Qualità della vita? Le statistiche non servono, basta prendere un treno di pendolari

. Inserito in Economia

Le indagini degli istituti di ricerca mi stanno sulle scatole, perché non tengono conto della vita reale che non è fatta di numeri ma di passioni, umori, speranze e anzitutto necessità.

Viceversa, le indagini ricordano da vicino la statistica di Trilussa: "risurta che te tocca un pollo all'anno: e, se nun entra nelle spese tue, t'entra ne la statistica lo stesso perch'è c'è un antro che ne magna due".

La Camera di Commercio ci dice che ad Arezzo è forte l'imprenditoria, che siamo vocati all'export e che crescono il commercio, il turismo e i servizi all'impresa. Tuttavia il futuro non si presenta roseo perché abbiamo un "quadro economico orientato al rallentamento". L'inchiesta sulla "Qualità della vita 2019", pubblicata dal Sole24Ore, segnala che la provincia di Arezzo passa in Italia dalla 35esima alla 42esima posizione ma nonostante tutto vanno bene ricchezza e consumi. Giacché arretriamo verrebbe da dire: quali ricchezze e quali consumi?

La classifica del "Ben Vivere", curata dal quotidiano Avvenire, ci parla di 15mila iscritti al centro per l'impiego, di 3.200 giovani tra 18 e 30 anni che non studiano, non lavorano, non si formano, di 10mila anziani che vivono in famiglie mononucleari. Di un reddito medio da pensione di 748 euro al mese. A sollevarci lo spirito arriva per fortuna il rapporto 2019 elaborato dalla Fondazione Symbola Cultura, dove Arezzo primeggia in Italia grazie alla creatività dei professionisti dell'oro e della moda.

Da una parte i disoccupati, dall'altra prosperità e spese pazze, qualcosa non torna. Come volevasi dimostrare le indagini di per sé non dicono nulla, sono quadri astratti. Toccherebbe alla politica interpretare i segni e mettere in movimento le leve decisionali. Ma nessuno ha voglia di caricarsi sulle spalle questo fardello, si preferisce stiracchiare i dati come la pancia di un coniglio per portare acqua al proprio mulino.

C'è chi vede tutto nero, c'è chi vede tutto rosa e nel mezzo rimangono le persone con i loro problemi. Tra chi aveva il dovere di farlo, nessuno, da dieci anni a questa parte - cioè dall'inizio della grande crisi -, si è posto il problema di quali fossero i riflessi dell'uragano mondiale sull'economia locale. Ci si è accontentati di navigare a vista e nel frattempo si perdevano posti di lavoro (- 7.000) dal 2007 al 2017. Si desertificava la vocazione industriale delle grandi imprese, l'artigianato soffocava tra burocrazia, fisco e limitazioni al credito e intanto il sistema bancario del territorio implodeva come un palazzo senza fondamenta. La politica, purtroppo, ha sottovalutato quanto stava accadendo e l'assenza di un governo locale forte ha fatto sì che la nave imbarcasse acqua.

A questo punto possiamo bearci quanto ci pare con le feste, le luminarie e i fuochi d'artificio ma il conto c'è, chi lo paga? Lo pagano gli imprenditori, che erano e sono la nostra spina dorsale, lo pagano i giovani che hanno poche prospettive, lo pagano i pensionati chiusi nella loro solitudine, lo pagano i lavoratori con occupazioni precarie e sottopagate. L'inadeguatezza di chi dovrebbe prendere decisioni è nelle pieghe di una città e - mi verrebbe da dire - di una provincia, dominate da corporazioni che nell'autoconservazione trovano l'unica ragion d'essere.

Volete qualche esempio? L'area Lebole ferma da decenni, l'interporto di Indicatore di cui si è persa la memoria, il Centro Affari, le infrastrutture stradali che deflagrano a partire dalla SR71, una sanità che cede quote sempre più grandi al privato. Non servono le statistiche e gli studi per capire come vanno le cose, basta prendere un treno dei pendolari il mattino presto e ascoltare i viaggiatori. Sarebbe chiaro quello che manca e quello che servirebbe.

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Paolo Brandi

Paolo Brandi

Laureato in filosofia a Pisa e in storia a Siena. Amante dei cani, dell'Inter e della Sicilia. Fin da piccolo impegnato in politica ma col tempo ha assunto un atteggiamento più contemplativo.