La scuola è ripartita. E i cervelli?

. Inserito in #madecheseragiona

Ripartito l’anno scolastico e tutti, a parole, sono dalla parte di studenti ed insegnanti: “mai più DAD, promettiamo scuole nuove e moderne”.

Come se il problema della scuola fosse solo quello edile o tecnologico. È fuor di dubbio che il miglioramento passa anche di lì, ma ci vuole ben altro, perché i mali hanno radici profonde, mi verrebbe da dire hanno radici ideologiche.
Ad esempio quella dall’accettare come una conseguenza ineluttabile dell’innovazione il fatto che oggi si scriva poco e male e si legga ancor meno. Salvo poi assistere sgomenti alla marea montate dell’ignoranza. Un marea dove rischia di annegare, insieme al futuro dei ragazzi, anche quello del Paese.
Investire sulla scuola non vuol dire solo avere edifici più luminosi e una Lavagna interattiva multimediale in ogni aula. Investire significa prima di tutto credere nel ruolo degli insegnanti. Da troppi anni ormai i docenti sono diventati il capro espiatorio di problemi sociali complessi come la caduta del principio di autorità, la disgregazione sociale, la frantumazione dell’istituto familiare.
Quale ruolo sociale è assegnato loro? E non parlo solo di stipendio, parlo di dignità, di autorevolezza. Anche se è bene ricordare che chi lavora nella scuola riceve stipendi che sono all’ultimo posto nella graduatoria della pubblica amministrazione.
Tuttavia la perdita di prestigio non è solo legata al denaro. Vi siete mai chiesti perché pochissimi, in un paese che vanta di avere il più grande patrimonio di storia e d’arte, hanno messo davvero il valore della cultura e dell’insegnamento al centro del dibattito politico? Vi siete mai domandati perché fa fatica a passare il messaggio che l’istruzione è la chiave di volta dello sviluppo sociale ed economico e che attraverso l’istruzione si diminuiscono le disuguaglianze e si rimette in moto l’ascensore sociale?
Tutto questo scorre in secondo piano per una politica che insegue la fuffa patinata dei social, che condisce la propria inettitudine con la salsa piccante degli umori dei follower.
In questo quadro, che ricorda da vicino una tela di Pollock, s’annullano le differenze tra destra e sinistra. Giacché, per quanto gli amministratori ne menino vanto, non è di sinistra né di destra riparare il tetto di una scuola. Così come non è né di destra o di sinistra comprare uno scuolabus.
La differenza invece è sul valore che si dà all’eguaglianza e alla possibilità per tutti di accedere a una istruzione. La differenza si misura sull’importanza che si intende dare ad un lavoro delicato come quello di formare le giovani generazioni.
Ma da quell’orecchio in pochi ci sentono. Parliamoci chiaro, per far questo ci vuole una visione del mondo, ci vogliono quelli che qualcuno chiamava pensieri lunghi ed oggi invece si preferisce di gran lunga il «laissez faire, laissez passer», il lasciar fare, il lasciar scorrere e poi domani si vedrà.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.