11 settembre, il giorno che ha cambiato la storia. Dopo 20 anni ancora al punto di partenza

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In molti si domandano cosa mai facessero l’11 settembre del 2001. Se lo ricordano quasi tutti perché è una di quelle date impresse a fuoco nell’anima.

In America erano le 8.45 del mattino, da noi le 14.45. Fu allora che il primo aereo si schiantò contro una delle torri gemelle del World Trade Center a New York. Io dov’ero? In un bar per prendere un caffè. Rammento una giornata luminosa, con il sole che prendeva di traverso la piazza. La Tv smise la programmazione e iniziò trasmettere le immagini che arrivano in diretta dagli Stati Uniti, qualcuno parlava di un incidente aereo poi, improvvisamente, apparve un altro aereo che si infilò come un coltello nel burro nella seconda torre e, subito dopo, lo speaker parlò di un attacco kamikaze al Pentagono e di un altro aereo precipitato in piena campagna. Fu chiaro allora che non si trattava di una disgrazia, ma di qualcosa di completamente diverso. Vidi il fuoco divorare le torri e poi la struttura che collassava, portandosi dietro centinaia di vite, di storie e di destini. Mi allontanai, attraversando una piazza diventata di botto silenziosa poi, come se avessi dei pesi alle gambe, salii lentamente le scale del Comune, ero stato da poco eletto sindaco.  Dopo una decina di minuti squillò il telefono. Qualcuno, dall’altro capo del filo, mi informava che era necessario chiudere per motivi di sicurezza Via S. Giuliano, dove aveva sede il Santa Chiara Study Center che allora ospitava diverse decine di ragazzi americani. La prima a intervenire fu la polizia municipale, poi arrivò una pattuglia dei carabinieri. Nell’aria si avvertiva sconcerto, smarrimento, paura e incredulità. Scesi quasi di corsa Vicolo dei Signori e arrivai col fiato in gol al Santa Chiara. Qui trovai ragazzi e professori raccolti in una sala davanti alla TV che trasmetteva il notiziario della CNN. Le loro facce erano sbigottite, alcuni piangevano. Strinsi delle mani a caso, ma avevo la gola secca e non sapevo cosa dire. Quali parole si possono usare davanti a una simile tragedia? Quali parole possono sanare una ferita tanto grande? Non bastano le parole. Rimasi con loro un bel po' di tempo davanti allo schermo che rimandava immagini di guerra. Mi sentivo soffocare ed uscii. Davanti al portone tanti castiglionesi erano venuti a testimoniare la loro solidarietà agli amici americani. Avevo bisogno di aria, così mi affacciai alla balaustra di fianco alla Chiesa del Gesù, il sole declinava a ovest. Il sole era l’unica cosa calda in quella giornata diventata improvvisamente gelata. Non ho mai sentito tanta fredda angoscia come quella volta. E oggi, dopo vent’anni, sento ancora il tremore di quei momenti. Lo sento nei muscoli, nel cuore e nell’anima. E il mio pensiero va ai morti, ai feriti, alle loro famiglie, a un mondo che dopo quella data non è stato più lo stesso. E dopo vent’anni mi domando quanti passi in avanti abbiamo fatto per cambiare le cose. Mi guardo intorno e mi sembra di essere ancora al punto di partenza.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.