Arriverà qualcuno con la kefiah in testa o con un hanfu che ci appiopperà un calcio nelle terga

. Inserito in #madecheseragiona

Davanti ai troppi tuttologi che oggi scoprono un posto chiamato Afghanistan, mi sento un nientologo che, non avendo competenze di nessun tipo, può solo limitarsi a osservare. Purtroppo quel che vedo non mi piace. Vedo troppa superbia e troppe lacrime di coccodrillo.

Portare giacche di Armani e scarpe Balenciaga non ci rende superiori a chi indossa un turbante e viaggia in ciabatte. Così come il fatto di essere nati in occidente non ci consegna per forza lo scettro del comando.
E quello che sta succedendo in Afghanistan lo dimostra in maniera cristallina.
La presunzione sarà la nostra rovina. Noi, che viviamo in questa parte del mondo, abbiamo l’arroganza del coccodrillo sdentato che vorrebbe mordere ma, non avendo zanne, si limita ad agitare la coda. Alziamo la voce, solo quella, nella convinzione che la democrazia occidentale sia l’unica possibile e i nostri modelli eccomici, sociali e culturali siano i migliori, a prescindere dalle realtà in cui vogliamo calarli.
È inutile stare a giraci intorno, il fallimento in Afghanistan è una bancarotta culturale. È vero che il disimpegno nasce da considerazioni geopolitiche ed economiche degli USA che, pur essendo la più grande democrazia mondiale, spesso se ne strafottono delle questioni di principio e delle belle parole. Tuttavia il problema rimane. Perché mentre gli americani, almeno in questa fase della storia, se ne possono fregare di quello che accade in Afghanistan e di riflesso in Medioriente, noi non possiamo. Parafrasando Lorenz, «Il batter d'ali di una farfalla a Kabul, può provocare un tornando sulle coste della Sicilia».
Non mi pare che in molti, al di là delle frasi ad effetto, abbiano compreso quanto, la ritirata dal così detto “cimitero degli imperi”, ci abbia resi nudi e per certi versi inermi. C’è il buio oltre la siepe. A meno che questa lezione non serva a ridarci vigore, facendoci riannodare quel filo che, a partire dalla civiltà greca, passando per il medioevo cristiano ed infine approdando all’età moderna, ha reso il nostro continente diverso da tutti gli altri.
L’Europa è fatta di nazioni, ma non per questo è solo un’entità geografica, essa poggia su valori condivisi e sono quelli che vanno recuperati finché siamo in tempo. Di converso possiamo invece continuare a fare come abbiamo fatto sino a oggi. A misurare la libertà dal livello alcolico dell’aperitivo, a guardare senza preoccupazione la fuga dei cervelli, a distruggere la scuola e lo spirito d’impresa. Possiamo continuare a seguire la politica come fosse una partita di calcio o uno spettacolo circense. Possiamo tutto questo. Però, se tra una decina d’anni arriverà qualcuno, magari con la kefiah in testa o con un hanfu, che ci appiopperà un calcio nelle terga, sappiate che il nostro passato di civiltà e democrazia non servirà a lenirci il dolore.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.