Battere il Covid con un fiocco azzurro: la storia di Arshi e mamma Nayem
Ricoverata in ospedale per il coronavirus e ad un passo dalla Rianimazione, la donna è stata presa in carico contemporaneamente da quattro reparti del San Donato. Dopo un cesareo andato a buon fine, adesso la famiglia è a casa
Arshi ha 11 giorni, è nato il 18 novembre. Mamma Nayem di anni ne ha 21 e in ospedale era entrata all'inizio di novembre, col pancione e il tampone positivo. Alla 35esima settimana di gravidanza era felice di poter diventare madre. Dopo aver scoperto di essere affetta dal virus, la gioia dell'attesa è stata oscurata dall'angoscia di non farcela a causa delle forti difficoltà respiratorie. I corridoi del San Donato non l'hanno portata dove vanno tutte le future mamme, ma nell'area Covid.
Nayem non conosceva una parola d'italiano e solo qualche termine in inglese. I medici e gli infermieri di quattro reparti sono stati con lei e l'hanno seguita con l'aiuto di un interpretariato telefonico fino alla nascita di Arshi e alla loro dimissione dall'ospedale. Adesso si trovano entrambi a casa, dove ad attenderli c'era il padre Gias. Una giovane famiglia bengalese che ha affrontato il virus e l'ha sconfitto con l'aiuto di un intero ospedale, il San Donato di Arezzo, che ha organizzato un team composto da Malattie Infettive, Terapia Intensiva, Ostetricia e Neonatologia.
Sognando una famiglia
"Sono in Italia da ormai 10 anni", ricorda Gias. "Provengo dal distretto di Feni, una città nel Sud-Est del Bangladesh situata nella divisione di Chittagong. Arezzo è la prima e unica città in cui ho vissuto dopo essere emigrato dal mio Paese, dove i giovani hanno ritrovato una qualche forma di democrazia dopo una lunga colonizzazione e la successiva liberazione dal Pakistan. Il Bangladesh è ancora una nazione povera. Credo che ognuno cerchi di poter vivere meglio, soprattutto se sogna di avere una famiglia. È per questo che sono venuto in Italia. Lavoro, faccio l'operaio orafo. Volevo stare con mia moglie, la donna che amo. Abbiamo fatto tutte le procedure perché potesse raggiungermi. Nayem è arrivata lo scorso anno".
I primi sintomi, il ricovero
"All'inizio non ho capito che si trattava di Covid", racconta la mamma 21enne. "Ero arrivata quasi alla fine della gravidanza: ho pensato di avere l'influenza e che la difficoltà a respirare dipendesse dalla mia condizione. Ma i sintomi sono peggiorati e ho cominciato ad avere una gran paura, non solo per me ma soprattutto per la nascita di mio figlio e per le complicazioni che avrebbero potuto riguardarla".
"Nayem è arrivata nella Degenza Covid quando era alla 35esima settimana di gravidanza", spiega Danilo Tacconi, direttore di Malattie Infettive. "Aveva evidenti problemi respiratori, determinati anche dal suo stato in quanto i polmoni erano messi sotto pressione da parte del bambino. È stata ricoverata da noi per dieci giorni e la sua situazione clinica diventava ogni giorno più grave. Al punto che avevamo preavvertito la Terapia Intensiva di un possibile trasferimento, perché era sempre al limite per essere intubata. Alla paziente è stato applicato quindi il casco e messo in atto un monitoraggio molto stretto".
Una grande difficoltà è stata quella della comunicazione: Nayem non parla né italiano né inglese. È stato attivato il servizio di interpretariato telefonico, la Vox Gentium convenzionata con la Regione Toscana che garantisce il servizio 24 ore al giorno. "La collaborazione è stata fondamentale perché ci ha consentito di informare la paziente sulle sue condizioni e sulle terapie", continua il Dott. Tacconi. "La possibilità di dialogo, anche se mediato, ha aiutato tutto il personale, che è stato particolarmente vicino alla signora e ha dato la possibilità di tranquillizzarla".
Difficile, comunque, rimanere sereni. "Solo chi ha vissuto una condizione come la mia può capire quello che si prova", afferma Nayem. "Quando sono arrivata in ospedale la mia situazione si è molto aggravata, ma l'accoglienza e la professionalità di tutta l'équipe medica è stata determinante per il momento che stavo vivendo".
Situazione complessa anche per il marito Gias: "È stato molto difficile per me. Ero in quarantena senza poter stare vicino a mia moglie e questo mi ha fatto sentire molto triste. Desideravo tanto essere presente al momento della nascita del mio bambino e stare accanto a loro. Non potendolo fare in ospedale, ho avuto la possibilità di contattarli attraverso WhatsApp. I dottori, in maniera continua, mi hanno aggiornato e rassicurato dicendomi che stava andando tutto bene e mi hanno coinvolto in ogni decisione. Il loro atteggiamento mi ha dato tanta fiducia".
La nascita di Arshi
Dopo alcuni giorni e di fronte al mancato miglioramento delle condizioni di Nayem, è stato creato un gruppo multidisciplinare tra Ostetricia, Malattie Infettive e Terapia Intensiva. Alla 36esima settimana la situazione stava peggiorando, il bambino stava bene e i tempi per una nascita erano giusti. Il team composto dal direttore di Ostetricia Ciro Sommella, dal direttore di Malattie Infettive Danilo Tacconi, dall'anestesista di Terapia Intensiva Mauro Pepe e dal neonatologo Nicola di Virgilio ha deciso per il cesareo.
"L'operazione, resa particolarmente complessa non solo dalla positività al Covid ma anche dalle condizioni respiratorie ridotte dal virus, si è svolta nella massima sicurezza ed è stata un successo", commenta Sommella. "Immediatamente il nascituro è stato preso in carico da Neonatologia e la mamma da Malattie Infettive, dove è rapidamente migliorata fino alla dimissione dei giorni scorsi".
"Non ho potuto vedere subito Arshi appena è nato, ma penso che per la salute del mio bimbo sia stata la decisione giusta", dice Nayem. "Sono riuscita a vederlo dopo una settimana. È stato molto difficile accettare di non poterlo tenere in braccio, ma grazie ai dottori e agli infermieri che mi sono stati molto vicini sono riuscita a restare tranquilla sapendo che mio figlio stava bene. In quel momento era l'unica cosa che contava per me".
Adesso a casa
"Questa storia", sostiene Sommella, "ha molto da insegnare sia sotto il profilo della capacità dei medici di lavorare in team con al centro il benessere del paziente, sia sotto il profilo umano della gestione dei pazienti, ancora più significativo in quanto la signora non parla la nostra lingua". Un quadro confermato dalla coppia di neogenitori. La mamma: "Posso solo ringraziare immensamente l'ospedale di Arezzo che ha dato vita a mio figlio e di conseguenza a me una seconda vita". "Non troveremo mai le parole giuste per ringraziare l'ospedale di Arezzo, tutti i medici e gli infermieri che ci hanno seguito in questa esperienza che fortunatamente ha avuto un lieto fine", le fa eco il marito. "Posso solo dire infinitamente grazie per aver dato vita ad una nuova famiglia".
Nayem pensa al futuro che li attende ad Arezzo, a quasi 8.000 km di distanza dal Paese dove è nata e cresciuta: "Gias mi è sempre stato accanto e, come tutti i genitori, anche noi vogliamo veder crescere nostro figlio e vogliamo che possa avere una vita serena". Con tutti i migliori auguri delle donne e degli uomini del San Donato.