La pace ha il volto di tutti. “Parlo io, perché ogni vita conta”: il coraggio di Bernadette

Nel cuore della Cittadella della Pace, davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le parole di Bernadette Sidibé, 24 anni, studentessa maliana della World House di Rondine, hanno attraversato la platea come un filo teso tra dolore e speranza. Il suo intervento ha rappresentato il punto più alto e toccante dell’incontro tra i giovani di Rondine e il Capo dello Stato, dando voce non solo alla sua storia personale, ma a quella collettiva di chi ha scelto di non arrendersi all’odio. Con forza e dignità, Bernadette ha parlato a nome dei suoi compagni e compagne provenienti da Paesi attraversati da conflitti, rivendicando il diritto alla pace, al riconoscimento, alla parola. «Parlo io – ha detto – perché sono africana, perché sono donna, perché a Rondine ogni vita ha lo stesso valore. La guerra mi ha tolto l’infanzia, ma non ha vinto sulla mia speranza». Il suo appello, rivolto direttamente al Presidente Mattarella e alla comunità internazionale, ha chiesto con chiarezza: cessate il fuoco, liberate ostaggi e prigionieri, garantite l’accesso agli aiuti umanitari, smettete di investire nelle armi per educare nuovi leader di pace. Una richiesta netta, profonda, condivisa da tutta la World House, nata da vissuti diversi ma uniti da un’unica convinzione: la pace deve essere inclusiva, giusta e duratura, e i giovani devono farne parte fin dall’inizio.
Buongiorno e benvenuto signor Presidente!
Buongiorno a tutti voi! Grazie per essere qui, per aver camminato insieme e unirvi al nostro desiderio di pace, alla nostra volontà e al nostro impegno!
Sono Bernadette Sidibé, ho 24 anni e vengo dal Mali, un Paese magnifico, ma ferito. Sono cresciuta a Bamako, tra le risate dei bambini, fino a quando un attentato, nel novembre 2015, ha cambiato la mia vita. Quel giorno, la guerra ha bussato alla nostra porta. Da allora, la paura ha sostituito la spensieratezza. I giochi in strada hanno lasciato il posto al silenzio delle case sbarrate. Ho visto famiglie spezzate, volti segnati per sempre. La guerra mi ha rubato l’allegria, l’infanzia, la sicurezza.
Ma non ha vinto sulla mia speranza. Oggi sono qui, davanti a voi, per portare la voce della gioventù del mio Paese. Una gioventù coraggiosa, resiliente, che aspira a una pace autentica!
Qui, con me sul palco, sono insieme a tutti i miei fratelli e sorelle dello Studentato Internazionale – World House di Rondine provenienti da Balcani, Medio Oriente, Africa, Caucaso, Europa orientale e America latina!
Insieme abbiamo discusso e pensato tante volte a questo giorno, così importante, così ricco di storie vive e così forte grazie alla sua presenza, signor Presidente, e deciso di condividere questo mio intervento a nome di tutti gli altri.
Perché abbiamo deciso che parli io?
Per diversi motivi.
Il primo: a Rondine vediamo la persona prima della sua appartenenza, della bandiera o del passaporto. E così, parlo io che nel contesto economico mondiale, sui giornali e nelle televisioni occidentali… sono forse la meno considerata: morire in un Paese africano… è normale… Ma a Rondine no!
Ogni persona conta, ogni persona ha un valore uguale! ogni persona che muore genera dolore, e ci prendiamo cura l’uno dei dolori dell’altro.
Un secondo motivo: abbiamo deciso che parlo io non solo perché sono africana ma perché sono donna e nei valori assegnati dalla mentalità corrente, come donna valgo ancora di meno! E la guerra lo conferma perché si fa proprio sul corpo delle donne!
Sì, a Rondine contano le persone, senza differenza di genere! Ognuno e ognuna di noi ha la propria identità, storia e cultura. E ci riconosciamo, ci guardiamo, ci consoliamo sì, anche e soprattutto tra ‘nemici’.
