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martedì | 25-11-2025

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Eventi e Cultura

Rivoluzione nella tazzina, Valentina Palange sfida: “In Italia il caffè fa schifo”

Valentina Palange arriva al Foiano Book Festival per smontare miti, abitudini e false certezze attorno alla nostra bevanda nazionale.

Divulgatrice, appassionata di caffè e instancabile osservatrice dei rituali quotidiani, Valentina Palange arriva al Foiano Book Festival con un titolo che è già un pugno nello stomaco (e nell’orgoglio nazionale): Il caffè in Italia fa schifo (Giacovelli Editore).
Campionessa italiana di AeroPress 2024 e attiva sui social nel raccontare la cultura del caffè con linguaggio accessibile e diretto, Palange accompagnerà il pubblico in una mattinata speciale: una colazione-racconto in Sala Carbonaia, domenica alle ore 10, insieme a Luca “Roccia” Baldini, per assaggiare, discutere e forse rimettere in discussione uno dei gesti più automatici e sacri del nostro quotidiano.

Il titolo è senza mezzi termini e punta dritto alla sensibilità nazionale. Cosa ti ha portata proprio a questa frase?

In realtà, è nato proprio per provocare — con affetto ma senza filtri — perché in Italia il caffè è talmente scontato da non essere quasi mai messo in discussione.
Quando ho scoperto cosa significa davvero bere un caffè di qualità, mi sono resa conto della grande disinformazione che gira attorno a questo prodotto della terra. Se avessi scelto un titolo più morbido, sarebbe passato inosservato. Così invece ho potuto scardinare qualche certezza e accendere curiosità: era proprio quello l’obiettivo.

Nel libro sostieni che siamo rimasti indietro rispetto ad altri Paesi. Da cosa dipende questo ritardo culturale?

Ci sono due fattori principali. Il primo è la tradizione: abbiamo idee radicate come l’espresso “corposo e amaro” o il mito dello zucchero che deve affondare lentamente nella crema. Ma sono convinzioni sbagliate: un buon espresso è dolce, con una leggera acidità, e la crema deve essere setosa.
Il secondo fattore è il marketing: per decenni grandi aziende hanno orientato la percezione pubblica attraverso pubblicità e slogan, fino a dettare un immaginario collettivo che oggi è difficile scardinare. Ed è importante ricordarlo: molte multinazionali del caffè sono italiane.

Per te cosa significa preparare un buon caffè? E cosa invece succede, concretamente, in molti bar italiani?

Fare un buon caffè significa prima di tutto formarsi e studiare. L’espresso è più complesso di quanto sembri e richiede attenzione, tecnica e pratica.
Purtroppo la maggior parte dei bar affida la priorità alla rapidità e non alla qualità. Le materie prime spesso sono scarse e la gestione degli strumenti non sempre è all’altezza. Il prezzo del caffè verde aumentato negli ultimi anni ha peggiorato ulteriormente la situazione. E poi c’è un problema enorme di pulizia.

Nel tuo libro ricorre spesso la figura del barista professionista. Come si riconosce chi davvero sa quello che sta facendo?

È semplice: basta fare una domanda tecnica. Se la risposta è solo il nome del brand stampato sulla confezione, significa che non c’è conoscenza reale.
Un vero professionista sa spiegare miscele, provenienze, metodi di estrazione. E naturalmente mantiene macchina e strumenti perfettamente puliti. Fare il barista da vent’anni non significa automaticamente essere competente: si può essere molto più preparati dopo due anni di studio serio.

Se qualcuno dopo averti ascoltata decidesse: “Da domani voglio bere solo caffè buono”, da dove dovrebbe cominciare?

Il primo passo è cercare caffè tracciato. Il secondo è rivolgersi a una torrefazione che lavora bene, oppure acquistare online da produttori affidabili.
In Italia ce ne sono molti, ma essendo realtà artigianali non hanno visibilità come i brand industriali. Basta però una ricerca mirata per scoprire un mondo. E chi mi segue su Instagram (@specialty_pal) lo sa: rispondo volentieri a chi chiede consigli.

E se il “caffè perfetto” lo dovessi preparare qui al festival? Che cosa sceglieresti?

Insieme all’amica e collega Alice Monti di Mirabilia Coffee abbiamo scelto di servire caffè filtro: un metodo molto distante dall’espresso e ancora poco conosciuto in Italia.
Gli eventi come questo sono l’occasione ideale per far assaggiare caffè tracciati e tostati con cura, e per rompere qualche pregiudizio. Non vediamo l’ora di mettere la tazzina — anzi, la tazza — tra le mani del pubblico.

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