sempre più “strizzati” da prezzi esosi e spettacoli deprimenti si vanno allontanando mestamente.
Più che irritati sono, siamo, disgustati da quanto ci tocca vedere e subire. E sarebbe ancora niente se questo fosse il punto zero e Malagò o chi per lui cominciasse ad abbandonare i salotti romani mettendo mano con una brutalità spietata ed equa ai guasti che gli attuali reggenti, preoccupati solo di mantenere una poltrona redditizia sotto le troppo spesso tremebonde terga, stanno portando all’intero movimento. Quando abbiamo vissuto ciò che ben sappiamo qua ad Arezzo, si pensava che fossimo stati vittime di un destino avverso e baro. Il problema è che la stessa specie di personaggi improbabili che ci hanno angustiato per mesi è la media della classe dirigente calcistica di questo paese. Poi però si vara il codice etico perché i pericoli si suppone vengano da quei teppisti che vanno (ancora, bontà loro) in curva o da qualche commento sguaiato sui social.
Se tutto va bene, siamo rovinati, ma deve andare bene proprio tutto, tutto, tutto…