Un terzo motivo. Rondine è quel luogo sicuro dove possiamo tendere la mano al ‘nemico’, convivere, condividere, ascoltare il dolore reciproco. Ma fuori da Rondine questo è un rischio, per alcuni di noi e per le nostre famiglie, a casa. E noi vogliamo che la nostra voce sia ascoltata oggi, ma anche in futuro, e per questo presto la mia voce a chi oggi non può prendere la parola.
Per tutto questo, a nome dei miei compagni – in particolare russi, ucraini, israeliani e palestinesi – sono qui a chiedere a lei Signor Presidente e a tutta la comunità internazionale di compiere passi concreti verso una pace duratura sia in Ucraina che a Gaza e in tutti gli altri conflitti dimenticati: cessate il fuoco, liberate gli ostaggi e i prigionieri, accesso agli aiuti umanitari, riconoscimento reciproco e dei diritti di tutti i popoli, smettere di investire nelle armi per educare nuovi leader di pace!
È ora di condannare fermamente i crimini di guerra e ogni forma di odio, promuovendo la convivenza, la riconciliazione e il perdono.
Noi giovani vogliamo essere protagonisti del nostro futuro partecipando ai processi di pace che costruiranno le sorti dei nostri Paesi. È per questo che chiediamo con forza di essere parte dei negoziati e che le nostre voci, cariche di speranza e di cambiamento, siano finalmente ascoltate per costruire insieme una pace che sia davvero inclusiva, giusta e duratura per tutti.
A completare questo coro di voci, sono arrivate anche le riflessioni e le domande di altri studenti italiani, introdotte da Lorenzo Rampi, Presidente della Consulta Provinciale degli Studenti, e da Chiara Cometto, studentessa del liceo QAR8 di Cuneo. Due interrogativi lucidi, autentici, rivolti al Presidente della Repubblica.
Europa e riarmo/disarmo
«In un contesto globale segnato dall’aumento delle tensioni internazionali e delle spese militari, ci chiediamo quale possa essere oggi il ruolo dell’Italia e dell’Europa nella promozione della pace, non solo come assenza di guerra, ma come progetto condiviso tra cittadini e istituzioni. Di fronte alla crisi di fiducia che oggi attraversa l’idea stessa di Europa, come possiamo contribuire a costruire un’Europa che custodisca davvero la pace, coinvolgendo le comunità, rigenerando la fiducia nei suoi valori fondanti e immaginando insieme un futuro senza conflitti armati?»
Giovani e Pace
«In un mondo in cui parlare di pace sembra sempre più difficile, perché rischia di diventare una parola vuota o retorica, e dove spesso le scelte degli Stati sembrano rispondere più agli interessi di pochi che al bene delle persone, ci sentiamo disorientati, poco ascoltati e privi di riferimenti autentici. A Rondine non parliamo quasi mai di pace, ma cerchiamo di praticarla nel concreto partendo dalla nostra vita quotidiana, come il rapporto con i nostri compagni di classe, con le nostre famiglie, e la cura di questo luogo che ci ospita. Come possiamo noi giovani dare un senso concreto alla parola “pace” partendo dalla nostra quotidianità, e allo stesso tempo far sentire davvero la nostra voce, anche quando sembra non avere peso, affinché diventi una proposta reale di cambiamento per la società?»
Le parole di Bernadette e quelle degli altri studenti non sono state retoriche, ma testimonianze vive. Domande rivolte con rispetto e coraggio al più alto rappresentante delle istituzioni, che ha risposto riconoscendo il valore insostituibile dell’educazione come via per la pace e della voce dei giovani come motore del cambiamento. A Rondine, la pace non è solo un concetto, ma un esercizio quotidiano. E oggi, più che mai, quella voce è diventata impossibile da ignorare.