Fase 2 all'italiana: tutti scontenti. Meno estremismo e più testa

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La politica accerchiata si muove con cautela. Le categorie economiche insorgono. A volte per vincere le battaglie occorre audacia: smettere di dare i numeri (per quelli ci sono gli epidemiologhi)  e trovare soluzioni. 

Sono stato il primo a sostenere che il rischio più grosso, durante e dopo il coronavirus, non lo correvano le libertà personali, bensì la libertà di impresa. Così è stato.  Ma libertà d’impresa, quando la fase epidemica non è finita, ancor ieri i contagiati sono stati oltre 2000 e i morti 260, non può significare fare quello che ci pare. Ci vuole prudenza per non ritrovarci di nuovo con gli ospedali pieni e la sanità al collasso.
E’ comprensibile che la politica, accerchiata da centomila esperti, si debba muovere con cautela, tuttavia qualche volta occorre l’audacia per vincere le battaglie. Più audacia vuol dire riconoscer che non vi è ragione di aprire a singhiozzo le attività produttive e commerciali che, lo sanno anche i bambini, sono collegate tra loro da quei cordoncini invisibili che si chiamano filiere economiche.
Qual è il senso di lasciare intere categorie di lavoratori (autonomi e dipendenti privati) nel limbo dell’incertezza? Amici miei, se si applicasse per ogni dove il principio di precauzione, dovremmo evitare di uscire di casa, per paura di essere investiti da una macchina.
Però, come dicevano i latini, occorre agire “cum grano salis”, cioè con buonsenso. Che vuol dire? Intanto che non è equo applicare le stesse regole su tutto il territorio nazionale: Milano non è Arezzo.
Secondo, se un’attività vuol ripartire è libera di farlo, ma con regole chiare e chi non le rispetta, ha chiuso.
Terzo, non possiamo permetterci che si scateni un conflitto, ci sono le avvisaglie, tra lavoratori garantiti (leggi pubblica amministrazione) e lavoratori privati e autonomi. Lo vogliamo capire che siamo nella stessa barca e, se la barca affonda, crepiamo tutti?
Allo stesso modo non si possono contrapporre due diritti fondamentali come salute e lavoro. Per questo la politica deve smettere di dare numeri, per quelli bastano gli epidemiologhi, ma deve offrire al loro posto delle soluzioni.
Credo dunque che sia giusto, dopo il 4 maggio, riaprire tutte le attività, compresi ristoranti, bar, parrucchieri ed estetiste, purchè vi siano controlli ferrei sull’applicazione delle regole.
Questa, come direbbe il mio amico Francis Bacon, è la parte “construens”, cioè costruttiva e ora arrivo alla parte destruens. Qui bisogna che qualcuno riacquisti equilibrio. In questa fase le categorie economiche dovrebbero evitare di comportarsi come corporazioni medioevali e pensare un pochino di più all’interesse generale. Non me ne vogliano, ma non è da persone serie proporre l’improponibile: finanziamenti a pioggia, generalizzati, tutti a carico del bilancio statale, senza nemmeno avere un’idea di cosa farci.
No, non si può essere liberisti quando si tratta di guadagnare e diventare statalisti quando si tratta di ripartire le perdite. Il gioco non funziona. Io capisco l’incazzatura dell’artigiano, del commerciante, del libero professionista che nelle ultime settimane non ha incassato un euro, epperò deve pagare fornitori, spese fisse e tasse. E’ su quel versante che occorre agire: via la burocrazia sui mutui, rinviare e in taluni casi cancellare tasse e bollette, aiutare sugli affitti. E proprio perché capisco le difficoltà di tante persone che mi sento di dire che chi ha compiti di rappresentanza non può giocare col fuoco.
Se questa stessa irresponsabilità fosse stata applicata nel dopoguerra, saremmo ancora a raccattare le macerie. Invece allora ci fu un grande slancio collettivo e tutti si rimboccarono le maniche.
Dunque ci dicano i “grandi capi”, a cominciare da governo, regioni, comuni, categorie, rappresentanze sociali quali, dopo il covoid-19, saranno i settori da difendere e quali da ristrutturare. Se è giusto investire in beni sociali, ricerca, scuola, innovazione, oppure è si preferisce dare finanziamenti a capocchia e ognuno se la sbrighi da solo.
In ultimo, confido che gli amministratori locali comincino a dire quello che intendono fare per i propri territori. Vi faccio un paio di esempi: Il turismo, la prossima estate, sarà a quel che si dice, un turismo di prossimità, come si organizza? Reti museali, promozioni, suolo pubblico gratuito per ristoranti e bar, piazze per la cultura: che si fa? Secondo, come si prepara la rete della solidarietà sociale verso le famiglie per sopperire alla mancata riapertura delle scuole? Buio totale. Diamoci una mossa, forse è meglio.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.